domenica 20 settembre 2009

Ritratti di signore: Glenn Close

Glenn Close (Sarah) nel film "Il grande freddo" (1983)

The big chill (1983) di Lawrence Kasdan Sceneggiatura di Lawrence Kasdan, Barbara Benedek Con Tom Berenger (Sam Weber), Glenn Close (Sarah Cooper), Jeff Goldblum ( Michael Gold), William Hurt (Nick Carlton), Kevin Kline (Harold Cooper), Mary Kay Place (Meg Jones), Meg Tilly (Chloe), JoBeth Williams (Karen Bowens), Don Galloway (Richard Bowens) Fotografia: John Bailey Musica: canzoni degli anni Sessanta eseguite fra l'altro da Rolling Stone, Aretha Franklin, Rascals, Beach Boys, Trmptations, Procul Harum (vedere i titoli e l'elenco completo nel soundtracking di IMDb) (105 minuti) Rating IMDb: 7.0

Solimano

Il film "Il grande freddo" si svolge quasi del tutto nella bella casa di campagna di Harold Cooper (Kevin Kline) e di sua moglie Sarah (Glenn Close). Si sono conosciuti alla fine degli anni Sessanta all'Università del Michigan. Hanno partecipato alla contestazione, ai movimenti del Sessantotto. Harold è un industriale affermato e Sarah è medico. Hanno un figlio, e non lontano di lì ospitano Alex, un loro amico di quegli anni che ha avuto a suo tempo una relazione con Sarah. Alex è uno spostato, l'unico del gruppo che è rimasto legato all'esperienza radicale dell'Università. Legato come nostalgia, ma non ci crede più.

Harold sta facendo giocare il bambino nella vasca da bagno e sulla porta appare Sarah sconvolta: ha appena ricevuto una telefonata, Alex si è ucciso.



Per il funerale di Alex sono arrivati gli altri del gruppo dell'Università. Sarah accompagna nella chiesa Meg Jones (Mary Kay Place), che fa l'avvocato e non è sposata. Poi si siede vicino ad una anziana parente di Alex, forse la madre. Riesce persino a sorridere quando sente una musica che era cara a tutti loro, in particolare ad Alex (tutta la musica del film è degli anni Sessanta).


Gli amici non ripartono subito dopo il funerale. Si fermeranno per il week end, ospiti nella casa di Harold e Sarah, che ha organizzato tutto per il meglio. Nell'immagine c'è Michael Gold (Jeff Goldblum) che fa il giornalista in provincia. Pieno di aspirazioni irrisolte, ora sta pensando di aprire un club e chiederà a qualcuno di finanziarlo. Lo conoscono e cercano di stare alla larga da lui e dalle sue scelte di piccolo cinismo. Ma come si fa? Nel sessantotto era uno di loro. C'è anche Karen (JoBeth Williams) che aspirava a fare la scrittrice, poi ha sposato Richard Bowens (Don Galloway), un uomo d'affari di Detroit. Ha due figli. Era Karen, a suonare l'organo in chiesa durante la cerimonia funebre. Sarah fa del suo meglio, quella sera riescono persino ad essere allegri, ma di notte, mentre gli altri dormono, Sarah piange nuda nel bagno.


Quando si trovano fra loro, torna l'amicizia di allora, anche se ci sono tensioni irrisolte. Sarah ama Harold ma ci tiene alla sua indipendenza. Le secca che Harold esageri col sentirsi l'unico arrivato del gruppo e che dica a destra e a manca che la sua ditta potrebbe essere rilevata fra qualche mese da una grande azienda e quindi il valore del titolo si triplicherebbe in borsa. Karen non è felice con Richard, che palesemente è un estraneo rispetto agli altri del gruppo. Qualsiasi cosa dica ha un suono diverso da quello che dicono loro. Karen rimpiange di non aver fatto la scrittrice e si sente costretta ad una vita intessuta di convenzionalità. Inoltre prova attrazione per Sam Weber (Tom Beranger), un divo dei telefilm che si vergogna del suo successo e che ha appena divorziato. Anche Sam è attratto da Karen. Il lungo Michael è sempre attratto dalle donne, dalle tradmissioni sportive TV e dal frigorifero. Tutti lo disprezzano, cercando di non farsene accorgere, ma lui lo sa.



