mercoledì 7 maggio 2008

Mignon è partita

Giorgio e Mignon

Mignon è partita, di Francesca Archibugi (1988) Sceneggiatura di Francesca Archibugi, Gloria Malatesta, Claudia Sbarigia Con Stefania Sandrelli, Jean-Pierre Duriez, Leonardo Ruta, Céline Beauvallet, Francesca Antonelli, Lorenzo De Pasqua, Eleonora Sambiagio, Daniele Zaccaria, Massimo Dapporto, Micheline Presle Musica: Roberto Gatto, Battista Lena Fotografia: Luigi Verga (100 minuti) Rating IMDb: 6.6
Solimano
Questo film, che è il primo di Francesca Archibugi, l'avevo visto anni fa, e ne avevo riportato una impressione diversa da quella che ho avuto in questi giorni. Mi sembra che l'Archibugi e con lei le altre due sceneggiatrici, abbiano commesso l'errore che si fa agli inizi: voler dire tutto subito e dire invece troppo, perdendo così di vista dei nessi che darebbero solidità. Di per sé, sono problemi veri, questo non è certamente un film filisteo.

La famiglia Forbicioni va al mare

Il tema dei rapporti personali nella famiglia Forbicioni, che regge solo perché l'alternativa di non reggere non la vogliono neanche prendere in considerazione, è un tema serio, che impone delle scelte. I comportamenti che ne derivano sono ambigui: c'è spirito di sacrificio o semplice vigliaccheria? E invece sembra che Laura (Stefania Sandrelli) si lasci trascinare dai piccoli eventi quotidiani, tradita dal marito Federico (Jean-Pierre Duriez), che fa il libraio ed ha una amante giovane e malinconica, la sua impiegata nella libreria. Lo sanno tutti, compresi i figli, salvo ovviamente l'ultimo che ha diciotto mesi. E' una gara dura se sia più triste il matrimonio o l'adulterio, mettendoci per sovrappiù il tentato adulterio -un po' di rivalsa- di Laura col cognato Aldo (Massimo Dapporto). Una stanchezza sentimentale e forse anche sessuale a quarant'anni è difficile da rappresentare, ci vorrebbe più crudezza di visione. La regista è animata da sentimenti più buonisti che buoni, comunque difficili da spendere in situazioni in cui ci vorrebbe una scossa dolorosa piuttosto che una tristezza cronica che ha al capezzale ben cinque figli.

Laura, il cognato Aldo e il figlio piccolo

Poi c'è il tema della scuola, col ragazzo tredicenne Giorgio (Leonardo Ruta) che è intelligente, appassionato per la lettura, ma è rimasto affezionato alla vecchia insegnante che ora è malata, e Giorgio si mette in urto con l'insegnante che ne ha preso il posto. E qui, ogni volta che vedo un film italiano ambientato nella scuola, mi chiedo se sia proprio così difficile che le aule non diano quell'impressione di trascuratezza, con i ragazzi in preda ad uno svaccamento generale. Se è così, siamo messi veramente male, e non si dica che mancano i soldi, che gli stipendi sono scarsi, le riforme non attuate. Saranno tutte cose vere ma deve essere dura sia per ragazzi che per le insegnanti passare le ore insieme. Il lavoro ha una sua ragione molto semplice: se ci si crede, a quel lavoro, si finisce per farlo bene e starci bene. Generalmente, quando uno svolge un lavoro che non gli piace, lo si vede benissimo anche nel tempo libero: è perennemente scontento di sé, fatica ad accorgersi di qualsiasi cosa che abbia un che di positivo.

L'insegnante malata, Giorgio le ha regalato una pianta grassa

La nuova insegnante

La classe di Giorgio

Il tema centrale del film è difficile e coinvolgente: l'amore adoloscenziale. Giorgio, che ha tredici anni, si innamora della cugina Mignon (Céline Beauvallet) che ne ha quindici. Mignon è cresciuta in Francia, la sua famiglia era più ricca rispetto a quella di Giorgio ma adesso il padre ha dei problemi con la giustizia e per un po' di tempo Mignon è ospite dei Forbicioni di Roma. Finirà che Mignon preferirà a Giorgio un ragazzo più grande di età, Cacio (Lorenzo De Pasqua), uno che legge meno libri di Giorgio, un po' borgataro, come dicono a Roma.

