lunedì 23 aprile 2007

I compagni

I compagni di Mario Monicelli (1963) Sceneggiatura di Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli Con Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Gabriella Giorgelli, Folco Lulli, Bernard Blier, Raffaella Carrà, François Périer, Vittorio Sanipoli, Mario Pisu, Annie Girardot, Giulio Bosetti Musica: Carlo Rustichelli Fotografia: Giuseppe Rotunno Montaggio: Ruggero Mastroianni Costumi: Piero Tosi (125 minuti) Rating IMDb: 7.9
Ottavio
Si dice che i popoli abbiano la memoria corta, e quindi, come dice Santayana, “condannati a rivivere il passato”.
Per evitare di ricadere in situazioni poco simpatiche basterebbe rinfrescare ogni tanto il ricordo, ripensando alle esperienze dei nostri padri e nonni, di cui abbiamo avuto cognizione diretta (e che cognizione, vista la densità di eventi del ‘900!).
Oppure approfittare delle testimonianze che la cultura ci ha lasciato per valutare con consapevolezza rischi e opportunità dei nostri tempi. Il cinema per questo è uno strumento efficacissimo: le immagini consentono un confronto immediato.
Mi viene in mente, ad esempio, il film “I compagni”, di Mario Monicelli. Il film è del 1963 e debbo averlo visto uno o due anni dopo. Allora lavoravo, da qualche anno, in uno stabilimento petrolchimico, e avevo appena cominciato a capire le problematiche del mondo del lavoro. Intendiamoci, negli anni ’60 la situazione in azienda era “grasso che cola” rispetto a quella descritta ne “I compagni”, ma comunque sempre caratterizzata da un conflitto latente, il che comportava schierarsi da una precisa parte.
Ne “I compagni” si parla di una filanda dove si lavora quattordici ore al giorno nella Torino fine ‘800, dove gli operai sono tutti immersi in un mondo impietoso di fatica e di miseria. Dall’incidente di un vecchio, al quale la macchina stritola una mano in un momento di stanchezza, nasce la decisione di promuovere un’agitazione. Ma gli operai sono troppo ignoranti e confusi, non combinerebbero gran che se non capitasse fra loro un professore socialista, Marcello Mastroianni, con barba, e capigliatura arruffata, secondo gli schemi, dell’epoca, degli agitatori sociali. È lui che li guiderà prima allo sciopero, poi addirittura alla rivolta; ci scapperà un morto e il professore finirà in prigione.
E’ chiaro che Monicelli, di idee dichiaratamente di sinistra, parteggia per gli operai. Ne descrive i tratti umani simpatici e li fa interpretare da popolari attori (Blier, F. Lulli, Salvatori). Contestualmente il proprietario della filanda appare spregevole quanto basta. Su questo hanno battuto abbastanza i critici dell’epoca, secondo i quali il film, oltre che manicheo era “bozzettistico”. Quindi il conflitto sociale di fine ‘800, che ha avuto anche risvolti drammatici, doveva essere trattato più “storicamente” e meno come commedia.
Io, confesso, mi sono commosso. Sarà stato anche il particolare momento, ma il film mi è piaciuto molto. Per i contenuti, naturalmente. Si è tratteggiata una fase delle lotte che hanno portato all’emancipazione sociale, cioè a dire alla prevalenza della politica sull’economia (ahi ahi, vecchio Marx, oggi c’è il rischio di capovolgimento!). Per gli altri aspetti, fotografia, musica (quando scorrono i titoli di testa si sente una bella canzone “socialista”), sceneggiatura etc. non avevo dubbi: Monicelli è un maestro. E quindi il messaggio è arrivato chiaro, immediato ed efficace. Ai critici dico: andava bene così.

1 commento:

  1. A proposito dei critici. Sono rimasto sbalordito da quanti personaggi significativi sono stati coinvolti in questo film, dagli sceneggiatori, agli interpreti, alla musica, fotografia, costumi. Il guaio è che i critici per definizione debbono criticare, ma c'è modo e modo: si ricordassero che il cinama è una grande arte popolare, e come tale va trattata, con le sue commistioni anche col commerciale, perché no. Dimenticarlo, fare solo un discorso da anime elette, può voler dire essere fuori strada anche nei valori estetici, non accorgendosi di cose evidenti a molte persone mediamente acculturate. Andare al cinema da critici può voler dire andarci da prevenuti, a volte perdendo il meglio. Magari accorgendosene, di questo meglio trent'anni dopo, quando ormai è tardi.

    saludos
    Solimano

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