Meg racconta a Sarah che desidererebbe avere un figlio, ma non riesce a trovare un uomo che le piaccia. Allora, siccome è nei giorni fecondi, vorrebbe avere un rapporto sessuale con uno del gruppo e preferirebbe Sam (in realtà preferirebbe Harold, ma a Sarah non lo dice). Questo desiderio di Meg lo viene a sapere anche Michael, ma Meg si sottrae, le è bastato il rapporto che ebbero all'Università.


Eccoli tutti a cena. Sarah ha un atteggiamento coinvolto ma anche distaccato, che le permette di conoscerli bene, a partire da suo marito Harold.


Sarah e Harold si cercano ancora. Lui ci patì, quando Sarah ebbe una relazione con Alex, ma proprio perché non era una cosa nascosta, lo sapevano tutti, hanno potuto fare chiarezza, non ci sono ombre fra di loro, se non di carattere.




Sarah è il vero centro del gruppo. Oltre a Michael, riesce a far sentire a suo agio anche Nick Carlton (William Hurt), che ha fatto la guerra del Vietnam, ne è tornato impotente e spesso fa spaccio di droga. Con gli altri, Nick si scontra, persino con Harold, con Sarah no. A Sarah piace anche stare da sola, a un po' di distanza dagli altri, per comprenderli meglio.



Sarah viene al dunque con Meg, che le racconta come sono andati i suoi tentativi. Ci ha provato con Sam, ma ha capito che lui, oltre a sentirsi sbandato dopo il divorzio, è attratto da Karen, quindi, niente da fare. Anche con Michael, che si è fatto avanti rozzamente, ed è stata Meg a rifiutare. Che fare? Sarah ha capito che cosa si può fare: convincerà suo marito Harold ad andare a letto con Meg. Proprio un bel regalo, che Meg non si sarebbe mai aspettato...



Ed eccoli ancora tutti insieme. In quella seconda notte (il week end si è prolungato) Meg e Harold vanno a letto insieme e Sam e Karen hanno un rapporto sul prato che sarà senza seguito: Karen tornerà a Detroit e Sam ai suoi telefim. Nella terza immagine, Nick sta cominciando a litigare con Sam, ma Sarah se ne accorge.

Qui sotto, l'immagine finale del film. Si stanno salutando. C'è anche Sarah con loro, ma sta per conto suo: guarda fuori dalla finestra.


Inserisco in ordine cronologico immagini di dodici film interpretati da Glenn Close, nata il 19 marzo 1947 a Greenwich, Connecticut (USA). Cresce nel Congo Belga e in Svizzera, a seguito del padre chirurgo. Si laurea nel 1974 in Virginia. Si trasferisce a New York e recita a Broadway. Esordisce nel cinema nel 1982. Interpreta frequentemente personaggi negativi, come in Attrazione fatale (1987), Le relazioni pericolose (1988), La carica dei 101 (1996).
Negli ultimi anni ha partecipato a serie televisive di grande successo: Damages e The Shield.
Tre volte divorziata, ha una figlia.

