Marianna Ucrìa, di Roberto Faenza (1997) Dal romanzo di Dacia Maraini, Sceneggiatura di Roberto Faenza, Francesco Marcucci, Sandro Petraglia Con Emmanuelle Laborit, Eva Grieco, Bernard Giraudeau, Laura Morante, Philippe Noiret, Laura Betti, Leopoldo Trieste, Lorenzo Crespi, Roberto Herlitzka, Silvana Gasparini, Fabrizio Bentivoglio, Selvaggia Quattrini Musica: Ennio Morricone, Franco Piersanti Fotografia: Tonino Delli Colli Costumi: Danilo Donati (108 minuti) Rating IMDb: 5.4
Solimano
Certi numeri hanno la testa dura, ed i numeri IMDb sono fra questi. Nel caso di Marianna Ucrìa di Roberto Faenza, ad impressionare non è tanto il basso rating: 5.4 è veramente poco, ma nei film in cui i votanti sono pochi bastano un po' di graffitari che votino 1/10 a scompigliare la classifica. Quello che veramente colpisce è il numero di votanti: 64 dal 1997 ad oggi, pochissimi. Scommetto che qualsiasi film storico francese fatto negli ultimi dieci anni qualche centinaio di voti se li è portati a casa.
Che questo sia un film notevole, di molti pregi e pochi difetti racconto in seguito, ma mi faccio una domanda: perché succede così? Non vado in cerca di motivi strani, dico quello che a mio avviso è il principale: in Italia, per film di questo tipo manca il pubblico. Altro che zoccolo duro magari borghese ma acculturato, qui non c'è neppure lo zoccoletto, il battiscopa.
La mia risposta è un po' diversa da quella di Giuliano, che ritiene che la causa sia nella TV e nelle persone che così hanno voluto ed ottenuto che fosse, è che in Italia c'è quel fenomeno che ha definitivamente espresso tanti anni fa Fortebraccio sull'Unità. Scriveva -fra l'altro benissimo- i suoi brevi pezzi quotidiani, ed un giorno se la prese con Agostino Bignardi, un deputato liberale che di mestiere era agrario (come Malagodi) e le parole furono: "l'onorevole Bignardi è istruito ma non colto". Non era un caso isolato, è che storicamente la nostra borghesia è fatta in questo modo, basta che chi ha fatto il Liceo Classico rifletta su come erano generalmente i suoi compagni e le sue compagne di classe e su che cosa si leggesse nelle loro famiglie - ammesso che si leggesse qualcosa oltre ai necrologi sul giornale locale, nel caso della Gazzetta di Parma adornati di belle foto large size dei defunti.
Un buon contributo l'ha dato l'intellighentsia, il cui motto non dichiarato ma praticato era "meno siamo meglio stiamo", con qualche tentativo velleitario che non modificava in nulla la situazione. Un esempio -so che Giuliano dissentirà- fu quello che fece Enzo Siciliano come presidente della RAI: mandare una sera in TV al posto del telegiornale la prima della Traviata alla Scala. Parrà strano, ma per il presente ed il futuro sono ottimista, ci sono azioni e risposte nelle direzioni giuste. Ma qui per il momento mi fermo, sottolineando solo che, nel suo piccolo ruolo, questo blog vorrebbe essere al tempo stesso popolare e colto -simul stabunt simul cadent- forse qualcuno se n'è accorto e ci tornerò.
Non ho letto il libro di Dacia Maraini, quindi sono esentato dai discorsi sulla fedeltà o meno del film al libro e sulle modifiche alla storia raccontata. E' una bella palla al piede, che un regista faccia un film tratto da un romanzo lungo: come fare a comprimere in due ore centinaia di pagine? Sembra una domanda ovvia, ma la risposta è in quello che accade: sono pochissimi i film memorabili tratti da romanzi lunghi, mentre ce ne sono molti di più tratti da racconti di qualche decina di pagine.
Ci sarebbe un altro sistema, che personalmente preferisco: quello di non fare il film su tutto il libro, ma concentrandosi su un episodio piuttosto breve. Un esempio forse piccolo ma non trascurabile è quello che ha fatto Francesca Comencini con Le parole di mio padre, tratto da due capitoli de La coscienza di Zeno. Con Marcel Proust è stato fatto qualcosa del genere con buoni risultati ed anche con Giacomo Casanova. Non parlo del film di Federico Fellini che fa storia a sé, parlo di alcuni film mirati, tratti dalle Memorie di Casanova o da un racconto di Schnitzler che a Casanova fa riferimento.
