Nosferatu: Phantom der Nacht, di Werner Herzog (1979) Racconto di Bram Stoker, Sceneggiatura di Werner Herzog Con Klaus Kinski, Isabelle Adjani, Bruno Ganz, Roland Topor, Walter Ladengast, Dan van Husen, Jan Groth, Carsten Bodinus, Martje Grohmann Musica: Popol Vuh, Richard Wagner, Charles Gounod Fotografia: Jorg Schmidt-Reitwein (107 minuti) Rating IMDb: 7.4
Giuliano
Quando uscì questo film, in anni ormai lontani, si notò subito l’estrema somiglianza (dichiarata fin dall’inizio) con l’omonimo film di Murnau del 1921, capolavoro del cinema muto e dell’espressionismo tedesco. Ci si chiese che senso avesse un’operazione del genere, ed in effetti è una domanda più che legittima. La risposta, che allora poteva rimanere in sospeso, oggi c’è ed è chiara: Herzog è soprattutto, prima di ogni altra cosa, un documentarista. La seconda parte della sua carriera parla chiaro; i film “normali” sono calati drasticamente di numero, Herzog negli anni recenti ha fatto quasi solo documentari.
Non credo che si tratti di un calo d’ispirazione, quanto piuttosto del fatto che avere avuto un documentarista come Herzog a girare film a soggetto sia stata una fortuna che capita raramente, e che va vista come una vera benedizione per il cinema e per noi spettatori.
Nosferatu di Herzog è uno spettacolo come capita poche volte di vedere. Ogni singola inquadratura meriterebbe un saggio, per la cura e per la perfezione dell’insieme. La ricostruzione storica è perfetta fin nei minimi particolari, e forse oggi non sarebbe più possibile girare degli esterni così simili a quelli di duecento anni fa. Bruno Ganz è vestito come Goethe a Weimar; Isabelle Adjani è elegantissima, e in alcune scene il suo vestito assomiglia ad una corazza, quasi Giovanna d’Arco. C’è una grande bellezza formale, e sono innumerevoli le citazioni dalla grande pittura e delle stampe d’epoca. C’è molto Füssli, naturalmente, come nel finale con la morte del vampiro, ed è magistrale il dettaglio del vaso di fiori, a sinistra, in quella scena; ma è impressionante per bellezza anche la “natura morta” sul tavolo del banchetto che il vampiro prepara per Ganz nel castello. Ci sono Bosch e Bruegel per la peste nella città (quando i superstiti banchettano in attesa della morte, al centro della piazza). E c’è l’ovale perfetto del volto della Adjani, citazione di secoli di grandi ritratti nella pittura, così come gli interni. Spettacolare ed emozionante, nella scena finale tra il vampiro e Lucy, l’irruzione della luce del sole (tonalità rosse all’inizio) dopo l’amplesso.
Le scene del vampiro sono assolutamente identiche a quelle del film di Murnau. Sembra quasi che Herzog abbia voluto applicare al film le sue doti di documentarista, girando un film da dentro il film di Murnau. Ma Herzog fa anche un’operazione da regista di teatro: nessuno avrebbe da ridire su una ripresa dell’Amleto fedele al testo Shakespeare, ed è la stessa operazione che Herzog fa con Murnau. Al contrario di molti (troppi) registi di teatro, Herzog è fedelissimo all’originale: sia a Murnau che al romanzo di Bram Stoker.
Anche il trucco di Kinski è identico a quello del vampiro di Murnau, fino nei più piccoli particolari. L’unica differenza con Max Schreck (il Dracula di Murnau), mi sento di dirlo con sincerità, è che Kinski fa più paura da biondo coi capelli lunghi, nel suo aspetto normale.
Ci sono molti momenti che tendono al comico, ed è un’altra delle caratteristiche che rendono questo film davvero curioso, e che lo apparentano un po’ a Kafka (un maestro del comico e del grottesco in molte sue pagine, per chi non se lo ricorda). Il “Nosferatu” di Herzog contiene già in sè la propria caricatura: quando Ganz arriva al castello, Dracula gli offre un sontuoso banchetto; verso la fine l’ospite si ferisce a un dito col coltello, e Kinski si offre di medicarlo succhiando la ferita, “un vecchio rimedio dei tempi andati”. Il giorno dopo, Kinski vede in un cammeo il ritratto della moglie di Ganz, e ne loda il magnifico collo; e quando la nave arriva in città, è Dracula stesso a sfacchinare scaricandosi tutte le casse da morto ad una ad una, rischiando di beccarsi un colpo passando vicino ad un Crocifisso. Ed è decisamente comica la nonchalance finale di Harker quando chiede alla domestica di spazzare via le briciole che lo tengono prigioniero, così come tutta la scena dell’arresto mancato di Van Helsing pochi istanti prima.
Resta da dire degli interpreti: Kinski è perfetto, molto credibile e misurato; ma lo supera Bruno Ganz con un’enorme prova di bravura (basti osservare il suo sguardo nel finale, quando esce dal cerchio che lo costringe prigioniero). C’è una meravigliosa (e pallidissima) Isabelle Adjani, e molti degli attori che hanno accompagnato il regista nei suoi primi film. In più c’è Roland Topor, il grande disegnatore polacco, che interpreta il capo di Harker, quello che lo manda da Dracula; il suo ruolo (poche sequenze) fa parte del registro grottesco del film.
