mercoledì 19 marzo 2008

Arca russa

Russkiy Kovcheg, 2002, Regia di Aleksandr Sokurov, sceneggiatura di Boris Khaimsky - Anatoli Nikiforov - Svetlana Proskurina - Aleksandr Sokurov Interpreti: Alexandr Sokurov (il viaggiatore nel tempo, voce fuori campo),Sergej Dontsov (lo straniero, il marchese di Custine) , Maria Kuznetsova (Caterina la Grande), Leonid Mozgovoy (la spia), il Direttore dell'Ermitage Mikhail Piotrovsky (che interpreta se stesso).
Fotografia Tilman Büttner, Scenografia Aleksandr Sokurov, Montaggio Stefan Ciupek - Sergej Ivanov - Betina Kuntzsch, Costumi Maria Grishanova - Lidya Kryukova - Tamara Seferyan, Musiche Sergej Yevtushenko Durata: 96', Produzione: Russia-Germania Rating IMDb: 7.1

Gabrilu sul suo blog NonSoloProust

Un russo di cui non conosciamo il nome e del quale per tutto il film ascoltiamo la voce fuori campo (che nella versione originale russa è dello stesso Sokurov, il regista) si ritrova improvvisamente, senza sapere come e perchè, proiettato indietro nel tempo all'interno dell'Ermitage, il favoloso palazzo (oggi uno dei più grandi musei del mondo) fatto costruire a San Pietroburgo dallo zar Pietro il Grande nel '700. Invisibile a noi ed alla gente che si aggira nel palazzo, ha come suo unico interlocutore un diplomatico francese dell'800, il marchese de Custine. Un uomo del luogo quindi ma fuori del suo tempo e un uomo del passato ma fuori del suo Paese.

L'europeo, il marchese de Custine (Sergej Dontsov)

De Custine fa strada, illustra i quadri, ironizza sulla Russia, sulla sua politica, sulla sua venerazione per l'arte europea ("le vostre autorità non vogliono che abbiate idee autonome") e con lui assiste alle apparizioni di personaggi storici, fantasmi di un passato perduto e resuscitato.

Arca russa del regista Aleksandr Sokurov, presentato al festival di Cannes del 2002 è un fantastico viaggio attraverso tre secoli di storia della Russia, dall'epoca degli zar ad oggi, tra le sale dell'Ermitage di San Pietroburgo.

Vediamo così Pietro il Grande mentre con la frusta insegue un generale, Caterina II giovane e al culmine del potere che assiste ad un balletto e poi cerca una toilette perchè "le scappa la pipì".

Ma la vediamo anche quando, ormai anziana e malandata, insiste per fare la sua solita passeggiata nel gelo dei giardini dell'Ermitage. I nostri due personaggi, approfittando della loro invisibilità provano a seguirla, ma non riescono a starle dietro: "Gli zar non possono essere avvicinati", commenta la voce fuori campo mentre la zarina, al braccio di un servo fedele, li distanzia sparendo nella neve.

Assistiamo alla solenne cerimonia ufficiale con cui lo zar Nicola I riceve l'Ambasciatore di Persia


e vediamo l'ultimo dei Romanov mentre fa colazione con la famiglia. Non è lontano il momento in cui verranno uccisi tutti.

Il film è pieno di salti temporali: c'è la grande stanza del palazzo piena solo di bare: simbolizza l´assedio di Stalingrado col suo milione di morti e nei labirintici meandri delle pinacoteche e delle gallerie delle sculture ci si imbatte anche in visitatori dei giorni nostri e si incontrano ragazzi in jeans e zainetti.

L'ultimo atto prima del crollo della Russia zarista è rappresentato, nel film di Sokurov, dal fantastico ballo finale in cui centinaia di persone, militari, aristocratici, bellissime signore, orchestrali, funzionari, affascinanti giovinette, uomini di governo si accalcano e danzano.


Ma al termine del ballo, la discesa lungo l' immenso scalone condurrà tutti ad una porta oltre la quale si intravede nebbia, desolazione e tempesta: verranno tutti inghiottiti da un'altra storia che li caccerà dalla storia in una scena che, tra parentesi, a me ha evocato alcuni caratteristici momenti del cinema felliniano.

Arca russa è il frutto di una coproduzione russo-tedesca (sono coproduttori pure il museo dell´Ermitage e il teatro Mariinsky di San Pietroburgo).

In questo film più che in altri un discorso specifico va fatto sulla tecnologia e sul metodo di ripresa impiegati.

Arca russa è infatti il primo lungometraggio girato interamente in un solo giorno e con un unico piano-sequenza in soggettiva che dura quanto il film nel tempo reale di 1h.40', senza stacchi né interruzioni.

