Lodes
...Andrò molto lontano …perchè Shane?…un uomo ha la sua via tracciata non può cambiarla… non avrei dovuto dimenticarlo…
Shane spiega così al piccolo Joey perché se ne va dopo aver riportato l’ordine nella valle e il film si conclude come era iniziato con il cavaliere errante che solitario riprende il cammino sulla strada del suo destino. Se nel cinema western c’è un film anomalo nella normalità è proprio il Cavaliere della valle solitaria (Shane nell’originale). Il film si avvale di tutti gli elementi classici per un racconto della frontiera. Le montagne, la valle, i pascoli, gli allevatori, i contadini, la legge del più forte, l’eroe buono che porterà giustizia. In realtà la fotografia, i personaggi, l’evolversi della storia sono l’antitesi a qualsiasi idea di mitizzazione del west e della sua epopea. Fin dalle prime inquadrature si entra in un mondo fatto di fatica, di sudore di lotta per vivere. Il film malgrado la fotografia (che prese l’Oscar) è cupo. Come è cupa la vita dei coloni. Certo c’è il cattivo allevatore che vuole solo per sé la terra che ha fatto sua arrivando per primo e combattendo contro gli indiani, ma poi ci sono i contadini. Sono loro al centro di tutto. C’è un mondo che grazie a loro si trasformerà in comunità. I coloni sognano e lavorano per un futuro in cui la comunità vince su una natura difficile, dura. Il fango è il simbolo di una terra che esige fatica, sudore, ma anche morti. Infatti il contadino Frank Stonewall Torrey (interpretato da Elisha Cook Jr.) si farà ammazzare in duello da Wilson il pistolero vestito di nero (Jack Palance). Scena magistrale in cui il regista utilizza la cinepresa per dirci che la sorte di Torrey è segnata, infatti Wilson lo domina sempre dall’alto. Non solo perché è di gran lunga più grande, ma anche perché è in piedi davanti al saloon, mentre Torrey nella strada più in basso procede con difficoltà in mezzo al fango. Lo scontro è già perso dal punto di vista psicologico e nei fatti, ma Torrey non rifugge al suo destino e si avvia verso la morte. Ma la storia prosegue e lo scontro tra il bene e il male prende corpo fino ad arrivare al duello finale tra Shane (Alan Ladd) e Wilson . Ovviamente il bene prevarrà e i coloni potranno impegnarsi nella costruzione del sogno americano. Sarebbero tante altre le cose da dire, ma non voglio farla lunga. Mi piace però riprendere il tema del destino, che è l’altro grande tema di cui ci parla il regista. C’è il destino dei coloni, cioè di coloro che sono chiamati a creare il loro futuro e quello del paese, e c’è il destino dell’uomo. Il destino cioè di Shane che è condannato a cavalcare alla ricerca di… Per un attimo Shane crede di essere arrivato alla fine del suo peregrinare, crede di poter fermarsi dentro una calda casa, magari di avere anche lui una donna da amare. La famiglia di Joe Starret (Van Heflin) gli fa dimenticare che la sua strada è tracciata. Però la realtà dura degli eventi lo costringerà a riprendere le pistole e ad affrontare il cattivo Wilson nel duello finale. Compiuto il suo dovere riprende il cavallo e si avvia verso l’orizzonte. L’ordine è stato ristabilito il cavaliere solitario può riprendere il cammino, “l’uomo ha la via tracciata e non può cambiarla”... ma è proprio così? Ad ascoltare Woody Allen (in Macht point) non è così: dipende da dove cade la pallina.
