lunedì 24 dicembre 2007

Alexandre... un uomo felice

Alexandre le bienheureux, di Yves Robert (1968) Sceneggiatura di Yves Robert, Pierre Lévi-Corti Con Philippe Noiret, Françoise Brion, Marlène Jobert, Paul Le Person, Tsilla Chelton, Léonce Corne, Pierre Richard Musica: Vladimir Cosma Fotografia: René Mathelin (100 minuti) Rating IMDb: 7.6
Ottavio
Come è noto, ogni nuova invenzione o scoperta non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall’uso che se ne fa. Basti pensare all’energia atomica. O, a livello della nostra vita quotidiana, al telefono cellulare.
Per fare un esempio, da quando questo attrezzo è entrato nell’uso comune (ammetto che non se ne può più fare a meno) non riesco più a ripararmi dietro la mia incompetenza negli acquisti al mercato o al supermarket, e quindi scansare le relative corvée. Cioè, ora, col fido cellulare al seguito, mi reco al supermarket, osservo e riferisco, come un buon carabiniere, alla moglie remota, ed aspetto le disposizioni. Il tutto attraverso il diabolico dispositivo.
Qualcosa del genere succedeva al buon Alexandre (il grande Philippe Noiret) nel vecchio (1968) film Alexandre le bienheureux di Yves Robert. Ma andiamo con ordine.
Alexandre è un piccolo proprietario terriero della campagna francese che conduce la sua attività di agricoltore agli ordini (proprio!) di una moglie manager (Franςoise Brion) soprannominata “la Grande”.
La donna non lo aiuta ma gli pianifica in dettaglio l’attività in modo insopportabile, sicché Alexandre trascorre l’intera giornata al lavoro nei campi. Lo stress raggiunge il picco più alto quando la moglie scopre che con le radio ricetrasmittenti riesce a “guidare” anche da lontano le operazioni. E così assistiamo alla scena in cui Alexandre, sdraiato presso un covone di paglia per tirare il fiato in una pausa del lavoro, viene bruscamente aggredito dal gracchiare della radio che gli intima di raccogliere le zucche del Lussemburgo (ecco il riferimento alle righe iniziali). Insomma, una brutta faccenda.

Fortunatamente le pene del nostro coltivatore stacanovista cessano improvvisamente il giorno in cui la moglie muore in un incidente d’auto tornando da un funerale. Ora finalmente Alexandre, dopo anni di schiavitù, può tirare il fiato, alzarsi quando gli pare, andare a pesca invece di lavorare, riscopre insomma i piaceri dell’ozio. Sono memorabili le scene in cui Alexandre costruisce un sistema di corde e carrucole che collegano la sua camera da letto alla cantina, da cui può prelevare i salumi e mangiarseli direttamente a letto.

Questa vita beata potrebbe continuare indefinitamente, ma la radicale metamorfosi preoccupa la gente del villaggio: quella pigrizia conclamata rischia di essere un esempio deplorevole per l’intero villaggio, di conseguenza i compaesani si mobilitano per tentare di restituire ad Alexandre il gusto del lavoro: gli rapiscono il cane Kalì, gli tendono trappole... ma inutilmente, Alexandre è troppo felice della nuova vita.
Forse, pensano i compaesani, ci vuole un nuovo matrimonio per rimetterlo al lavoro come aveva fatto “la Grande”! Mandano allora in avanscoperta la bella droghiera Agata (Marlène Jobert) che si offre di sposare il ricco agricoltore in disarmo. Con la pazienza e le dovute moine la bella Agata fa breccia nel cuore di Alexandre, che infine si dispone ad accettare il nuovo passo.
Alexandre non deve essere però del tutto convinto perché all’ultimo momento, in chiesa davanti all’altare, se la dà a gambe inseguito dalla promessa sposa che lo chiama disperatamente. La scena è semplicemente mondiale: alla fatidica domanda “Vuoi tu sposare la qui presente…” Alexandre viene colto dal dubbio, in un lungo silenzio sempre più imbarazzante. Si scuote perché Agata comincia a schioccare le dita per sollecitarlo a rispondere, e allora prorompe in un “No, Noooooooooo…” e corre via.
Alexandre è definitivamente libero e “felice”.
Forse il film non è “politicamente corretto”, come hanno scritto alcuni, ma io l’ho trovato “ una deliziosa favola sulla pigrizia ambientata in una provincia francese raccontata con affetto” come Kezich.
Aveva tutto per piacermi, la vita in campagna, i personaggi del paesello, i cibi genuini; insomma, la nostalgia per il bel tempo antico.
Più in generale, l’esercizio di questo blog mi rammenta spesso film come questo, buoni prodotti artigianali (ma questo ha la chicca della presenza di Noiret). Un contributo che posso dare, come riconoscimento del buon tempo che mi hanno fatto trascorrere, è di toglierli dal dimenticatoio e raccontarli.

2 commenti:

  1. Di questo film avevo solo un vago ricordo, che mi è tornato quando ho letto del sistema di carruvole per non muoversi dal letto...
    Adesso mi verrebbe voglia di vederlo, tanto più che c'è Noiret (si direbbe una parte alla Michel Simon, o forse un Oblomov)

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  2. Ottavio, sono incuriosito dal tema, che vedo collegato alla pigrizia come virtù positiva intesa da Lorenz, che sosteneva che gli animali sanno che, quando si è risolto il problema alimentare e della sicurezza dalle specie predatorie, la cosa migliore da fare è non fare assolutamente nulla o comunque qualcosa di gratificante e che rafforzi la socialità (come spulciarsi...).
    Ma mi incuriosisce anche il Noiret giovane, che non ho mai visto.
    Ho solo un dubbio esistenziale: come si fa a dire "Nooooooo!" a Marlène Jobert? Io non ci riuscirei.

    saludos
    Solimano

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