Il piano sequenza è una ripresa molto particolare e difficile da realizzare sia dal punto di vista tecnico che artistico perchè prevede la ripresa in continuo di una scena, senza interruzione. E' difficile da realizzare per vari motivi. Occorre innanzitutto trovare una scena giusta e crearla nella sceneggiatura in tutti i minimi dettagli, in modo da prevedere già a monte ed inserire tutti gli elementi necessari: deve mostrare elementi importanti narrativamente, i personaggi presenti devono essere in qualche modo determinanti nell'ambito della storia, così come la situazione raccontata.
Nel piano sequenza non c'è montaggio, tutto si svolge (appunto) di seguito e dunque tempo reale e tempo narrativo coincidono.

La difficoltà è anche data dal fatto che la recitazione deve procedere dall'inizio alla fine senza interruzione, deve essere perfetta. E naturalmente tutto, dalla scenografia alle luci deve seguire la ripresa.

Da una piccola ricerchina che ho fatto, ho trovato che il primo ad usare il piano sequenza fu Orson Welles in Quarto potere del 1941. Altri famosi esempi dell'uso del piano seguenza sono in Nodo alla gola di Hitchcock (1948), Brian De Palma in Omicidio in diretta (1998).

Si trattava però, in questi casi, di piani sequenza di durata limitata collocati all'interno di un film realizzato con le normali tecniche di montaggio. La difficoltà per poter realizzare piani sequenza più lunghi era dovuta a motivi tecnici: il caricatore della pellicola sulla macchina da presa non può ospitare infatti più di dieci minuti di film da impressionare alla volta. Da qui l'irrinunciabilità e l'importanza delle successive operazioni di montaggio.

Sokurov è stato il primo ad aver realizzato un intero film in piano sequenza ed ha potuto farlo perchè gli è stato possibile aggirare l'ostacolo grazie alla tecnologia digitale. Arca russa è stato girato con una videocamera Sony HDW-F900 realizzata appositamente; il video è stato registrato in formato non compresso su un hard disk speciale che poteva contenere fino a 100 minuti di filmato.

Un'ora e mezzo di unico e autentico piano sequenza non è davvero roba da poco, soprattutto quando ci si aggira in un palazzo come l'Ermitage di San Pietroburgo e si orchestra un vero e proprio esercito di 867 attori, centinaia di comparse, tre orchestre e 22 assistenti alla regia. Sono stati allestiti 33 set illuminati contemporaneamente per consentire a Tilman Büttner di muoversi in piena libertà lungo i 1300 metri del percorso che lo spettatore attraversa.
La preparazione ha richiesto mesi di prove.

La ripresa è poi avvenuta in un solo giorno, il 23 dicembre 2001. Pare siano stati necessari quattro tentativi di ripresa, poiché i primi tre sono stati interrotti a causa di errori ed ogni volta s'è dovuto ricominciare daccapo.

Forse non è banale chiedersi, in casi come questo, fino a che punto la tecnologia sia al servizio del cinema o se è il cinema a mettersi al servizio della tecnologia.

Arca Russa è un film da cui si può rimanere affascinati ma che può anche, di contro, annoiare sino allo sbadiglio. Le mie personali reazioni sono state di grande interesse, di grande godimento estetico in alcuni passaggi, ma anche di momenti di stanca conditi da qualche perplessità.

Una cosa mi pare certa: molto delle reazioni dello spettatore dipende dall'atteggiamento con il quale ci si predispone alla visione. Il film presuppone infatti una predisposizione mentale a lasciarsi andare al fluire delle immagini senza voler a tutti i costi capire punto per punto i riferimenti contenuti nei dialoghi, altrimenti c'è seriamente il rischio che dopo cinque minuti dall'inizio ci si senta estranei, magari irritati o, nel migliore dei casi, annoiati.

Vediamo tutto in soggettiva, attraverso l'occhio della videocamera e accompagnati dalla voce fuori campo. Camminiamo assieme a lui percorrendo, sentendoci a volte frastornati, il labirinto dell'Ermitage luogo in cui il museo (il passato sotto vetro) e il teatro si incontrano e si riconoscono ("La Russia è come un immenso teatro", dice ad un certo punto l'europeo De Custin assistendo alle cerimonie ufficiali ed alle rigide convenzioni protocollari). Il teatro è presente non solo simbolicamente ma con le rappresentazioni allestite per Caterina la Grande e con la presenza, lungo tutto il film, degli attori in maschera del Mariinsky.