Una storia normalissima. Quello che si chiama primo amore, al di là della ossessività e della sofferenza, è quasi sempre una ricerca d'appoggio, un chiedere aiuto di un ragazzo ad una ragazza. Un segno di debolezza, non un segno di forza. La ragazza se ne accorge, ed istintivamente sceglie un altro, rozzo ma deciso. La differenza di età e di aspetto fra Giorgio e Mignon è troppo evidente, a quell'età gli anni -e i mesi- contano. Quindi il tema ne esce sminuito e poco credibile: si capisce in partenza come andrà a finire. Non credo che la situazione dei rapporti adolescenziali sia molto mutata rispetto a decenni fa, a parte la precocità e la disinvoltura dei rapporti sessuali, che in fondo sono anche un balsamo contro il troppo soffrire, meglio così.

Rimane l'incomprensione quasi etologica sul piano dei sentimenti, e ci vogliono comunque anni per cominciare a capirsi, perché scambiare per amore la ricerca d'appoggio è normalissimo, solo che le ragazze se ne accorgono istintivamente e rivolgono il loro amore (che in realtà è la loro ricerca d'appoggio) a ragazzi più grandi e decisi. Fa specie che in quasi tutti i film questo tema sia trattato poco, soprattutto nel passaggio (che avviene un po' più tardi) dalla ricerca di appoggio alla condivisione. Si preferisce fermarsi alla superficie della iniziazione sessuale, soprattutto perché conviene al botteghino (c'è chi per tutta la vita non riesce ad uscire da questa trappola, quindi il voyerismo è una compensazione).
Francesca Archibugi non fa così, tratta il tema seriamente, peccato che abbia forzato la situazione scegliendo fasce d'età ed interpreti che confermano il teorema prima della dimostrazione. Giusta invece la conclusione della storia: Mignon se ne tornerà in Francia raccontando la balla che è incinta di Cacio ( ma non si poteva scegliere un nome meno ridicolo?) e Giorgio comincerà a capire come vanno le cose, e soprattutto a vedere sé in rapporto alle persone. Giorgio potrebbe chiudere con la frase finale che dice Zazie, la ragazzina incantevole e acuta del libro di Queneau: J'ai vieilli.

Manca solo il ragazzo più grande, sta arrivando Mignon

6 commenti:

  1. Sono contenta di leggere la tua recensione... Questo film a suo tempo era stato sommerso da elogi, ma non mi aveva convinta, proprio per tutto quello che dici.
    In quanto alla scuola permettimi di sottolineare un aspetto a cui tengo molto "se ci si crede, a quel lavoro, si finisce per farlo bene e starci bene". Io ne sono assolutamente convinta per averlo provato direttamente. Chi non ama l'insegnamento e non sa rapportarsi ai ragazzi, non accetta le sfide che per forza di cose si devono affrontare, farebbe meglio a cercare un'altra occupazione . Io posso dire, ma sono una mosca bianca, che a scuola ci sono stata sempre bene, senza nascondermi tutte le difficoltà che si devono affrontare, forse proprio per questo. Ciao, giulia

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  2. Concordo. Aggiungo che la Archibugi mi ha sempre fatto un po' rabbia, così come le sorelle Comencini. Avevano iniziato bene, poi sono rimaste ferme lì dove avevano cominciato, ed è un gran peccato.
    Se si pensa ai primi film dei grandi registi (Lo sceicco bianco per Fellini, L'infanzia di Ivan per Tarkovskij, e via dicendo), non si può dire che siano più belli e più riusciti di Mignon è partita. E' quel che è venuto dopo che fa la differenza, e - mi ripeto - è davvero un peccato perché queste ragazze qui di talento ne avevano parecchio.

