mercoledì 10 ottobre 2007

Gosford Park

Gosford Park, di Robert Altman (2001) Idea di Robert Altman e Bob Balaban Sceneggiatura di Julian Fellowes Con Maggie Smith, Michael Gambon, Kristin Scott Thomas, Camilla Rutheford, Tom Hollander, Jeremy Northam, Bob Balaban, Ryan Phillippe, Stephen Fry, Kelly Macdonald, Clive Owen, Helen Mirren, Emily Watson, Alan Bates Musica: Patrick Doyle (ma Jeremy Northam suona e canta diverse sue canzoni) Fotografia: Andrew Sunne Art direction: Sarah Hauldren Set decoration: Anna Pinnock Costumi: Jenny Beavan (137 minuti) Rating IMDb: 7.2
Solimano
Per me si è rivelata una impresa impossibile fare il solito mixing del parlato in inglese e dei sottotitoli in italiano, dopo un quarto d'ora ho messo la lingua italiana togliendo i sottotitoli: i personaggi sono tanti, parlano molto e le voci si sovrappongo. Inoltre l'occhio vuole la sua parte, c'è molto da guardare, come esterni, interni, arredi, vestiti, persone. Anche animali, diversi cani da compagnia e da caccia e molti fagiani, destinati ad una brutta fine, proprio come ne La regola del gioco di Renoir, che è la prima fonte di ispirazione a cui attinge Altman. Ce ne sono anche altre: l'Agata Christie di Dieci piccoli indiani è evidente anche se di superficie, ed in genere i tanti gialli in cui il delitto c'è, e tutti sono sospettabili.
Ma non credo che Altman avesse l'intenzione primaria di fare un film giallo; ha sempre amato sperimentare, quindi, visto che c'era, ha fatto un film giallo vero, condito con l'umoralità di un investigatore che sa un po' di Clouseau e di Hulot. Difatti non risolverà un bel niente, mentre noi capiamo benissimo che cosa è successo e perché.

