martedì 20 novembre 2007

Alberto Moravia al cinema: Il dottor Zivago

Alberto Moravia
Recensione del film "Il dottor Zivago" di David Lean.
Da Al cinema, Editore Bompiani, Milano 1975
Come sembra lontano oggi il successo del Dottor Zivago. Analogo a quello del Gattopardo di Lampedusa, esso rivelò, alla vigilia del boom economico italiano, la stanchezza del pubblico per la letteratura impegnata e la sua nostalgia per una narrativa elegiaca e di stampo tradizionale nella quale il passato fosse sottratto alla storia e ridotto agli affetti. A dire il vero Il dottor Zivago non era affatto tradizionale o per lo meno apparteneva a una tradizione poetica (il simbolismo russo dei primi anni del secolo) molto diversa da quella alla quale inconsciamente anelavano gli sprovveduti lettori. Ma il pubblico non volle vederci soprattutto che una storia d’amore secondo il gusto del momento; una storia, cioè, nella quale il sentimento d’amore che nella realtà è sempre fatto di tutto oltre che di amore, era depurato di ogni elemento non passionale e trionfava solitario sullo sfondo pittoresco e remoto della maggiore rivoluzione del secolo. Il successo del dottor Zivago fu così anche dovuto a ragioni politiche. Ma in senso puramente negativo: non si voleva una politica contraria o diversa da quella che predominava nella realtà di tutti i giorni; più radicalmente e qualunquisticamente, non si voleva nessuna politica. Per fortuna nel dottor Zivago c’era dell’altro: prima di tutto la poesia di Pasternak, coi modi e le formule, come abbiamo accennato, del simbolismo fin de siècle; e poi, l’idea singolare e inquietante che, in certe epoche, la storia possa essere altrettanto catastrofica e nemica dell’uomo e della civiltà che la natura. Ma tutto questo, il pubblico o non lo avvertì affatto oppure lo accettò confusamente come cornice prestigiosa e genericamente culturale dell’intreccio sentimentale. Anche per merito (o colpa) dell’autore il quale, saccheggiando abilmente il ricchissimo repertorio della narrativa classica russa, era riuscito a montare un romanzo di tipo ottocentesco, con una storia assai complicata e una folla di personaggi a tutto tondo.

Il regista David Lean e lo sceneggiatore Robert Bolt, ricavando il film omonimo dal romanzo di Pasternak, hanno voluto tenere conto soprattutto di questa indicazione del pubblico. Evidentemente David Lean avrebbe potuto tentare di fare un film d’autore; ma nei film d’autore quello che conta non è la storia bensì, appunto, l’autore. Per questo, egli ha preferito girare un film commerciale sia pure di un genere elevato e accurato; cioè un film non diverso dai suoi precedenti Il ponte sul fiume Kwai e Lawrence d’Arabia. Il dottor Zivago non riprende né la poesia né l’ideologia di Pasternak; ma punta invece, con enfasi talvolta eccessiva, sull’amore, operando la solita trasformazione della storia in melodramma. Che cos’è infatti il melodramma al cinema se non il film storico, cioè il film in cui la storia serve da sfondo alla passione amorosa? D’altra parte il melodramma tradizionale, vogliamo dire quello dell’Ottocento, aveva sempre un carattere spiccatamente realistico: sulla scena si vedevano degli ambienti ricostruiti con cura meticolosa, dei costumi riprodotti con estrema precisione. E Il dottor Zivago è infatti anche questo: una ricostruzione, crediamo, oltremodo fedele e accurata anche se inerte di luoghi, ambienti, paesaggi, costumi e personaggi del tempo della rivoluzione russa. L’interpretazione è intonata al genere del film. Vorremmo tuttavia notare che mentre i volti molto anglosassoni di Rita Tushingham, di Alec Guinness, di Tom Courtenay, di Julie Christie, di Rod Steiger e di Geraldine Chaplin sembrano adatti ai personaggi che questi attori interpretano, Omar Sharif, la cui faccia ha una densità ed inespressività di tipo orientale, non riesce a convincerci del tutto di essere il dottor Zivago. In realtà il volto umano non è un oggetto della natura, come un albero o un animale, bensì un prodotto di cultura. Nel volto di Omar Sharif c’è un’aura culturale diversissima da quella del personaggio di Pasternak. Tanto diversa da farci pensare qualche volta che l’attore, mentre dice oppure fa una cosa, coi tratti del volto ne esprime un’altra.

2 commenti:

  1. Solimano, Julie Christie nella prima immagine di questo post ricorda la Donna con cappello di Klimt e nella seconda una creatura partorita dal pennello di Mucha...

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  2. Laura, mi hai dato un'ottima idea! E' troppo tempo che non prendo immagini di Klimt e di Mucha. Prossimamente, lo farò certamente per il Nonblog.

    thanks
    Solimano

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