"Jagged Edge" (1985) di Richard Marquand

"Fatal Attraction" (1987) di Adrian Lyne

"Dangerous Liaisons" (1988) di Stephen Frears

"Reversal of Fortune" (1990) di Barbet Schroeder

"Sarah, Plain and Tall" (1991) di Glenn Jordan

"The House of the Spirits" (1993) di Bill August

"Air Force One" (1997) di WolfgangPetersen

"Cookie's Fortune" (1999) di Robert Altman

"102 Dalmatians" (2000) di Kevin Lima

"Safety of Objects" (2001) di Rose Troche

"Le divorce" (2003) di James Ivory

"The Stepford Wives" (2004) di Frank Oz


venerdì 18 settembre 2009

Dirty dancing



Dirty Dancing (1987) di Emile Ardolino, Sceneggiatura di Eleanor Berstein Con Jennifer Grey (Frances 'Baby' Houseman), Patrick Swayze (Johnny Castle), Jerry Orbach (Dr. Jake Houseman), Cynthia Rhodes (Penny Johnson), Jack Weston (Max Kellerman), Jane Brucker (Lisa Houseman), Kelly Bishop (Marjorie Houseman), Lonny Price (Neil Kellerman), Max Cantor (Robbie Gould) Fotografia: Jeff Jur Musica: John Morris e 25 canzoni, fra gli autori e gli esecutori Michael Lloyd, John D'Andrea, Otis Redding, Bruce Channel, Zappacosta, The Blow Monkeys, Patrick Swayze (vedere il soundtrack listing in IMDb per l'elenco completo) (100 minuti) Rating IMDb: 6.1

Barbara sul suo blog Lavoretti


Correva l’anno 1987 e noi tre amiche ci trovavamo spesso a casa di Guendalina per guardare la televisione tutte insieme e fare merenda. Fu durante uno di quei pomeriggi che andò in onda un trailer che ci fece ammutolire. Musica anni sessanta, di quelle che i piedi non riescono a stare fermi, un misto di corpi che ballavano sensuali, una protagonista che, si intuiva, perdeva la testa per un ragazzo pericoloso (e quindi ovviamente irresistibile). Appena il trailer cessò noi ragazze ci fissammo per qualche istante, poi scoppiammo in una serie di squittii, urletti e risatine come solo le adolescenti riescono a fare.







- Oh! Come mi piacerebbe andarci!- miagolò Paola.
- I genitori non ci manderanno mai- obiettai io, che recitavo sempre la parte del grillo parlante da corrompere.
-Se andiamo allo spettacolo del pomeriggio non se ne accorgeranno- suggerì Guendalina, che per gli intrighi aveva un certo talento.
-Il problema sono i soldi. Chi ce li da?- mi chiesi. Come grillo parlante non avevo una gran resistenza.
- Eddai- sbuffò Paola, che era quella più pratica. –Basta chiederli alle nonne e non dire a cosa ci servono.
E così, in meno di mezz’ora il piano diabolico era stilato. Saremmo andate di sabato pomeriggio, quando i genitori ci credevano all’oratorio col gruppo delle Primaverine. Avremmo fatto finta di entrare all’oratorio, per poi sgattaiolare dall’uscita posteriore, percorrere i cinquecento metri che ci separavano dalla piazza ed arrivare alla nostra vera destinazione: il cinema Odeon, dove in cartellone davano “Dirty dancing, balli proibiti”.
Il piano filò liscio come l’olio e noi, più ci avvicinavamo al cinema, più sentivamo l’eccitazione crescere e darci alla testa. Le orecchie ci erano diventate color vinaccia e ci sentivamo come delle pericolose e temibili criminali. Sarebbe stato il nostro supersegreto, quello che ci avrebbe fatto sentire fuori dal comune.



