domenica 20 gennaio 2008

Gli animali nel cinema: il gatto (2)

Solimano
Sono circa le tre di notte. Siamo ad Hollywood nel 1973. L'uomo disteso sul letto è il detective privato Philip Marlowe (Elliot Gould). Stanco dopo una giornata intensa, si era disteso sul letto per leggersi una rivista fumandosi l'ennesima sigaretta, ma si è addormentato di botto (meno male che la sigaretta l'aveva già spenta), lo si capisce perché la luce è ancora accesa, Marlowe ha le scarpe ai piedi, mentre la rivista ed il portacenere sul letto sono sue cattive abitudini.
Ma in casa, oltre a lui, c'è un altro essere vivente: il suo gatto, che ha fame. Dapprima gli gira intorno miagolando, poi, siccome Marlowe non dà segni di vita, ricorre al metodo infallibile: camminargli sopra.
A quel punto, faticosamente Marlowe si alza, capisce la situazione, ma prima effettua il rito di tutte le mattine (ma quale mattina... sono le tre di notte!), che è di accendersi subito una sigaretta.


Poi apre il frigorifero per prendere la scatoletta del cibo per gatti, ma la scatoletta è vuota. "Fa niente", pensa Marlowe "ho in cucina quattro o cinque altre scatolette, ne aprirò una". Solo che non considera che le scatolette non sono della solita marca, la Quick Cat (nom de plume, in questo blog non facciamo pubblicità), e il gatto, appena ha il cibo davanti, se ne accorge e non mangia: lui vuole solo la Quick Cat. Continua a miagolare e fa pure il ruffiano, balzando sulla spalla di Marlowe per fargli sentire quanto gli vuole bene.


Marlowe è uno che pensa e che poi decide rapidamente. Si infila la giacca (le scarpe le ha già), ed esce di casa per andare in macchina all'unico supermercato aperto anche di notte.
Al supermercato attacca bottone con un giovane commesso nero, che gli dice che le Quick Cat sono finite, ma che ci sono altre marche e che non c'è problema, tanto, testualmente: "Mettono la stessa merda in scatole diverse". Marlowe ha una illuminazione (ogni tanto gli succede, nel suo mestiere le illuminazioni servono) e dice al commesso, che trova simpatico: "Perché non ti prendi un gatto anche tu?". Il ragazzo risponde: "Ma io ho già la ragazza!" Marlowe pensa che la ragazza è meglio del gatto, almeno non ti sveglia alle tre di notte perché ha fame.
Tornato a casa, mette in pratica l'illuminazione avuta al super. Prende la scatola vuota della Quick Cat e di nascosto dal gatto, apre una delle scatole prese al super e ne trasferisce il contenuto nella scatola Quick Cat. Poi recupera il gatto e fa tutta la scena dell'apertura della scatola, del mettere il cibo nel piattino eccetera, ma quando si viene al dunque il gatto annusa, ma poi si ritrae, perché capisce che non si tratta della Quick Cat, e lui mangia solo Quick Cat.


A questo punto, Marlowe, per la disperazione, si chiude nella stanza accanto, ma il gatto continua a miagolare strusciandosi sulla porta. E meno male che di lì a poco per Marlowe comincia una giornata in cui rischierà la vita due o tre volte, così penserà meno al gatto, ma alla fine del film il tema del gatto riemergerà prepotentemente, fra un po' di tempo lo racconterò.
P.S. Il film "Il lungo addio" (The Long Goodbye) di Robert Altman è del 1973, ed è tratto dal romanzo di Raymond Chandler che è del 1953. Sono quindi passati più di trent'anni dal film, che non è per niente invecchiato, e ne ho la controprova: la mia gatta nera Fascistona si comportava tre anni fa esattamente come il gatto di Marlowe. A duecento metri da casa nostra c'è un veterinario, che si è fatto ricco anche grazie al nostro contributo e che, a fronte di un disturbetto di Fascistona, ci fece comprare trenta scatolette di un mangime speciale: niente da fare, Fascistona voleva il suo tipo di Quick Cat e solo quello. Le trenta scatolette rimasero sopra il frigorifero poi le buttammo, non sapevamo che farcene. Credo che chi abbia avuto un gatto per casa confermerà la dura realtà: i gatti fanno di testa loro, non danno retta. Che bestie che sono! Che abbiano ragione?