Come al solito, la regola è che non c'è regola, ma se riflettiamo su Joseph Conrad o su Graham Greene scopriamo che, fra i tanti film che ne hanno tratto, il meglio c'è quando il riferimento è ad un testo breve (Heart of Darkness, ad esempio), altrimenti si finisce per accumulare, e non va bene. Il che vorrebbe dire che i vecchi romanzi sceneggiati della TV erano nel giusto (specie se non c'era Anton Giulio Majano, quello che raccontava la fatica che gli toccava fare per togliere da Dostoevskij la psicologia...). Perfino film pregevoli, come Le relazioni pericolose di Stephen Frears e Ritratto di signora di Jane Campion soffrono di questo eccesso di offerta.
Così succede a Faenza col suo film, perché la storia è di anni su anni, piena di accadimenti di ogni genere, però ha la fortuna di avere una centralità obbligata sul personaggio di Marianna Ucrìa, impersonato da due attrici diverse come età, proprio per la durata: da ragazzina e giovane sposa e madre è Eva Grieco, da donna giovane e poi matura è Emmanuelle Laborit, entrambe benissimo in parte, anche se le lodi sono state maggiori per la giovanissima Eva Grieco. Emmanuelle Laborit, figlia di Henry, il grande biologo e scrittore, è effettivamente sordomuta, come il personaggio di Marianna Ucrìa.
Sto sulla prima parte, in cui troviamo Marianna ancora bambina. Il nonno (Philippe Noiret) la porta ad assistere ad una impiccagione per vedere se la scossa emotiva la costringe a parlare, ma il risultato sarà che Marianna prenderà volentieri come sua serva Fila (Selvaggia Quattrini), quasi sua coetanea, il cui padre è stato impiccato.
Marianna è sveglia e capace, sa dipingere, gioca a scacchi col nonno e imparerà molto da un precettore francese, Grass (Bernard Giraudeau) che porta in Sicilia il vento illuminista e quello empirista e scettico dello scozzese David Hume, salvo essere poi mandato via per opera di un fratello prete -in ogni famiglia ci sono ecclesistici e cappelle di sepoltura con scheletri rivestiti e tutto il consueto armamentario.
Un giorno la madre (Laura Morante) le prospetta il matrimonio -ormai è ora, Marianna ha quasi quattordici anni- e le dice di sposare un suo fratello, lo zio Pietro (Roberto Herlitzka), più anziano che giovane. Marianna risponde con un bel No! sulla lavagnetta che l'accompagna sempre.
Ma si troverà a diciassette anni sposata con Pietro e già con tre figlie, con Pietro che anela ad avere finalmente un maschio. Ama le sue figlie, ma il marito le repugna specie a letto, Marianna quando può vive in campagna. E muore il nonno che l'amava, accoltellato di notte all'uscita del bordello che frequentava. Come era costume, c'è una bella lotta in famiglia sul testamento, perché il nonno aveva privilegiato Marianna, che ha un buon rapporto anche con la nonna (Laura Betti). Fila è praticamente cresciuta con Marianna, ora in casa c'è anche Saro (Lorenzo Crespi), il fratello di Fila.
(continua)
Solimano, se devo essere sincera non ho capito qual'è, secondo te, il vero motivo per cui in Italia "per film di questo genere manca il pubblico". Libro e film saranno pure stupendi, non discuto. Non lo so perchè non li conosco, però mi pare un tantino esagerato elaborare, basandosi sulla scarsità di voti su imdb tutta una teoria sulla borghesia italiana che, tranne poche eccezioni, sarebbe tutta una massa di gente "istruita ma non colta". Ma forse davvero non ho capito quello che intendevi dire.
RispondiEliminaBonne nuit
Un film che ricordo volentieri, anche se l'ho visto parecchi anni fa, quando era uscito. Spero che capiti l'occasione di rivederlo, ma sarà dura, vista la programmazione attuale.
RispondiEliminaGabrilu, su questo tema ci sarebbe una bella discussione da fare, e credo che prima o poi la faremo anche con altri.
