Manuela
Non parlatemi di rating perché tanto lo so già che questo film è piaciuto pochissimo. Potrei azzardare due o tre ipotesi per spiegarlo, e nessuna di queste comporta che il film sia brutto. Al contrario. Mi limito perciò a prendere atto che i miei gusti sono un po’ particolari.
Ho rivisto La città delle donne dopo 26 anni dalla prima volta, e, se possibile, mi è piaciuto anche di più. Perché, lasciateci alle spalle le emergenze cronachistiche, e le inevitabili punte polemiche da cui è stato accompagnato allora, resta adesso una storia universale. Uno scavo nelle profondità dell’uomo e della donna, e nella loro difficile – a tratti impossibile – comunicazione. Resta l’uomo messo a nudo nelle sue fragilità, incoerenze, pregiudizi, con partecipazione, tenerezza e ironia. E’ un film duro nei contenuti – perché a nessuno piace vedersi messo in piazza così, nei propri pensieri ed emozioni più intime e nascoste – e leggero nelle forme, evocatrici di tutti i temi più squisitamente felliniani: la strada, il circo, il musical, il cinema... Fellini scende dentro se stesso con una sincerità spiazzante, e descrive, con la stessa sincerità, le donne. Le donne viste da un uomo, naturalmente, che non sono sempre simpatiche: sono di volta in volta aggressive, castranti, rompicoglioni, culi e tette, mamme angelicate, mogli bercianti. Tuttavia sono le donne che, dopo aver scavato in tutti i peccati di Marcello, lo assolvono, ormai adulte e non più identificabili con gli stereotipi cui lui resta attaccato. Mirabile la scalata di Marcello alla ricerca della donna ideale, che risulta essere un pallone, che una donna vera, con una freccia ben mirata, fa miseramente sgonfiare. Ma l’essere umano è quel che è, e il finale si riavvita sulla scena iniziale, ad ammonirci che tutti, ci piaccia o no, siamo preda di quella spinta primordiale che attira i sessi uno verso l’altro.
In tutti i film di Fellini mi basta vedere i primi fotogrammi per esserne irrimediabilmente catturata, per voler sapere ad ogni costo cosa succede dopo; in questo film, in particolare, ogni scena genera la curiosità di vedere la prossima, proprio come Marcello, inseguendo la sua bella sconosciuta, si addentra di volta in volta in scenari imprevisti – eppure familiari. Mastroianni è bravissimo nell’ interpretare con straordinaria misura l’omonimo protagonista, Marcello detto Snaporaz: ma supera se stesso nell’espressione della scena finale, che senza parole, lo dichiara pronto a ricominciare daccapo, la stessa storia, e una nuova storia.
Ho rivisto La città delle donne dopo 26 anni dalla prima volta, e, se possibile, mi è piaciuto anche di più. Perché, lasciateci alle spalle le emergenze cronachistiche, e le inevitabili punte polemiche da cui è stato accompagnato allora, resta adesso una storia universale. Uno scavo nelle profondità dell’uomo e della donna, e nella loro difficile – a tratti impossibile – comunicazione. Resta l’uomo messo a nudo nelle sue fragilità, incoerenze, pregiudizi, con partecipazione, tenerezza e ironia. E’ un film duro nei contenuti – perché a nessuno piace vedersi messo in piazza così, nei propri pensieri ed emozioni più intime e nascoste – e leggero nelle forme, evocatrici di tutti i temi più squisitamente felliniani: la strada, il circo, il musical, il cinema... Fellini scende dentro se stesso con una sincerità spiazzante, e descrive, con la stessa sincerità, le donne. Le donne viste da un uomo, naturalmente, che non sono sempre simpatiche: sono di volta in volta aggressive, castranti, rompicoglioni, culi e tette, mamme angelicate, mogli bercianti. Tuttavia sono le donne che, dopo aver scavato in tutti i peccati di Marcello, lo assolvono, ormai adulte e non più identificabili con gli stereotipi cui lui resta attaccato. Mirabile la scalata di Marcello alla ricerca della donna ideale, che risulta essere un pallone, che una donna vera, con una freccia ben mirata, fa miseramente sgonfiare. Ma l’essere umano è quel che è, e il finale si riavvita sulla scena iniziale, ad ammonirci che tutti, ci piaccia o no, siamo preda di quella spinta primordiale che attira i sessi uno verso l’altro.
In tutti i film di Fellini mi basta vedere i primi fotogrammi per esserne irrimediabilmente catturata, per voler sapere ad ogni costo cosa succede dopo; in questo film, in particolare, ogni scena genera la curiosità di vedere la prossima, proprio come Marcello, inseguendo la sua bella sconosciuta, si addentra di volta in volta in scenari imprevisti – eppure familiari. Mastroianni è bravissimo nell’ interpretare con straordinaria misura l’omonimo protagonista, Marcello detto Snaporaz: ma supera se stesso nell’espressione della scena finale, che senza parole, lo dichiara pronto a ricominciare daccapo, la stessa storia, e una nuova storia.
E te pareva... ecco Fellini!Manuela, io La Città delle Donne non l'ho mai visto, però la tipologia di immagine da te scelta mi ha fatto venire desiderio di vederlo, chissà perché.
