Notre Dame de Paris, di Jean Delannoy (1956) Dal romanzo di Victor Hugo, Sceneggiatura di Georges Aurenche, Jacques Prévert Con Gina Lollobrigida, Anthony Quinn, Alain Cuny, Jean Danet, Robert Hirsch, Danielle Dumont, Philippe Clay, Maurice Sarfati, Jean Tissier, Valentine Tessier, Jacques Hilling, Jacques Duphilo, Boris Vian Musica : Georges Auric, Angelo Francesco Lavagnino Fotografia : Michel Kelber, Costumi : Georges K. Benda (115 minuti) Rating IMDb : 6.4
Solimano
Il rapporto di Victor Hugo col cinema è decisamente vittorughiano, non se ne poteva dubitare. Solo nel 1909 uscirono undici film, fra cui quattro puntate dei Miserabili. Non ho trovato la durata, ma suppongo che ogni puntata se la sbrigasse un quarto d’ora, il cinema va veloce.
IMDb in totale riporta 134 titoli, ma se fosse in borsa sarebbe un titolo a rischio, a volte speculativo a volte dimenticato, non certo un titolo da cassettisti. C’è qualche bell’anno sabbatico, nel decorso, in cui Victor Hugo sembra scomparso (ad esempio, l’ultimo titolo è del 2003), ma tranquilli, ricomparirà e diffusamente, come certe influenze, forse più benigne che maligne, ma certo contagiosissime, che in pochi mesi invadono tutto il pianeta.
Va detto che Victor Hugo, ormai da decenni, si è dovuto accomodare spesso in TV, il che fa specie, visto come lo scrittore è ingombrante lo scatolotto lo sentirà stretto, ma non è detto che sia una brutta sorte: un buon romanzo sceneggiato in otto puntate (forse anche di più) è la fine migliore che possono fare “I miserabili”, altrimenti non vedo come si possa fare. Nei film, più che ai titoli dei romanzi si punta ai personaggi, tre su tutti: Quasimodo (quasi sempre come “Il gobbo di Notre Dame”), Rigoletto ed Esmeralda. Anche Jean Valjean, Fantina, Cosetta, ma un po’ di meno. Ogni tanto pure qualche Gavroche, forse fatto bene. Ruy Blas ed Ernani compaiono, ma in genere si tratta teatro fatto al cinema. “I lavoratori del mare” e “L’uomo che ride” sono quasi del tutto assenti, ma sono rimasto impressionato dalla mancanza di “Novantatre”, che è un romanzo, forse l’unico, che rileggerei volentieri.
Mancano i film capolavoro, ma chi può indicarne uno per Tolstoj, Dostoevskj, Goethe, Proust? Il caso di Shakespeare è anomalo, c’è sempre il discorso se si tratti di teatro o di cinema. Mentre, e non è un caso, molti ottimi film sono derivati da Dickens, Balzac, Austen, Wilde, James, Conrad. Quando ho fatto l’ultimo saccheggio alle Librerie Paoline di Milano, mi è venuto sott’occhio il “Notre Dame de Paris” di Delannoy del 1956, con una bella copertina di Esmeralda che balla davanti a Notre Dame. Sul retro ho visto che nel cast c’erano Cuny e Quinn e che alla sceneggiatura ha messo mano anche Prévert. Costava meno di dieci euro e me lo sono preso.
Dopo averlo visto -è stata la prima volta- credo di aver fatto bene a comprare il DVD, anche se ho trovato alcuni difetti. Anzitutto, l’originale del film andrebbe restaurato, perché i colori appaiono degradati, e non credo sia colpa dell’edizione: il problema, che è grave e generale, riguarda molti film a colori usciti alcuni decenni fa, non so, per quanti sforzi meritori si facciano, se sarà possibile un totale ripristino. Poi, c’è solo la lingua italiana, e questa è colpa dell’edizione. Questo film è da vedere in francese, magari con i sottotitoli in italiano, ci guadagnerebbe sicuramente e il coinvolgimento dello spettatore sarebbe maggiore.
Ma i difetti più gravi riguardano proprio il film, anche se più che di difetti si tratta del fatto che certi gusti sono molto cambiati dal 1956 ad oggi. Anzitutto, due parti sono fastidiose: quella di Pierre Gringoire (Robert Hirsch ) e di Gaston Phebus de Chateaupers (Jean Danet). Il gusto per la nominologia di Victor Hugo è sterminato, Gabriele D’Annunzio è solo uno scolaretto in confronto. I due attori sono entrambi grassocci, suvvia, non si possono dare parti da poeta o da cavaliere erotomane a due soprappeso. Già questo non li rende credibili, ma è il modo a peggiorare le cose. Perché il poeta, nel 1956, era sinonimo non di testa matta, ma di testa persa, uno che non sa vivere ed in compenso scrive andando a capo spesso. E il cavaliere Phoebus, se lo vedesse qualsiasi Duca di Mantova, anche il più afono, sorriderebbe di sprezzo. Ah, il Rigoletto! Victor Hugo è stato il trampolino, ma il capolavoro l’ha fatto Giuseppe Verdi, con l’aiuto dei versicoli disposti a tutto di Francesco Maria Piave (che però funzionano).