Il centro vero del film è il cinismo nei rapporti fra i personaggi, trenta o più, come Altman aveva fatto in Nashville (1975), in America oggi (1993), in Pret-à-porter (1994). In tal modo noi possiamo giungere a nostre conclusioni dalla sua rappresentazione, impropriamente definita "corale". Non è un coro, sono storie di individui, di coppie, di gruppi che si intersecano fra di loro. Il collegamento non è la sofistica ma prevedibile circolarità della Ronde di Schnitzler e di Ophuls, ma una geometria non euclidea che lascia spazio al caso (il cosiddetto caso) e alle probabilità, non cessando per questo di essere rigorosa e razionale. Gli atti, le frasi, i gesti, le azioni possono essere di per sé scarsi di significato, ma la trama e l'ordito fanno sì che la coerenza del risultato sia più vasta della somma dei singoli addendi.
L'opportunità in Nashville era un perenne festival di musica country, in America oggi qualche giorno di vita a Los Angeles, in Pret-à-porter l'incontro dei modaioli nei momenti della verità delle sfilate, in Gosford Park è l'invito per due giorni novembrini del 1932 presso una lussuosa residenza di campagna, invito rivolto a parenti e conoscenti. Ma i gruppi sono due: padroni ed invitati da una parte, servi dall'altra (cuoche, autisti, valletti, cameriere). Questi due mondi hanno continui contatti fra loro, eppure, da un certo punto di vista, non si incontrano mai o quasi. L'esistenza dei servi viene tranquillamente negata, non hanno una vita loro al di fuori degli atti servili, che consentono la sopravvivenza. Persino il sesso non si sottrae a questa morsa ferrea, e racconto due episodi rivelatori.
I padroni e gli invitati sono seduti a tavola e conversano, attorno ci sono valletti e cameriere, in piedi e silenziosi. La conversazione ha una apparenza gentile, in realtà è fatta di pugnali e veleni. La padrona, Lady Sylvia McCordle (Kristin Scott Thomas) fa una battuta acuminata rivolta al marito, Sir William McCordle (Michael Gambon), che è in momentanea difficoltà nel rispondere. Ad Elsie (Emily Watson), una cameriera che è l'amante di Sir William, sfugge un "Bill!" che vorrebbe essere di soccorso. Lo scandalo è universale: tutti, a partire da Lady Sylvia, sanno che Sir William va a letto con Elsie, ma la ragazza non può parlare, tantomeno per dire "Bill!" e verrà licenziata senza neppure bisogno di dirglielo, Elsie è la prima a rendersi conto della violazione della regola.
La sera prima, con uno scambio di quattro battute, Lady Sylvia si accorda con Henry Denton (Ryan Phillippe) , che è il valletto del cineasta Morris Weissman (Bob Balaban) perché venga a trovarla in camera nottetempo. Lo riceverà anche la sera dopo, poche ore dopo l'assassinio di Sir Williams, così come se prendesse una tisana o si cambiasse la camicia da notte. "E' solo questione di sesso", dice ogni tanto qualcuno nella vita reale. Magari lo fosse, nel film.
Robert Altman aveva 76 anni, ma ancora una forza tale che gli permise di guidare con ferrea ed amorosa dominanza un cast impegnativo. Almeno tre attori erano sulla cresta dell'onda, raggiunta da poco tempo, con tutte le naturali smanie di protagonismo: Kristin Scott Thomas aveva fatto Il paziente inglese nel 1996, Emily Watson, Le onde del destino anche lei nel 1996, Ryan Phillippe, Cruel Intentions nel 1999. Non solo, con Gosford Park sorsero nuovi talenti: Tom Hollander, Clive Owen, Kelly Macdonald. E c'è Maggie Smith, ammirevole in una parte difficile, perché sordida, altro che cameo, io preferisco l'italianissimo cammeo.
Ci sarebbe il confronto col film di Renoir, che nel 1939 fa La regola del gioco, che si svolge più o meno nello stesso anno, mentre Altman fa un film nel 2001 che si svolge nel 1932. Questa è una differenza essenziale, anche se Altman, a chi gli disse che aveva fatto un film in costume, rispose genialmente: "Guardate la mia data di nascita". Renoir rischia il sentimentale, Altman rischia il sarcastico, le illusioni erano possibili per Renoir, non per Altman. E' bene che siano venuti i tempi senza illusioni, si può decidere che fare di sé con più chiarezza, quindi vivere meglio.

8 commenti:

  1. Avevo trovato bellissima la scena con la cena della servitù con i posti a tavola suddivisi per "datore" di lavoro. Così la ragazzina alla prima esperienza di lavoro che faceva da cameriera personale alla contessa (Maggie Smith) era seduta vicino alla governante a scapito di persone più anziane ed esperte.
    Per non parlare del caffè bollente versato da uno dei camerieri sui pantaloni del finto valletto americano.
    Grazie e saluti
    Lisi

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  2. Lisi, è vero, creano fra di loro le stesse gerarchie dei padroni, e vengono chiamati con i nomi dei padroni. Il finto valletto (figura molto strana) è l'unico che rifiuta, e finirà per spiacere sia ai servi che ai padroni. Difatti, tutti sogghignano quando il caffé bollente gli va sui pantaloni.
    Si crea in alcuni, a partire dal maggiordomo fino a Mary, una specie di complicità, come una sindrome di Stoccolma. Tutto vero, succede ancora oggi in certe aziende.

