mercoledì 20 febbraio 2008

L'amore molesto

L'amore molesto, di Mario Martone (1995) Dal romanzo di Elena Ferrante, Sceneggiatura di Mario Martone Con Anna Bonaiuto, Angela Luce, Gianni Cajafa, Peppe Lanzetta, Licia Maglietta, Anna Calato, Italo Celoro, Carmela Pecoraro, Giovanni Viglietti, Lina Polito, Enzo Paolantoni, Piero Tassitano, Marita D'Elia, Sabina Cangiano Musica: Steve Lacy, Alfred Shnitke, "In a Matter of Speaking", "Tanti Auguri", "Dicintecello vuje", "Tarantella del Gargano" (secolo XV) Fotografia: Luca Bigazzi (104 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Conosco pochi, fra i film di livello, irritanti come L'amore molesto di Mario Martone, ma fra i film irritanti ne conosco pochissimi che è bene vedere più di questo film. Cerco di chiarire sia l'una che l'altra affermazione.
La storia, di per sé, non è nuova e dopo dieci minuti abbiamo capito tutti che Delia (Anna Bonaiuto), attraverso la ricerca sugli ultimi giorni di vita della madre Amalia (Angela Luce) -morta annegata in mare- in realtà sta cercando se stessa, al di sotto della vernice di efficiente disegnatrice di fumetti che vive single a Bologna.

Si capiscono altre due cose, che piacciano o meno.
La prima è che emergerà una personalità più sul versante Es, dionisiaco, umorale, istintivo, anche amorale.
La seconda è che nel film i personaggi maschili avranno rilievo solo come accidente della sostanza, che si incarna nelle personalità femminili.
Non ho letto il libro di Elena Ferrante, ma credo che sia così: non è certo la prima volta che succede. Le scrittrici, anche come révanche al maschilismo storico, hanno da tempo (vogliamo dire da Jane Austen?) questa tendenza centripeta sui personaggi femminili.
Non sono questi i motivi dell'irritazione, una scelta vale l'altra, conta il come la si persegue. Il fatto è che Martone usa mezzi di ogni tipo per fare in modo che noi, di fronte al suo film, ci si senta ammirati ma per nulla coinvolti. Ce ne rende difficile la fruizione, lo fa in modo consapevole usando diversi mezzi, suoi e del brodo culturale in cui è cresciuto.

Il linguaggio, anzitutto, e qui accade un fatto che non riguarda solo Martone. Come le grandi scuole autoriali, attoriali e musicali della Napoli dei decenni precedenti (ricchissimi di talenti) erano cadute nella facilità -ci si erano proprio buttati, altro che caduti- così, per contrappasso, Martone ed i suoi contemporanei cercano un trobar clus il cui definitivo risultato è che si capisce meno della metà delle frasi che dicono. Ho pensato che sarebbe stato bello che ci fossero fior di sottotitoli. Un esempio appena precedente che andava già in questa direzione è Massimo Troisi, esaltato da tanti con sospetta unanimità, vorrei vederli decodificare all'impronta certi lunghi monologhi. E La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone è un altro esempio. L'irritazione nasce dal fatto che sono tutte opere di autori ad alto livello. E' comprensibile la loro reazione alla facilità partenopea che così a lungo aveva imperversato, anche attraverso il Festival della Canzone Napoletana in cui fra le molte canzonette fatte a copia carbone ce n'era ogni tanto qualcuna che cantiamo tuttora.

Ma il trobar clus non finisce qui: iterazioni inutili, come dei repetita juvant a studenti somari (che saremmo poi noi) si uniscono ad elisioni secche, che ci mettono a disagio sui tempi, sugli spazi, sull'identificazione dei personaggi del passato e del presente. Da far sembrare il Michelangelo Antonioni de L'eclisse un modello di facilità comunicativa.
Il film continuiamo a guardarlo, distaccati, irritati, anche un po' annoiati. Continuiamo a guardarlo perché abbiamo capito che il talento rappresentativo di Martone è grande: città di Napoli, oggetti, case, androni, negozi, persone soprattutto.

E qui intervengono le doti degli attori, tutti credibili (anche se il personaggio non ci è arrivato), in primis Anna Bonaiuto che traversa il film come se fosse la padrona di tutto e al tempo stesso fosse in balia di tutto e di tutti.
Una esperienza quasi unica: esistono attrici più belle, forse anche più brave, ma quando c'è lei, la noia irritata se ne va. Non è un discorso di erotismo (anche, magari), è una personalità non ferma come roccia che non crolla, ma che si costruisce durante il film, forte in ogni momento del suo farsi. Anche quando non s'aggira più col vestito rosso ma col tailleur blu-azzurro di mamma Amalia, sul treno che la riporta a casa.
Volutamente, inserisco le immagini non seguendo la storia del film, ma all'impronta, come mi va, tanto in ognuna di esse si coglie la bellezza del modo di Martone e Bonaiuto, non dimenticando anche Licia Maglietta e Angela Luce.