5 commenti:

  1. Caro Solimano, non ho mai avuto gatti, ma da amici ed amiche che ne hanno ho ricevuto conferma di quanto scrivi. Forse le "bestie" siamo noi, e sono loro che ci addomesticano, con tenacia e caparbietà. Però, "Fascistona", che nome, per una gatta (che suppongo bella e NERA)! Chissà che tipo di scatolette prediligeva, invece, il Gatto di Audrey/Holly?

    Miaoooo!!!

    Roby

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  2. Ho avuto in giro per casa due gatti: il siamese mangiava solo polmone crudo, e la milza che però non gli davamo mai perché lo faceva star male. Per tutto il resto, pesce compreso, annusava e andava via scuotendo la zampina davanti in segno di disgusto.
    Però diventava matto (letteralmente, guai a lasciare in giro il vasetto aperto!) con le olive verdi in salamoia, e se c'era in giro la torta andava a lasciare il segno dei baffi sullo zucchero a velo.
    L'altro no, l'altro magnava tutto. Una vera chiavica, pace all'anima sua: gli ho voluto molto bene, ma la verità è la verità.

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  3. Tra i gatti che ho posseduto (che mi hanno posseduto?) quella che per me ha fissato l'immagine della gattità fu la prima, che -non avendo noi bambini trovato un accordo sul nome- chiamavamo semplicemente "gatta". L'avevamo trovata cucciola e appena abbandonata, quasi impiccata alla rete di un giardino di palazzo. Forse fu questo trauma infantile, forse quelli che le infliggemmo da quando fu adottata, Gatta crebbe un felino di pessimo umore e con chiari segni di squilibrio.
    Tra questi ricordo l'abitudine, conservata fino nella più estrema vecchiezza, di succhiare i ricami dei cuscini come se fossero i capezzoli della mamma, facendo le fusa per ore.
    La notte, l'incauta persona che si dirigeva verso il bagno attraverso il corridoio scuro, sentiva un trottolio leggero alle spalle e subito dopo dieci artigli ben estratti che si piantavanao nel polpaccio. Vivemmo in questo piccolo terrore per tutti i dieci e passa anni della sua lunga vita.
    Le piaceva sdraiarsi sulle gambe di quelli che, spaparanzati sul divano, guardavano la televisione, e pure faceva affettuosamente le fusa. Ma non appena uno spostava la gamba, veniva artigliato dolorosamente.
    D'estate la portavamo dalla zia Sarina in Romagna. Odiatice di tutti gli altri animali, gatti compresi, cacciava via i numerosi felini della zia da casa, con gran scandalo della vecchia contadina, e li riammetteva solo quando la si caricava in macchina per far ritorno a Milano.

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  4. Ho fatto i conti, morì a 17 anni, mentre ero all'estero.

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  5. La gatta Fascistona (nerissima) ci creo dei problemi perché voleva ricambiare il cibo che le davamo. Sia in terrazza che fuori casa era sempre in agguato dei passerotti: una volta presi, li portava in casa e li metteva sotto il tavolo da pranzo, poi, miagolando forte, faceva in modo che andassimo a vedere la sua bella impresa. Chissà, si aspettava che noi lo mangiassimo, noi facevamo sparire il povero passerotto senza che lei se ne accorgesse. Ma anche i merli ed i piccioni dovevano stare in campana. I gatti hanno un approccio personalizzato ad ogni membro della famiglia, però andava in confusione quando non ci sedevamo nella solita poltrona, perché abbinano persona a location e le due cose andavano in contrasto.
    Il veterinario, dopo la dipartita, voleva darci un gattino, ma gli abbiamo detto di no. Chi non li ha avuti non ci crede, ma ai gatti ci si affeziona. Per me il primo motivo è che il gatto è naturalmente bello in qualsiasi manifestazione, ha una sua eleganza persino sulla sabbiera.
    La prendemmo che aveva già cinque anni perché una coppia si era separata e non sapevano che fare con la gatta, e ci mise tre settimane ad adottarci, poi cominciò a girare con la coda dritta in verticale, segno di completo controllo del territorio (il territorio eravamo noi).

    saludos
    Solimano

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