sabato 17 novembre 2007

L' inferno

L'Enfer, di Claude Chabrol (1994) Sceneggiatura Claude Chabrol Con Emmanuelle Béart, François Cluzet, Nathalie Cardone, André Wilms, Marc Lavoine, Christiane Minazzoli, Dora Doll, Mario David, Jean-Pierre Cassel, Thomas Chabrol, Noel Simsolo, Yves Verhoeven, Amaya Antolin, Jean-Claude Barbier, Claire De Beaumont Musica: Matthieu Chabrol Fotografia: Bernard Zitzermann (100 minuti) Rating IMDb: 7.0
Laura
"Sono stufo. La lascio. Se non la lascio, prima o poi lo so, le spaccherò la faccia. " Furono queste le parole che un amico del liceo usò per mettermi al corrente che non reggeva più l'esuberante bellezza della sua ragazza. Ci diventava matto, si era convinto che, tempo qualche mese, lei lo avrebbe lasciato per uno migliore di lui. La chiamava a casa nel cuore della notte. Se di giorno ritardava qualche minuto all'appuntamento le faceva il terzo grado. Così la lasciò, anticipando quella mossa che la sua mente in via di corruzione le aveva attribuito. In quella follia, almeno, vi fu un minimo di saggezza: la faccia non gliela spaccò.
La gelosia è davvero una brutta bestia. Si scatena tutta nella testa, invade ogni anfratto dei neuroni, ingabbia qualsiasi pensiero e lo getta nel sospetto più assoluto, senza pietà. E' quello che succede a Paul Prier ( François Cluzet ), giovane proprietario di un grazioso albergo in riva al lago. Sia lui che Nelly, (una moglie bellissima ed estroversa interpretata da Emmanuelle Béart ), sono estremamente disponibili con i loro ospiti. Soprattutto Nelly che col suo carattere frizzante mette sempre tutti a proprio agio come se facessero parte di una grande famiglia. Fare l'albergatore come lo fa Paul significa caricarsi di un notevole stress. Ed è proprio sotto la coperta di questo stato nervoso che trova terreno il sentimento principe di questo film. Paul inizia ad assumere sonniferi e tranquillanti per dormire, per quietarsi, ma nelle ore diurne la sua mente inizia a registrare gli spostamenti della moglie su un'altra lunghezza d'onda. Le parole che dice, i modi che ha con i clienti e le sue assenze per i motivi più ovvi vengono visti sotto una luce nuova. Le gentilezze - ricambiate - che Nelly ha per il meccanico Martineau ( Marc Lavoine ) e il tempo che trascorrono insieme iniziano a tarlare la mente di Paul col sospetto del tradimento. Eppure Nelly è affabile con tutti, comportamenti così li ha sempre avuti.

Ma a Paul non basta, e comincia a imbastire sospetti e prove presunte per quella che si rivelerà essere la sua camicia di forza. La gita al lago di Nelly e Martineau, le diapositive che quei due hanno guardato al buio insieme, le visite che Nelly fa alla madre, o quella bugia sul prezzo di una borsa per Paul non sono più le azioni che sua moglie ha sempre compiuto con normalità ma indizi su cui studiare un piano per smascherarla. Inizia a pedinarla senza alcun esito. Il sospetto volge in ossessione durante la proiezione serale di un filmino girato da uno degli ospiti dell'albergo.

Le scene spesso mostrano Nelly in tutta la sua allegria, ma la pellicola non è la stessa che scorre davanti agli occhi di Paul. Lui vede abbracci, sguardi sensuali in cui la moglie, truccata vistosamente, si concede a Martineau. La sua immaginazione, supportata dalle risate degli astanti che si stanno divertendo, lo porta a schiaffeggiare la moglie davanti a tutti e a rovinare la festa.

Paul non si ferma alla tresca che ciecamente vede, ma ne confeziona altre. Ci sono due bicchieri vuoti nella stanza del cineamatore? Uno appartiene sicuramente a Nelly. E il braccialetto ritrovato in soffitta? Non c'è dubbio: le sarà caduto dal polso durante un rapporto occasionale con il cameriere. La mente di Paul non si accontenta dei sospetti, ora è più vorace e si alimenta solo di certezze folli. Occorre prendere dei provvedimenti, e mentre l'albergo si spopola velocemente a causa dei suoi scoppi d'ira, Paul giunge al punto di voler sorvegliare Nelly costantemente.

La riempie di sonniferi, la lega al letto. Lui intanto si rade in bagno con un rasoio a serramanico, ma l'immagine che vede allo specchio non è di se stesso intento a farsi la barba, bensì quella di un uxoricidio. Sta succedendo solo nella sua mente? E' già successo? Fuori, c'è un'ambulanza che aspetta. Non si sa per chi dei due sia venuta. Il film termina con la scritta " senza fine ". Forse perché i processi mentali sono in incessante divenire, forse perché la gelosia appartiene al dna del genere umano.
In questo film non c'è amore, non c'è fiducia nell'altro, né speranza o via d'uscita. C'è solo l'evoluzione della gelosia che crea una realtà fittizia, come fa il narratore della Recherche alle prese con Albertine. Si perde memoria dell'idillio avvelenando ogni particolare con congetture e ipotesi insensate, rischiando la paranoia. Tutto diventa soliloquio ossessivo, dove la vittima perde spessore e diventa fantasma ancor prima di essere eliminata fisicamente. Chabrol converte il confine tra verità e menzogna nel dubbio che riesce a instillare nello spettatore. Siamo sicuri che Nelly sia davvero così innocente? E' troppo bella, simpatica, affettuosa, si è portati a pensare che, un po' se la sia cercata. Il vero e il falso, per un istante si confondono. Eppure ci si rifiuta di stare dalla parte di Paul, malato, cattivo, ingiusto. Fa paura considerare che per un attimo ognuno di noi potrebbe comportarsi come lui. Il guaio è che lo si diviene senza accorgersene, perché gli errori vissuti dall'interno, non ci sembrano mai tali. Si diventa gelosi quando qualcosa o qualcuno attenta a ciò che consideriamo nostra proprietà. Purtroppo (o per fortuna) nulla lo è, ricordarlo sempre fa la differenza.