Complessivamente è un film che mi ha dato molti bellissimi momenti, penso in particolare a quelli che si svolgono nelle gallerie dei dipinti e delle sculture mentre sono stata a tratti un po' infastidita dall'eccesso didascalico, nel voler a tutti i costi spiegare simboli e metafore in cui quella dell'Arca è evidentemente la più importante: il palazzo-museo dell''Ermitage, in quanto depositario di una cultura secolare, sopravvissuta al diluvio comunista, come metafora di un'Arca di Noè salvifica .

«Tutti conoscono il futuro, ma nessuno conosce il passato...Siamo destinati a navigare eternamente, a vivere eternamente». dice Sokurov-voce fuori campo al termine del gran ballo che precede la Rivoluzione del '17.

Due parole sulle musiche utilizzate. Sono la Mazurka dall'opera Una vita per lo Zar di Michail Glinka, eseguita dall'orchestra del teatro Mariinskij, diretta da Valery Gergiev, Aria di Georg Philipp Telemann, King Arthur di Henry Purcell, Notturno di Michail Glinka, Melodie antique francaise Op.39-16 - da Album à la jeunesse di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, dirette da Sergei Yevtushenko.

4 commenti:

  1. Gabrilu, la visione del film sarà sicuramente -come dici- impegnativa, ma la lettura del tuo post (assolutamente magistrale) ha invogliato persino ME, di solito incline a pellicole (si può definirle ancora così, nell'era del digitale???) meno imponenti. Il fatto è che si sente, nel sub-strato, la tua passione per la Grande Madre Russia, passione che tu riesci a trasmettere anche agli ignoranti in materia come la sottoscritta.
    Brava e grazie (detto seriamente, senza voler imitare Petrolini!).

    Roby (ripreso pari pari da NonsoloProust)

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  2. Roby ti ho ringraziato lì, ti ringrazio anche qui :-)
    Solimano vedo che non hai resistito al fascino delle jeunes filles wagneriane ^__^
    Avevano tentato anche me ma purtroppo non si può mettere tutto un film, in un post...
    Divertente la battuta di De Custine a proposito delle musiche che secondo lui sono tutte tedesche perchè si sa, i compositori sono tutti tedeschi
    E la foto di gruppo dei morituri Romanov vale più del vecchio The End

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  3. Gabrilu, ho cercato di fare del mio meglio, lo sai che mi piace introdurre qualche personalizzazione a livello immagini, nel rispetto rigoroso del testo. Ma quando, come in questo caso, le immagini sono molto integrate nel testo (cosa che condivido) si può eventualmente fornire una chiave di apertura ed una di chiusura, ed è quello che ho fatto.
    A Wagner posso resistere, ma alle jeunes filles no, come si fa?
    Questo film, che apprezzo molto (non è solo un rutilante sfolgorìo di costumi e di ambienti) è l'ennesima conferma della specificità russa. E tutti a dire "Ah sì! Tolstoj e Dostoevsky!"
    E Turghenev, almeno de Le memorie di un cacciatore, Lermontov, Gogol, anche Cechov (a saperlo leggere senza i cechovismi di certi registi teatrali italiani) e nel Novecento, Nabokov e Bulgakov, Maiakovsky e Clebnikov (chiedo scusa per le translitterazioni). E nel cinema Eisenstein, Pudovkin, il Tarkovsky almeno del Rubliov. E la musica: Mussorgsky, Stravinsky e almeno Shostakovic (Giuliano ha ragionissima). Ma anche gli interpreti, sentiti in teatro: Misha Maisky, Natalia Guttman, Andrej Gavrilov etc etc etc.
    Enormità di spazi, di tempi e di caratteri, gusto di raccogliere sfide impossibili. La cosa difficile da trasmettere a chi non ha visto questo film è la capacità di esprimere anche storie di degradazione, di sconfitta e distruzione, che esistono, anche per la Grande Caterina, figuriamoci per i Romanov. Alla fine, il De Custine fa l'impressione di un grillo parlante che pretende di mettere le brache ad una realtà più grande di lui, figuriamoci delle brache.

    grazie e saludos
    Solimano

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  4. Solimano ma infatti, a proposito di De Custine: io non ho parlato di quello che è uno dei filoni principali del film (che NON è assolutamente un documentario sull'Ermitage, come pensa quacuno) e cioè del confronto-scontro, della possibilità o meno di comunicazione tra Europa (il francese De Custine) e la Russia della voce fuori campo. Il problema è che un post non può e non deve essere un trattato chilometrico, bisogna accettarne i limiti ed operare delle scelte. Io ho puntato sul tema tecnologia.espressione artistica, ma il film (che può anche non piacere, eh, intendiamoci. Sono mica tanto sicura che sia un gran capolavoro) presenta parecchi livelli di possibili analisi.

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