    grazie a te e saludos
    Solimano

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  3. A me il film piacque un pò sì e un pò no. Mi piacque per tutto quello che ha detto Solimano. Mi lasciò un pò freddo perchè un'impostazione così rigorosamente classista, forse quasi marxista, avrebbe richiesto un pò più di concentrazione sulle "cause".
    Il che non vuol necessariamente dire un'impostazione brechtiana, nè comunque didascalica. Però, alcune volte, si ha l'impressione (già vista, con meno classe, in Festen) che il mondo si divida in ricchi (cattivi) e poveri (buoni), coi lacchè (il poliziotto) a far la figura degli imbecilli.
    In America Oggi, che non è per nulla didascalico, le "cause" (la necessità di ciò che accade) traspaiono dai personaggi, dalle loro facce, dagli intermezzi...
    Un pò vago, lo ammetto: cercherò magari in seguito di chiarire meglio.
    Ciao,
    Màz

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  4. Mazapegul, sono in parziale disaccordo.
    Prima di tutto per l'atteggiamento di Altman verso il suo paese, perché è sempre stato al tempo stesso molto critico ma con un forte senso di appartenenza e persino di fierezza, di essere americano.
    Qui in Italia si fatica a capirlo, ma tu ed io la conosciamo bene questa duplicità del carattere americano, duplicità che io ritengo positiva, è il gloriously unsatisfied che ha provato sul lavoro per decenni il dipendente IBM, e che è del tutto incomprensibile per la grande maggioranza degli italiani, senza nessuna differenza fra destra e sinistra. In Italia l'azienda è o negriera o è mammona.
    In questo film il cinismo si esercita fra padroni e servi e viceversa, ma si esercita anche all'interno dei due gruppi, e potrei farti diversi esempi, quindi non è una concezione marxista. Ci vedo invece una critica di un americano alla strutturazione della società inglese, in cui i dominanti erano dei fannulloni che vivevano dei loro riti, mentre in America dominava chi produceva in una ottica competitiva e meritocratica (anche piratesca, ma sempre meglio della caccia ai fagiani).
    E' una polemica che in modo diverso c'è anche in Quel che resta del giorno di Ivory.
    All'interno dei due gruppi, sorgono alleanza, rivalità, collusioni con l'altro gruppo etc etc.
    Io ci vedo una forte spinta democratica alla americana, altra cosa che in Italia non si capisce, e quando dico che sono un virtuale iscritto al Partito Democratico, però americano, con tendenza Edwards, credono che scherzi.
    Ti consiglio di rivedere questo film, forse non arriva all'altezza di Nashville o di America oggi ma ci va vicino.

    saludos
    Solimano

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  5. Solimano, lo riguarderò: mi hai stuzzicato.
    "Gloriously unstisfied" è l'atteggiamento con cui io entro nel PD: grazie per avermi chiarito il mio stato d'animo.

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  6. Io con Altman ho un rapporto strano. Trovo particolarmente attraenti i suoi film giudicati male da critica e pubblico che non questi. A me piace moltissimo l’elemento fantastico in Altman, e infatti ho portato Quintet, Buffalo Bill, e ne porterò altri del genere. E’ una cosa tutta mia, “America oggi” e “Nashville” li ho guardati, li ho trovati belli, li ho messi via e non ci ho più pensato; “Quintet” invece mi ritorna sempre.
    Quasi quasi mi vado a cercare anche “Popeye”...

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  7. Maz, il gloriously unsatisfied non è un ossimoro a ruota libera, è voluto da certe aziende che vogliono i dipendenti creativi e costruttivi.
    Se uno è solo gloriously, diventa più scodinzolone che creativo, se è solo unsatisfied diventa un rompiscatole non costruttivo.
    Giuliano, l'avevo notato che con Altman siamo complementari: quello che guardi tu non lo guardo io e viceversa. Probabilmente abbiamo in comune certi film piccoli: McCabe and Mrs.Miller e Cookie's Fortune, anche Mash, che piacciono a tutti e due.

    saludos
    Solimano

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  8. Quello che descrivi, Solimano, è l'identikit del volontario politico di cui si avrebbe bisogno nel PD, a cui cerco di conformarmi per quel che posso. Ahimè, vedo in giro molto glouriously, assai più unsatisfied, ma poca compresenza dei due.

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