4 commenti:

  1. Bella/Brutta storia, molto credibile nella sua incredibilità. Ma io di inferno ne preferisco un altro, questo:

    Metti lo diavolo
    de lo corpo tuo
    ne lo mio 'nferno...

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  2. Brian, vedo che delle due gran donne di Monza tendi a privilegiare Virginia de Leyva, detta la Monaca di Monza, che il Manzoni denomina Gertrude, mentre se continui così, farai piangere la nostra religiosissima regina Teodolinda. E comunque la novella del Boccaccio è bellissima, anche per l'ingenuità della monacella romita.
    Laura, il film l'ho visto, anche perchè attratto dalla Béart che non aveva ancora proceduto a sciagurate operazioni di tipo siliconico.
    Mi è piaciuto, come mi succede quasi sempre con Chabrol, anche se ce ne sono altri più intriganti, perché la gelosia ha in sé un po' del monocorde, è un po' noiosa e ridicola, può anche essere pericolosa.
    C'è una cosa che hai colto e che aveva colpito anche me: l'atteggiamento della moglie, che sembra faccia apposta a lasciare adito a qualche sospetto.
    Ma è molto naturale che sia così, mentre la persona gelosa soffre, il partner o la partner un po' ne gode, perché la gelosia, non portata fuori corsia, è una lusinga, e magari ci si gode, nel provocarla.
    Il guaio vero è che la gelosia, come l'invidia (sono due sentimenti naturalissimi) si tende a celarla, vergognandosene. Così facendo, le si rafforza, mentre ci vuole così poco a dire: "Sono geloso!", oppure: "Sono invidioso!" (che lo si dice con ancor maggiore difficoltà).
    E' un segno di amore imperfetto, quindi di amore, perché l'amore perfetto esiste solo nei messaggini dei Baci Perugina. E' che ognuno di noi punta ad un territorio esclusivo, e il sacro vincolo a volte non è una palizzata sufficiente, visto che la natura non ci ha fatto monogami.
    Un'altro guaio è che si piomba in lagni, lamenti, rimostranze, rimbrotti, tutte cose molto pericolose, perché provocano la noia del partner, un tu mi stufi fatale, per cui la gelosia può diventare una profezia che si autoretermina, come in Le cocu magnifique. Per cui ho un sospetto: che quello che vogliono i gelosi sia proprio l'essere realmente traditi? Magari per dire a sé stessi: "Avevi proprio ragione!"

    good night
    Solimano

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  3. Cara Laura, premetto che non ho visto il film quindi le mie sono solo impressioni ricavate da quanto leggo. A me sembra che la gelosia ossessiva del protagonista sia lo sbocco di un disagio interiore che si sarebbe manifestato comunque, magari in altre forme e in altre circostanze. Perchè la gelosia, in sè, è un fenomeno del tutto naturale. Infatti ne soffrono anche i bambini che si sentono spodestati alla nascita di un fratellino o di una sorellina. E' un sentimento che non deve essere represso, nascosto, negato, e con cui è meglio fare i conti subito per evitare che si rafforzi fino a diventare ossessione. Mi sembra che anche Solimano dica più o meno la stessa cosa, anche se in maniera più articolata.
    Comunque io, che ragionevolmente gelosa lo sono, non ho mai considerato l'altra persona una mia proprietà nè muoverei mai un dito per trattenerla, se decidesse di andarsene. La porta è sempre aperta, senza timori di lagne o rimostranze da parte mia. Ma il tradimento, la slealtà, l'inganno, questo no, non potrei sopportarlo.

    Un caro saluto
    H.

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  4. Beh, Brian, potrebbe essere una soluzione...

    Solimano, sì, sarebbe bello dire ad alta voce tante cose. Una volta ci credevo. Lo facevo. Pensavo fosse meglio (la verità non lascia mai una scia di equivoci) Invece non funziona mica tanto. Finisci per sembrare un pazzo, e per di più, solo. Sarebbe tutto più semplice e bello se avessimo persone attorno capaci di pensare "E' invidioso! (o E' geloso!) Ok, la sua è una forma di amore imperfetto. Adesso, quasi quasi, lo amo di più." Ma quando succede?
    Scoprirsi così, dimmi: perché? Ricordamelo, se sai la risposta.

    Habanera, io penso che quando certi desideri, oltre che essere troppo belli diventano anche veri, rivelano tutta la loro insostenibilità e allora ci si ritrova a maledirli perché si sono confusi con la terra, le pietre. Paul Prier, la moglie bella, l'albergo che funziona. Quel mio lontano amico che ambiva a spaccare facce. Quando non devi più lottare per ottenere ciò che vuoi potresti annoiarti e rovinare tutto per liberartene. E ricominciare daccapo, in un modo nuovo.
    Per carattere, mi aspetto sempre un po' di tutto. Poi magari, non succede niente. Ma in una cosa credo fermamente: si vive facendosi momentaneamente compagnia (amici, consorti, i figli stessi.) Tratti di strada insieme mentre si aspetta.

    Un caro saluto
    Laura

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