Però non voglio che i salmi si chiudano in gloria e faccio tre considerazioni acidule.
1. Ho guardato i votanti per il rating dei film di Martone in IMDb: non c'è un film suo in cui i votanti superino quota 100 (il massimo è L'odore del sangue con 97). Non si può dare la solita colpa alla struttura di marketing inesistente riguardo i film italiani, o all'ignoranza crassa delle centinaia di migliaia di sfogliatori di IMDb: un talento così deve sapersi fare apprezzare di più.
2. Questo è un film che ha avuto sovvenzioni da Rai 3 come film di interesse culturale. Qui è un discorso pericoloso, ma facciamo a capirci. Si può discutere se è giusto che queste sovvenzioni ci siano o no, ma visto che ci sono, il senso di responsabilità degli autori dovrebbe portarli a realizzare opere di fruizione meno difficile da parte degli spettatori: questo non è certo sinonimo di censura, un regista può spendersi in diversi modi a seconda della situazione produttiva.

3. Questa talentuosità inespressa, o troppo espressa, mi porta a un pensiero strano, che è del tutto coerente, purtroppo, con la situazione generale di Napoli, dal punto di vista politico, economico, culturale. Dopo le illusioni del Rinascimento (do you remember?), oggi la sensazione è che Napoli sia ripiombata nei problemi che sembravano allora in via di soluzione. In questo vedo anche una responsabilità degli artisti, spesso intelligenti e capaci, ma che quando si tratta di venire al dunque scantonano seguendo sentieri impervi, solitari, escludenti, sotto un apparente nuovismo. Il che ci può stare per un libro di poesie, per qualche musica, ma il cinema lo si fa perché lo si veda, non per proiettarselo addosso: se gli spettatori mancano, bisogna cercare che ci siano. Non è solo questione degli uffici di marketing, ma del modo usato dagli artisti.

4 commenti:

  1. Caro Solimano, questo film mi piacque molto. Rimasi impressionata dal nudo di Angela Luce, quella fisicità notturna e un po' sinistra di lei che balla sulla spiaggia, del fuoco, del suo amico Caserta che ghigna e il mare di pece dietro (non so spiegare perché, ma ho sempre associato tutto a un Goya...) Gli attori e la città, strepitosi. La storia si segue come fosse un ronzio in sottofondo, è vero. Ma io sono per Napoli e per quel dialetto che trovo fastosamente, malinconicamente dimesso. Concordo anche sull'impegno che dovrebbero avere gli artisti, ma i tempi sono cambiati e forse l'arte non è più quella di una volta.
    Un caro saluto
    Laura

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  2. Mi associo in pieno :-)
    Gran bel film e grandi interpretazioni.
    Vi segnalo anche il sito di uno degli attori del film...un bel sito pieno di notizie.
    www.peppelanzetta.it

    Giovanni

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  3. Martone è un altro esempio di come funziona il cinema italiano... Il talento c'è, ma l'irritazione è più che condivisibile.
    Del resto, non è una novità: ricordo ancora certi momenti paurosi al cinema con film di Maselli, Peter Del Monte, e altri ancora - paurosi nel senso della noia abissale. Non che i film fossero brutti, ma insomma.
    Anche con certe cose di Antonioni e Fellini si rischiava molto, seduti sulla poltroncina del cinema al buio, ma si aspettava con fiducia: venti minuti di grande cinema c'erano sempre, o quanto meno si imparava qualcosa.

    Che dire, Solimano? Che hai ragione, e condivido in pieno lodi e irritazione.

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  4. L'ambientazione a Napoli è una delle cose più belle del film. E' talmente inerente alla storia, che si fa fatica a parlare di location, ed anche a prendere immagini singole. E' una immagine drammatica, con tratti laidi e con momenti di bellezza inattesa, non di monumenti, anche in questo Martone è personalissimo.
    Il richiamo a Goya che fa Laura riguardo alla scena vicino al falò sulla spiaggia è un richiamo che condivido, non il Goya delle pitture nere ma il Goya di certe feste ubriache e torbide, quelle successive ai quadri iniziali tipo il Parasole o il Pelele, ma quelli delle processioni a Sant'Isidro, e sicuramente anche a certi Caprichos, in cui c'è di frequente il nesso donna giovane - donna vecchia.

    saludos
    Solimano

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