-Eccolo!- mugolò Guendalina, indicando il cartellone bianco.
Era bellissimo quel cartellone: c’era disegnata una ragazza con un grazioso abito pastello e, dietro di lei, un ragazzo tenebroso che la sovrastava. Si capiva che era il preambolo di qualcosa: stavano per mettersi a ballare, o forse stavano per baciarsi, o per lasciarsi, chi lo sa. Il titolo diceva: “Dirty dancing” e sotto aggiungeva: “1968: l’America stava per perdere la sua innocenza e Baby stava per perdere la sua verginità”.
Sì, mi rendo conto che adesso questa frase possa sembrare un po’ ridicola, ma nel 1987 noi avevamo tredici anni e quel sottotitolo ci sembrava la cosa più eccitante della terra. Quel bel ragazzone vestito di nero mandava le nostre testoline matte in corto circuito e non capivamo neanche tanto bene il perché.
-Oh no!- esclamai, leggendo ancora più sotto sul cartellone. –Guardate!
In basso c’era una strisciolina: “vietato ai minori di quattordici anni”.
Precipitammo dalle stelle alle stalle. Quattordici anni? Ma perché!? Uffa, tutta quella fatica e adesso ci vietavano di entrare per un piccolo insignificante annetto?
Io, Paola e Guendalina ci fissammo un po’ deluse e un po’ eccitate. Eravamo arrivate fin lì, la nostra impresa non poteva morire così, senza compiersi.
-Ci proviamo lo stesso- disse Guendalina.
-Ma…-cominciai ad obiettare io, da bravo grillo parlante -…non ci faranno entrare. Va bene, proviamoci lo stesso.
Decisamente, come grillo parlante non avevo un futuro.
Ci mettemmo in fila, stringendoci le mani che in meno di tre secondi erano diventate sudaticce e appiccicose. Sentivamo addosso un faro puntato su di noi e una freccia luminosa alle nostre spalle che si accendeva e spegnava dicendo: “mocciose” “mocciose”. Tutto intorno facevano la fila ragazze palesemente più grandi, coppiette di fidanzati, qualche adulto. Non avevamo speranze. Ci facemmo avanti lo stesso, fissando il pavimento, sudate, incapaci di respirare e di scandire parola.
La ragazza dietro al bancone per fortuna non ci degnò di uno sguardo: stava parlando al telefono col suo ragazzo, una discussione piuttosto animata, strappò i biglietti e prese i soldi con un unico gesto automatico e con tanta indifferenza che quasi ci scocciò non essere scoperte. Sarebbe stato un po’ più glorioso. Beh, no, meglio così tutto sommato: adesso finalmente potevamo vederci Dirty Dancing in santa pace.





Quello che accadde nelle successive due ore è stato indescrivibile. Ci siamo trovate a vivere la storia di Baby, ragazza bruttarella ma sensibile con talmente tanto trasporto da non essere più noi spettatrici e lei un personaggio di un film. Eravamo noi Baby, eravamo noi a vivere quelle cose. Eravamo noi dentro il film. Dovevamo ricordarci di respirare.
Ma soprattutto, sopra ogni cosa, c’era lui. Johnny, il maestro di ballo. Non era così che ci immaginavamo potesse essere un ballerino. Johnny non era etereo e sottile, ma grosso e taurino. Sembrava più un culturista, o un muratore. Ma poi si metteva a ballare e allora, tutto quello che ti veniva in mente era: se lo facesse a me!







All’epoca non sapevamo cosa fossero gli ormoni, ma forse se avessimo studiato un po’ di biologia avremmo saputo dare un nome a quello che ci stava succedendo. Ma meglio così: a volte è più bello che ci sia un aura di mistero intorno a quello che ti accade. Come al brividino lungo la schiena nel momento in cui i due protagonisti si stanno esercitando nel lago e lui raccoglie, un po’ impacciato, la spallina che scivola dalla spalla della ragazza.





O come l’euforia di quando lui sale sopra il palco e dichiara a tutti che vuole danzare insieme a lei, e per la prima volta nel film la chiama col suo vero nome: “Francis”.






O come la sfrenata incontenibilità del loro ballo finale, perfetto e contagioso, così irresistibile che ci siamo ritrovate a saltare in piedi dai nostri sedili e a gridare “Evviva! Evviva!” mentre gli altri spettatori si giravano a guardarci scocciati.










Quando alla fine le luci si riaccesero eravamo ancora lì, in piedi, a saltellare senza controllo.
Un adulto, di quelli seri, quelli che per mestiere potrebbero fare il preside, ci indicò col dito alla mascherina.
-Ragazze!-gridai, al colmo della felicità.-Scappiamo!
E fu tutto un fuggi fuggi.