...Andrò molto lontano …perchè Shane?…un uomo ha la sua via tracciata non può cambiarla… non avrei dovuto dimenticarlo…
Shane spiega così al piccolo Joey perché se ne va dopo aver riportato l’ordine nella valle e il film si conclude come era iniziato con il cavaliere errante che solitario riprende il cammino sulla strada del suo destino. Se nel cinema western c’è un film anomalo nella normalità è proprio il Cavaliere della valle solitaria (Shane nell’originale). Il film si avvale di tutti gli elementi classici per un racconto della frontiera. Le montagne, la valle, i pascoli, gli allevatori, i contadini, la legge del più forte, l’eroe buono che porterà giustizia. In realtà la fotografia, i personaggi, l’evolversi della storia sono l’antitesi a qualsiasi idea di mitizzazione del west e della sua epopea. Fin dalle prime inquadrature si entra in un mondo fatto di fatica, di sudore di lotta per vivere. Il film malgrado la fotografia (che prese l’Oscar) è cupo. Come è cupa la vita dei coloni. Certo c’è il cattivo allevatore che vuole solo per sé la terra che ha fatto sua arrivando per primo e combattendo contro gli indiani, ma poi ci sono i contadini. Sono loro al centro di tutto. C’è un mondo che grazie a loro si trasformerà in comunità. I coloni sognano e lavorano per un futuro in cui la comunità vince su una natura difficile, dura. Il fango è il simbolo di una terra che esige fatica, sudore, ma anche morti. Infatti il contadino Frank Stonewall Torrey (interpretato da Elisha Cook Jr.) si farà ammazzare in duello da Wilson il pistolero vestito di nero (Jack Palance). Scena magistrale in cui il regista utilizza la cinepresa per dirci che la sorte di Torrey è segnata, infatti Wilson lo domina sempre dall’alto. Non solo perché è di gran lunga più grande, ma anche perché è in piedi davanti al saloon, mentre Torrey nella strada più in basso procede con difficoltà in mezzo al fango. Lo scontro è già perso dal punto di vista psicologico e nei fatti, ma Torrey non rifugge al suo destino e si avvia verso la morte. Ma la storia prosegue e lo scontro tra il bene e il male prende corpo fino ad arrivare al duello finale tra Shane (Alan Ladd) e Wilson . Ovviamente il bene prevarrà e i coloni potranno impegnarsi nella costruzione del sogno americano. Sarebbero tante altre le cose da dire, ma non voglio farla lunga. Mi piace però riprendere il tema del destino, che è l’altro grande tema di cui ci parla il regista. C’è il destino dei coloni, cioè di coloro che sono chiamati a creare il loro futuro e quello del paese, e c’è il destino dell’uomo. Il destino cioè di Shane che è condannato a cavalcare alla ricerca di… Per un attimo Shane crede di essere arrivato alla fine del suo peregrinare, crede di poter fermarsi dentro una calda casa, magari di avere anche lui una donna da amare. La famiglia di Joe Starret (Van Heflin) gli fa dimenticare che la sua strada è tracciata. Però la realtà dura degli eventi lo costringerà a riprendere le pistole e ad affrontare il cattivo Wilson nel duello finale. Compiuto il suo dovere riprende il cavallo e si avvia verso l’orizzonte. L’ordine è stato ristabilito il cavaliere solitario può riprendere il cammino, “l’uomo ha la via tracciata e non può cambiarla”... ma è proprio così? Ad ascoltare Woody Allen (in Macht point) non è così: dipende da dove cade la pallina.
Caro Lodes, non ho mai visto con piacere i film western. Li ho sempre ritenuti non solo un genere minore, ma anche un genere “da uomini” (il che più o meno era la stessa cosa, eh eh…). Adesso, che sei riuscito a farmeli amare, e li riguardo con altri occhi, ne scopro i pregi. E, tuttavia, mi riconfermo nell’idea che sono un genere “maschile”. E lo dico, stavolta, senza ironia, per lo meno rispetto ai capolavori del genere. L’eroe solitario, che raddrizza i torti e ripara le ingiustizie, non rappresenta forse la parte migliore dell’uomo, quella che opera nel mondo e lo rende migliore con le sue azioni? Non lo rende forse simile a dio, quello stesso dio (comunque lo si voglia chiamare, naturalmente, sorte, destino, ecc.) che ha segnato ineluttabilmente la sua via? Un dio inevitabilmente maschio, forse perché le donne sono già appagate dalla loro funzione creatrice. E, se è vero che ogni individuo è composto di diverse percentuali di femminilità e mascolinità, allora questa è la parte virile che ogni donna dovrebbe albergare, per poter agire nel mondo.
RispondiEliminaCerto, il destino dell’eroe solitario è ormai frusto. Probabilmente il mondo moderno è troppo complicato per poter essere letto secondo i canoni del romanzo d’avventura, che pure sono ancora rassicuranti; e, infatti, citi giustamente il Match Point di Woody Allen, che, pur lasciando anch’esso l’uomo del tutto solo, gli toglie anche l’alibi del destino. Ma di questo potremo parlare altrove.
Per me il film western è una forma moderna di epica, e l'epica è fondamentalmente maschile. Però non sarei così drastico, riguardo le donne nei westerne. John Ford sia in Ombre rosse che in Sfida infernale, che in inglese sono Stagecoach e My Darling Clementine (e i nomi veri già dicono qualcosa) inserisce due donne come personaggi importanti, ma quasi sempre nei suoi film c'è una donna di quelle che non stanno solo in cucina. Questo lo rende sempre più arioso rispetto a tanti western materiali. Sarebbe interessante capire come mai il western ormai da diversi anni è quasi in caduta libera, credo che il desiderio, il bisogno di azione oggi si manifesti in altro tipo di film, a partire dalla serie di Guerre stellari fino agli odieni di Tarantino.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Vorrei aggiungere al bel ritratto fatto da Lodes ad uno dei migliori western una citazione per quel che riguarda la musica.
RispondiEliminaRicordo ancora dopo decenni il tema musicale del film: vorrà pure dire qualcosa!
Ottimo commento per uno splendido e intramontabile western.
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