domenica 7 ottobre 2007

La musica al cinema: Barry Lyndon e la Follia di Spagna

Giuliano
Chi ha visto i film di Stanley Kubrick sa quanto importante sia in essi la musica, sia dal punto di vista del commento che da quello narrativo. E, da questo punto di vista, cioè della musica che sorregge e accompagna la narrazione, il film esemplare, il punto più alto, è “Barry Lyndon”. C’è molta musica in “Barry Lyndon”, ed è difficile entrare nel dettaglio; ma si possono distinguere tre fasi principali. Nella prima, all’inizio (la giovinezza di Barry Lyndon) predomina la musica folk dei Chieftains. I Chieftains sono un gruppo famoso, fondamentale, attivo da più di mezzo secolo: cornamuse, zampogne, uilleann pipes, percussioni, melodie tipiche dell’Irlanda, della Scozia e dell’Inghilterra; Kubrick pesca a man bassa dal loro repertorio e ha solo l’imbarazzo della scelta. Ci sono poi le marce militari e le fanfare: la “Hohenfriedberger March” dei prussiani, ma anche (nel primo arruolamento di Barry) il “Lillaburlero”, che da lettore di Sterne e del Tristram Shandy non posso passare sotto silenzio. La seconda parte, quella centrale del film con l’ascesa di Barry fino al rango di gentiluomo, è dominata da Schubert: per la precisione, l’Andante (secondo movimento) dal Trio in mi bemolle maggiore per violino, violoncello e pianoforte D929. Su questo brano, e su questo momento del film di Kubrick, sono state scritte molte pagine: vi invito ad andarle a cercare, i libri su Kubrick sono tanti e quasi tutti molto belli e ben informati. Da parte mia, mi limito a sottolineare – ancora una volta – come Kubrick costruisca le sequenze, fotogramma per fotogramma, sul Trio di Schubert: contando le battute, e andando a tempo come farebbe un musicista.
Poi ci sono delle piccole curiosità, come l’aria del Barbiere di Siviglia che si ascolta come sottofondo a una delle tante partite a carte: ovviamente non è Rossini, è Giovanni Paisiello (1782: il Figaro di Rossini fu un remake di successo, andato in scena nel 1816). In questo film c’è così tanta musica che sono costretto a sorvolare sul Concerto in mi minore per violoncello di Vivaldi, su Purcell e su Mozart (marcia dall’opera “Idomeneo”), e perfino sul “Concerto per due clavicembali” di Johann Sebastian Bach; non sorvolerò invece sulla musica che accompagna la scena dell’illusionista, il mago che diverte il bambino figlio di Barry. Si tratta ancora di Schubert, e delle sue “Danze tedesche”: Schubert fece arrangiamenti di diverse danze, dal valzer al minuetto, ed è un ascolto così bello e piacevole che posso solo raccomandarvi di cercare un disco che le contenga tutte. Di Schubert ascoltiamo anche (ma solo per un attimo) l’Improvviso op.90 n.1, per pianoforte.

Ma a questo punto inizia la terza parte, ed è l’inizio della fase discendente nella carriera del libertino, e cominciamo ad ascoltare un nuovo tema conduttore: è il tema che verrà ripreso nei titoli di coda, alla grande, e che rimane in testa per un bel po’ dopo la fine del film. Su questo tema musicale, i titoli di coda sono piuttosto reticenti. Sì, è vero: è la sarabanda (cioè un tempo lento e solenne) dalla Suite XI per clavicembalo di Georg Friedrich Haendel. Ma c’è sotto un arrangiamento (magnifico, bisogna dirlo) di Leonard Rosenman, musicista nato nel 1924, che fu allievo di Schoenberg. E, soprattutto, sotto questo tema musicale riecheggia uno dei grandi cavalli di battaglia di tutta la storia della musica: il tema della “Follia di Spagna”.
La “follia” era una danza che fu popolarissima, attestata a partire dal secolo XVI. Come molte altre danze dell’epoca, si presume una sua origine americana; e del resto le composizioni musicali, con Johann Sebastian Bach in testa, sono ricche di nomi di danze: ciaccona, sarabanda, allemanda, giga, gavotta, minuetto, corrente...Ma il tema della follia, così come quello de “L’homme armé” nel ‘400 e ‘500, è forse quello che ha ispirato la maggior parte di compositori, anche in secoli diversi.
L’elenco è lunghissimo: il primo a scrivere delle variazioni sulla “Follia di Spagna” fu Arcangelo Corelli, a Roma, verso la fine del ‘600; ne circolavano molte versioni diverse, ma la sua “Sonata in re minore op.5 n..12 per violino e basso continuo” è da considerarsi la versione di riferimento. A Corelli seguirono Geminiani, Vivaldi, Lully, Marin Marais (due volte, per organici diversi), Mauro Giuliani, Carl Philipp Emmanuel Bach, e tanti altri fino a Rachmaninov, ormai nel Novecento.
La “follia” è citata anche da Mozart e Lorenzo Da Ponte, nel “Don Giovanni”: “Senza alcun ordine la danza sia / chi il minuetto, chi la follia, chi l’allemanda / farai ballar...”; dall’elenco mi manca Beethoven, ed è un peccato. Ma Beethoven scrive dopo il 1789, non è più tempo di follia, di follia ce ne è già stata a sufficienza, verrebbe da dire – ma sarebbe una battuta troppo facile.