RispondiEliminaLa mia tesi è quantitativa, non qualitativa. Ci sono certamente in Italia nolte persone che oltre che istruite sono colte (e la c'è la differenza), solo che dove da noi sono le migliaia in altri paesi sono le decine di megliaia, dove da noi sono le decine di migliaia in altri paesi sono le centinaia di migliaia e così via. Per "altri paesi" intendo Francia, Germania, Inghilterra, con cui culturalmente vorremmo e dovremmo misurarci. Ma non è una estrapolazione indebita da quattro numeri IMDb, faccio qualche esempio di quello che c'è in rete.
Mi piace guardare i quadri, i siti dei musei italiani sono ad un livello indecoroso, sembra che a mettere immagini abbiano paura che gli portino via il quadro.
Mi piace il cinema, ieri ho messo la seconda parte della conversazione di Arbasino con cinque immagini di film italiani non sconosciuti: nessuna deriva da un sito italiano.
Il sito di gran lunga migliore su Carlo Emilio Gadda sta ad Edinburgo.
Ho i numeri dei visitatori/anno di diversi musei italiani: sono in crescita, ma ad un livello del tutto ridicolo rispetto all'estero.
I numeri delle tirature dei libri li conosci meglio di me, e sai come sono diversi.
La programmazione culturale TV la conosci, dimmi una trasmissione paragonabile ad alcune che fanno in Francia, con buon successo di pubblico.
I motivi sono tanti, ed anche storici, ma c'è una responsabilità di chi sa ed ama ciò che sa.
Per almeno tre motivi.
Il primo è che il "meno siamo meglio stiamo" esiste, stile turris eburnea, tendono a contarsela tra di loro anziché ampliare il giro.
Il secondo è che si fatica a lavorare insieme, in queste cose non è per niente vero chi fa da sé fa per tre, certi progetti richiedono una massa critica di persone.
Il terzo è che, in un paese in cui l'ignorantaggine è storicamente forte, sembra che si scusino di sapere le cose: l'ignoranza non è una colpa, ma l'ignorantaggine va combattuta in tutti i modi, con fierezza, competenza e capacità di dire le cose facendosi capire.
Il nostro è un paese in cui ci sono caminonate di TIR di depliant turistici e strenne lussuose pagate dalle banche in cui c'è tanta roba, ma che stanno chiuse negli scaffali dei felici pochi che manco le sfogliano.
C'è bisogno di divulgazione acculturata, ed ho fiducia perché localmente stanno uscendo diverse ottime iniziative sorte dal basso, tipo il Festivaletteratura di Mantova, e la filosofia a Modena, la musica a Ravenna, Ferrara, Reggio Emilia e via andare. Sono queste cose che cambiano la situazione, non i festival di Spoleto d'antan, che se la contavano fra di loro.
Se poi, intanto, fra i blog si stabiliscono utili collaborazioni sarebbe meglio, ma vedo nettamente prevalere la cura del piccolo orticello, a cui sono tutt'altro che contrario, ma si può anche fare altro, faticando di meno, divertendosi di più, ed essendo più utili. Io ci provo, cercando di non perdere tempo nelle direzioni sbagliate. Dagli errori si può imparare.
grazie e saludos
Solimano
Si, caro Solimano. A me va bene (quasi) tutto.
RispondiEliminaPerò ancora non mi riesce di capire dove stia il senso di un'equazione che partendo da: "rating imdb di un film =pochi e nemmeno buoni" si possa arrivare a considerazioni/teorizzazioni generaliste del tipo: "siccome la Marianna a me me gusta, vuol dire che coloro cui la Marianna no gusta sono borghesucci istruiti (forse) ma certo non costrutti".
Così, era tanto per dire. Mica voglio insistere. Smile.
Caro Solimano, concordo su tutta la linea, anche se dispiace. Il mio parere sulla vicenda di Enzo Siciliano riguarda non tanto il fatto che lui abbia fatto più o meno bene a imporre l'apertura della Scala il sabato sera su RaiUno, quanto l'enorme stupidità e volgarità mista a sicumera dei commenti degli "esperti & addetti ai lavori". In sintesi, l'idea che se Panariello fa più spettatori di Giuseppe Verdi, allora Panariello è meglio di Verdi. (Panariello funziona meglio per vendere pannolini e merendine, su questo non ci sono mai stati dubbi).
RispondiEliminaDel film, ripensandoci con più calma, ricordo la Laborit, e ricordo anche l'occhiata sul manicomio, dove andavano a finire anche i sordi... Meno male che possiamo dire "altri tempi" !!!