Il quartetto del Rigoletto resiste a tutto, è mirabile perfino nell’esecuzione di quei quattro sbandati di “Amici miei”, che lo cantano per sfottere Rambaldo Melandri, di mestiere ufficiale architetto, ma il mestiere reale è di perdersi dietro le poche donne che lo fanno soffrire, le molte che lo amerebbero non gli interessano, gente così è bene sfotterla. Prévert, che firma in parte la sceneggiatura, cerca di aiutare, con qualche battuta anarchico-romantico-realista un po’ riciclata da Les Enfants du Paradis, ma qui non funziona, perché a complicare ancora c’è la Corte dei Miracoli priva della grandezza sia pure costruita ed umorale di Victor Hugo, un felice anacronismo storico.
Però le tre grandi parti sono bene assegnate. Claude Frollo (Alain Cuny) è il meglio che ci poteva essere, con la passione amorosa che la religione e l’alchimia rendono torbida e spietata. Si sente il timore degli altri, quando passa in mezzo uno così, dal Re di Francia, al Re dei Pazzi. Meriterebbe da solo la visione del film. Ma poi c’è Quasimodo (Anthony Quinn), gobbo enorme, fortissimo e malconciato, che si aggira come uno scimmione innamorato fra le guglie della grande cattedrale, con acrobazie vertiginose (il regista si è fatto bene aiutare). Però l’innamoramento a Quasimodo fa un effetto mirabile, diviene coraggioso, delicato, cerca di fare tutto quello che può per Esmeralda (Gina Lollobrigida), fino ad abbracciarla dopo morta e morire così, abbracciato a lei. Un caso singolare: una modalità di questo genere si ritrova perfino in un successone degli anni Novanta, “Il paziente inglese”, vedete come l’inesauribilità di Victor Hugo colpisce ancora, magari pure uno probabilmente inconsapevole come Tony Minghella.
Mi soffermo su Gina Lollobrigida. Lo so, molti -e molte- non la trovano appropriata, con quell’aria da eterna Bersagliera da una parte rifatta come guardaroba, dall’altra col volto fumé perché gitana, la parte è quella. Ma sono persone cattive, quelle che non apprezzano. Anzitutto, l’assenza di mistero nello sguardo -tutti a lodar le donne misteriose- è una virtù, quella delle persone buone, e così è la Bersagliera fatta Gitana. In realtà, Gina Lollobrigida, prima dei film di Comencini, la fantasia e la gelosia, aveva fatto due film con Gérard Philipe, “Les Belles-de-nuit” e “Fanfan la Tulipe” , e fece belle parti in film tratti da Moravia, con l’altro suo ruolo: quella della moglie borghesuccia che ci tiene alla rispettabilità, però anela a salire con le armi che ha, e sappiamo quali. Parti più ingenue che perfide in cui era bravissima. Come Esmeralda qui o come Regina di Saba successivamente non sarà rapinosa, ma è assai gradevole come aspetto e movenze. Non fa danno, sa perfino ballare e cantare, ed in questo film c’è una sua esibizione di cui parlerò in un altro post. Il problema vero fu che chi le stava intorno non seppe programmare bene la sua carriera, come invece successe a Sofia Loren.
Ma vengo al regista Delannoy. Considerato che si era nel 1956, ebbe molto coraggio, aiutato in questo dagli sceneggiatori Aurenche e Prévert. Perché, con esempi che parranno incredibili, in quasi tutti gli altri gobbi o esmeralde c’è il lieto fine, perché il racconto di Hugo (pubblicato 125 anni prima!) sembrava troppo crudo. Delannoy resistette anche alle pressioni perché Frollo non fosse un prete, ma solo uno studioso un po’ fuori di testa. Non stava bene né l’alchimia né che un arcidiacono di Notre Dame combinasse tali cose. E nell’edizione inglese -gli americani protestanti erano ancor più puritani dei cattolici- Frollo non è sacerdote. Poi Delannoy ha trovato dei produttori disposti a spendere, perché la location di Notre Dame è falsa e bugiarda, è tutta roba ricostruita, da non crederci vedendo il film. Ma ricostruita così bene, non solo le guglie, i pinnacoli, le finestrature, i camminamenti in alto, ma anche e soprattutto la facciata, con le dorature ai bassorilievi che nel 1482 c’erano, così bene che certamente la metterò come luogo, falso in origine ma infine vero nella nostra immagine mentale, che è quella che conta. Viene voglia di tornare subito a Notre Dame e rivederla, a partire dalle vetrate, che appaiono con i titoli di testa.
Infine, gli animali. Eh sì! Gli asinelli, il gatto nero, ma soprattutto la capretta che è sempre in compagnia di Esmeralda e che dicono che sia un diavolo. Non ci credete, è un animale mansueto, lattifero ed intelligente: indovina perfino la carta giusta sul sagrato di Notre Dame de Paris! Toccherà fare un post anche per questo piccolo zoo, visto che Roby e Giuliano si danno da fare con la vista logica Gli animali nel cinema.
Mi ricordo bene la Lollobrigida nel film di Clair, accanto a Gerard Philipe: era così bella che mi ero chiesto chi era quell'attrice francese...
RispondiEliminaMa Renè Clair era davvero un maestro (vedere "Grandi manovre").
bape
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