Preferisco invece ricorrere ad uno dei miei maestri, un Maestro che conosco solo per le conversazioni radiofoniche (in realtà, vere e proprie lezioni universitarie, sotto forma di chiacchierata). Si tratta di Paolo Terni, che su Radiotre ha parlato spesso di questi temi; e spero di non farlo troppo arrabbiare con questa sintesi. La danza ha origini religiose, antichissime: musica e danza erano uno dei mezzi per entrare in contatto con l’aldilà, così come hanno fatto per secoli gli sciamani, e come fanno ancora oggi, nel mondo sufi, i “dervisci rotanti”. Danzare fino allo stordimento, e anche allo svenimento: era tipico dei riti orfici e dionisiaci, ed è qualcosa che davvero si può definire “follia”. Tutto questo è ben presente anche nelle forme più ordinate di musica, in Beethoven e Haydn così come nel canto gregoriano. Ma la danza, e la musica, nascono anche (o soprattutto?) dai ritmi del lavoro. Il lavoro del fabbro, o quello del seminatore, richiedono ritmo. L’andare a tempo è indispensabile, e lo è anche (e soprattutto) per i lavori che vanno fatti insieme. Anche questa è una forma di stordimento, di follia: ordine e stordimento, in questo caso, vanno finalmente d’accordo.
Con il lavoro non va molto d’accordo, invece, il povero Barry Lyndon: è forse il suo difetto principale. Gli è stato insegnato di tutto, ma non questo: conosce l’onore, la violenza, i trucchi, i giochi d’azzardo e gli assi nella manica; non conosce il lavoro duro e paziente, e non so se questa sia davvero la lettura giusta del film – ma è la mia lettura, e – bisognerà pur dirlo prima di finire - il film di Kubrick è meraviglioso da qualsiasi parte lo si guardi, o lo si ascolti. Non è importante la mia lettura, ma la vostra. (E spero di non aver fatto troppi errori: l’argomento è davvero complesso).
PS: Per chi volesse approfondire, sulla “Musica secondo Stanley Kubrick” esiste un libro intero: l’ha scritto Sergio Bassetti per le edizioni Lindau, e mi è stato prezioso per alcune cose che mi erano sfuggite. (Passi per la “Hohenfriedberger March”, ma che mi sfugga qualcosa dell’Idomeneo di Mozart è davvero grave...).

5 commenti:

  1. Il Trio di Schubert e la Sarabanda di Haendel si ripresentano diverse volte, sono come il segno del destino personale di Barry Lyndon.
    Ho sempre trovata curiosa la scelta di Schubert, che è fuori dal quadro cronologico in cui si svolge il film. Sono arrivato alla conclusione che Schubert corrisponde ai momenti più emotivamente simili allo Sturm und Drang o addirittura al preromanticismo. Difatti, nel duello Barry non si comporta da uomo del Settecento, ma dell'Ottocento, con quella assurda e appunto romantica generosità verso il figliastro che lui sa benissimo che ne sarà ancora più invelenito, e quindi gli sparerà.
    C'è un nesso curioso fra i due post che abbiamo messo oggi: sono dello stesso anno, il 1975, quindi non si può dire che Allen per le battaglie ebbia tenuto conto di Barry Lyndon, anche perché sugli schermi è uscito prima il film di Allen rispetto a quello di Kubrick.

    saludos
    Solimano

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  2. Caro Solimano, anche il Barbiere di Paisiello è un anacronismo: di una quindicina d'anni, ma nel film si fa una data precisa, 1774, e l'opera di Paisiello è posteriore (anche Beaumarchais, se non ricordo male).
    Kubrick si pone delle regole, ma poi - quando serve - le supera. Ho letto l'intervista dove parla di Full metal jacket, dice che lì è stato molto attento: tutte canzoni presenti all'epoca dell'offensiva del Tet, 1968 credo. Non ho la competenza per controllare, però penso che lì non servissero strappi alle regole, con le canzoni è molto più facile.
    Oltretutto, la musica del Settecento non si presta molto a operazioni come quella fatta da Kubrick con Schubert: penso che questa sia la ragione principale.

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  3. Giuliano, lo penso anch'io: Kubrick sapeva che per andare avanti non occorreva soltanto l'immedesimazione ma anche il distacco: le motivazioni vere degli avvenimenti sono chiare a lui, mentre non lo sono ai suoi personaggi. E' una differenza importante e giusta, se fosse altrimenti si finirebbe nel libresco e la rappresentazione avrebbe prevaricato sui personaggi, che debbono vivere la loro vita iuxta propria principia, guai se no, diverrebbero dei manichini o dei portatori di ideologie.

    saludos
    Solimano

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  4. Si potrebbe aggiungere che, nella versione italiana, il narratore è Romolo Valli: nettamente superiore anche alla voce originale...
    Con una voce come quella di Valli, anche il narratore va messo alla voce "musica".

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  5. La marcia dall'Idomeneo di Mozart è alla fine della scena in cui Barry viene premiato dall'esercito prussiano, dopo aver salvato l'ufficiale nella casa bombardata.
    Fa da collegamento con la scena successiva, quando l'ufficiale gli affiderà un incarico di spionaggio.

    L'Idomeneo è la prima opera "importante" di Mozart: ne aveva già scritte molte fin da quand'era bambino, ma qui si esprime con piena maturità e autorità personalissima (ma tutto questo dalla marcia non si capisce...)

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