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  3. Giulia, le so bene le difficoltà della scuola! Mia moglie ha insegnato lettere per molti anni nella scuola media inferiore che sta a duecento metri da casa nostra. Contenta di farlo, quel lavoro le piaceva. Racconto due episodi concreti, per toccare con mano dove sta il problema.
    Primo episodio.
    Durante la terza media si pone il problema di quale scuola scegliere dopo, il cosiddetto orientamento.
    Mia moglie inventò una cosa che la preside approvò. Tutti i sabati, per un'ora, venivano a turno i genitori dei bambini a raccontare alla classe il loro lavoro. Tutti o quasi accettarono volentieri. Piccole difficoltà vennero da qualche piccolo borghese, i proletari e gli acculturati erano contentissimi. In genere veniva il padre, ma anche qualche madre. Una sera mia moglie mi fa: "E' venuto un tuo collega!" Curioso chiedo chi fosse e mi spiega che era collega come informatico, ma di una ditta concorrente, e mi dice il cognome. Era l'amministratore delegato, il number one in Italia.
    "E cosa ha detto?" "Ha detto che era sempre in giro per il mondo ma che l'idea gli era piaciuta ed aveva annullato gli appuntamenti soprattutto per vedere in faccia i compagni di scuola della figlia, ma anche perché gli piaceva essere una volta tanto utile a sua figlia, alla scuola ed alla professoressa. E andandosene disse: "Mi saluti suo marito, che è mio collega!". Un bel furbacchione che però aveva capito.
    Secondo episodio.
    A scuola c'erano due problemi.
    Il primo era che un ricchissimo commerciante iraniano in tappeti aveva regalato alla scuola 14 PC freschi di produzione, pagando anche l'attrezzatura dell'aula informatica.
    Il secondo era che in ogni classe c'erano due o tre non italiani, che avevano difficoltà colla lingua.
    La preside decise che da una parte era meglio togliere due insegnanti dalla cattedra (una di italiano ed una di matematica), dall'altra aumentare il numero di alunni per classe, così i conti tornavano. La professoressa di matematica ebbe la responsabilità dell'aula informatica, così dava supporto a tutte le altre insegnanti quando ce n'era bisogno, quella di italiano teneva lezioni di base a quelli non italiani (che però non vennero tolti dalle classe in cui erano).
    Tutto andava meglio, contenti tutti, i motivi sono evidenti a un comune buon senso. Arrivò la riforma Moratti. Disposizioni del provveditore perché tutti gli insegnanti tornassero in cattedra. Risultato finale: l'aula informatica è abbandonata da Dio e dagli uomini e l'apprendimento di base dell'italiano è molto più faticoso.
    Ma qui viene il bello, che spiega tutto. I nostri direbbero: "E' colpa della Moratti!" No, la colpa è dei provveditori e dei presidi che fanno i burocrati e che si girano secondo il vento, a prescindere da ogni considerazione di buon senso. E' questo il vero problema: "Franza o Spagna purché se magna", la cupidigia di servilismo, a destra o a sinistra fa lo stesso. Penso che la situazione sia molto grave, perché aveva ragione una volta tanto De Gaulle: "L'Italia non è un paese povero, ma un povero paese".
    Lo vedi anche nei blog, i nostri tutti a protestare contro l'individualismo, poi, quando c'è la possibilità e il vantaggio di fare le cose insieme, i primi individualisti sono loro, sai la fatica. Non ne avrei bisogno ma ci credo, per questo insisto finché non mi stufo.

    scusa la lunghezza, ma credo che siano cose utili

    grazie e saluti
    Solimano

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  4. Giuliano, non sarei così drastico. Mica è necessario essere al livello di Fellini o di Antonioni. La Archibugi ha fatto almeno due film molto buoni, "Il grande cocomero" e "Con gli occhi chiusi", malgrado che nel secondo caso i soppacciò abbiano infierito, gente che non ha letto mai una riga di Federigo Tozzi. E anche le due Comencini, di una ho già portato un film qui e se trovo i DVD continuerò. E' una profezia che si autodetermina: il cinema italiano deve fare schifo e finisce che fa schifo davvero. Ieri ho letto una critica molto laudativa de Il mestiere delle Armi di Olmi, a metà critica ho capito dove andava a parare: lodava Olmi per prendesela con Moretti! Bene bravo bis, li conosciamo quelli così.

    saludos
    Solimano

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  5. Caro Solimano, che Francesca Archibugi arrivasse al livello di Antonioni o di Fellini, o di Olmi o della Cavani, a me sarebbe piaciuto tanto.
    Facevo il tifo...

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  6. davvero belle le esperienze che racconti, in quanto alla conclusione sono perfettamente d'accordo con te... Giulia

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