RispondiEliminaFellini è stato sempre affascinato dal tema del rapporto con le donne, mantenendo sempre una ambiguità, un non detto. Per me non era questione solo di menzogne involontarie, ma era un temo in cui mentiva consapevolmente, come fa spesso il suo alter ego Mastroianni.
Ho la sensazione che aspirasse a farsi piacere certe donne, ma che in fondo gliene piacessero altre. Un incantevole mentitore, forse le cose più vere le ha dette nel Casanova.
saludos
Solimano
Vedi, Solimano, come si possono guardare le stesse cose e vederne di diverse? Secondo me Fellini era di una sincerità disarmante, forse l'unico uomo che non finge di capire le donne. In questo film è ancora più evidente come, nel tentativo di capire il mondo femminile e di parlare del mondo femminile, finisca con lo sprofondare ancora di più in se stesso, nei propri ricordi, nel proprio disagio. Ed è talmente sincero, nel mostrarsi in tutto il suo egocentrismo maschile, che davvero, non si può che intenerirsi.
RispondiEliminaApprezzeresti il film, credi, se non altro per i motivi che sospetti anche tu...
P.S. Di Casanova ricordo solo che a suo tempo mi piacque. Non mi dispiacerebbe rivederlo.
A me il film era piaciuto molto, come Casanova. Io credo che l'autenticità di Fellini non stia nella sincerità autobiografica, ma nell'esser riuscito a saccheggiare il proprio vissuto (fissato in un'eterna postadolescenza), ricombinandone gli elementi per costruire un universo nuovo in cui questi vengono legati da elementi iconografici e culturali i più svariati. Un pò come accade nei sogni.
RispondiEliminaMi viene in mente un tardo esempio dalle Notti della Luna Piena, dove a un certo punto, in un frutteto del tutto romagnolo, si vede un gruppo di grasse negre allegre (mi pare che cantino un blues o qualcosa del genere). La contaminazione tra la propria memoria giovanile e il cinema americano alla Via col Vento illustra anche come meglio non si poteva-senza bisogno di fare discorsi elevati- l'ottimista stupore di fronte al fenomeno allora incipiente dell'immigrazione (quello stesso che ha riempito la bassa modenese di Sikh in turbante che pedalano ai bordi delle provinciali).
Non credo che le donne ci tengano poi tanto ad essere capite, né credo che capire le donne debba essere l'obiettivo di un uomo saggio. Occorre prenderne atto, come si fa con i terremoti e gli arcobaleni. Però credo che anche le donne presumano quando pensano di capire il pianeta uomo. Siamo destinati ad una moderata e gradevole incomprensione che poeticamente(?)preferiamo denominare mistero. In ciò è una indubitabile positività: che noia sarebbe capirsi sempre! Come in certe coppie, in cui, prima che tu apra bocca, il partner sa quello che dirai.
RispondiEliminaTornando a Fellini, credo che parlasse troppo di donne, per ciò stesso mentiva. La ragione - e il successo - è di chi tace: Cristiano, l'amico di Cyrano, non era un minus habens, era furbo.
saludos
Solimano
Certo, caro folletto, non parlavo di sincerità autobiografica, ma della capacità di raccontare, scavandoci dentro e trasfigurandolo, il proprio vissuto: cosa che le donne hanno appreso a fare attraverso un lungo lavoro di autocoscienza, e che solo alcuni rarissimi uomini sono in grado di fare.
RispondiEliminaMa tanto... non ci capiremo mai..... :)
(Comunque io sto dalla parte di Cyrano... da sempre)
Sì, tutti stanno dalla parte di Cyrano, donne e uomini. A teatro. Poi però si esce e c'è la vita reale... Secondo me a Cyrano il naso l'hanno fatto lungo tutte le bugie che gli toccava dire per rendersi interessante, una specie di circolo vizioso.
RispondiEliminaNon lo dico per puntiglio, è giusto che la vita proceda in questo modo e che gli istinti seguano il naturale corso, guai se no. Gli istinti non vanno combattuti, vanno portati a levello di consapevolezza. Tornando a Fellini, il film dove escono più cose sul suo rapporto con le donne è un altro, Giulietta degli Spiriti, in cui non a caso recitavano la Masina e la Milo.
saludos
Solimano
Non mi aspettavo che “La città delle donne” potesse piacere ad una donna, dovrò rifletterci sopra: non solo Manuela ha visto questo film (cosa rara!), ma le è piaciuto molto e se lo ricorda ancora dopo tanti anni... Io ho visto il film quando è uscito al cinema, quindi ero troppo giovane: a 22-24 anni cosa vuoi saperne di Snaporaz! Non ho un’opinione su questo film, così come non ce l’ho sul Casanova che è uscito ancora prima; però Fellini ha iniziato disegnando caricature e vignette sul Marc’Aurelio, questa del caricaturista è un’altra delle sue dimensioni principali (sono vignette un po’ grossolane, mi permetto di aggiungere). Amo moltissimo “I clowns”, lo trovo meraviglioso ma non so quanti ne trovo che sono d’accordo con me...
RispondiEliminaCara Manuela, la mia osservazione non voleva essere alternativa, ma complementare.
RispondiEliminaHi only just discovered your fantastic blog … added it to my post here: http://snaporaz.posterous.com/fellini-expo-paris-deux-documentaires-some-bo
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