E con questa nota chiudo il post sul Nosferatu di Herzog – anche perché, credetemi, c’è molto lavoro ancora da fare, e devo affrettarmi.
Giuliano
Quando uscì questo film, in anni ormai lontani, si notò subito l’estrema somiglianza (dichiarata fin dall’inizio) con l’omonimo film di Murnau del 1921, capolavoro del cinema muto e dell’espressionismo tedesco. Ci si chiese che senso avesse un’operazione del genere, ed in effetti è una domanda più che legittima. La risposta, che allora poteva rimanere in sospeso, oggi c’è ed è chiara: Herzog è soprattutto, prima di ogni altra cosa, un documentarista. La seconda parte della sua carriera parla chiaro; i film “normali” sono calati drasticamente di numero, Herzog negli anni recenti ha fatto quasi solo documentari.
Non credo che si tratti di un calo d’ispirazione, quanto piuttosto del fatto che avere avuto un documentarista come Herzog a girare film a soggetto sia stata una fortuna che capita raramente, e che va vista come una vera benedizione per il cinema e per noi spettatori.
Nosferatu di Herzog è uno spettacolo come capita poche volte di vedere. Ogni singola inquadratura meriterebbe un saggio, per la cura e per la perfezione dell’insieme. La ricostruzione storica è perfetta fin nei minimi particolari, e forse oggi non sarebbe più possibile girare degli esterni così simili a quelli di duecento anni fa. Bruno Ganz è vestito come Goethe a Weimar; Isabelle Adjani è elegantissima, e in alcune scene il suo vestito assomiglia ad una corazza, quasi Giovanna d’Arco. C’è una grande bellezza formale, e sono innumerevoli le citazioni dalla grande pittura e delle stampe d’epoca. C’è molto Füssli, naturalmente, come nel finale con la morte del vampiro, ed è magistrale il dettaglio del vaso di fiori, a sinistra, in quella scena; ma è impressionante per bellezza anche la “natura morta” sul tavolo del banchetto che il vampiro prepara per Ganz nel castello. Ci sono Bosch e Bruegel per la peste nella città (quando i superstiti banchettano in attesa della morte, al centro della piazza). E c’è l’ovale perfetto del volto della Adjani, citazione di secoli di grandi ritratti nella pittura, così come gli interni. Spettacolare ed emozionante, nella scena finale tra il vampiro e Lucy, l’irruzione della luce del sole (tonalità rosse all’inizio) dopo l’amplesso.
Le scene del vampiro sono assolutamente identiche a quelle del film di Murnau. Sembra quasi che Herzog abbia voluto applicare al film le sue doti di documentarista, girando un film da dentro il film di Murnau. Ma Herzog fa anche un’operazione da regista di teatro: nessuno avrebbe da ridire su una ripresa dell’Amleto fedele al testo Shakespeare, ed è la stessa operazione che Herzog fa con Murnau. Al contrario di molti (troppi) registi di teatro, Herzog è fedelissimo all’originale: sia a Murnau che al romanzo di Bram Stoker.
Anche il trucco di Kinski è identico a quello del vampiro di Murnau, fino nei più piccoli particolari. L’unica differenza con Max Schreck (il Dracula di Murnau), mi sento di dirlo con sincerità, è che Kinski fa più paura da biondo coi capelli lunghi, nel suo aspetto normale.
Ci sono molti momenti che tendono al comico, ed è un’altra delle caratteristiche che rendono questo film davvero curioso, e che lo apparentano un po’ a Kafka (un maestro del comico e del grottesco in molte sue pagine, per chi non se lo ricorda). Il “Nosferatu” di Herzog contiene già in sè la propria caricatura: quando Ganz arriva al castello, Dracula gli offre un sontuoso banchetto; verso la fine l’ospite si ferisce a un dito col coltello, e Kinski si offre di medicarlo succhiando la ferita, “un vecchio rimedio dei tempi andati”. Il giorno dopo, Kinski vede in un cammeo il ritratto della moglie di Ganz, e ne loda il magnifico collo; e quando la nave arriva in città, è Dracula stesso a sfacchinare scaricandosi tutte le casse da morto ad una ad una, rischiando di beccarsi un colpo passando vicino ad un Crocifisso. Ed è decisamente comica la nonchalance finale di Harker quando chiede alla domestica di spazzare via le briciole che lo tengono prigioniero, così come tutta la scena dell’arresto mancato di Van Helsing pochi istanti prima.
Resta da dire degli interpreti: Kinski è perfetto, molto credibile e misurato; ma lo supera Bruno Ganz con un’enorme prova di bravura (basti osservare il suo sguardo nel finale, quando esce dal cerchio che lo costringe prigioniero). C’è una meravigliosa (e pallidissima) Isabelle Adjani, e molti degli attori che hanno accompagnato il regista nei suoi primi film. In più c’è Roland Topor, il grande disegnatore polacco, che interpreta il capo di Harker, quello che lo manda da Dracula; il suo ruolo (poche sequenze) fa parte del registro grottesco del film.
E con questa nota chiudo il post sul Nosferatu di Herzog – anche perché, credetemi, c’è molto lavoro ancora da fare, e devo affrettarmi.
Da tempo desideravo entrambi i film, il tuo bellissimo post mei conferma che sia necessario. Da quando frequento il vostro blog, accanto alla lista dei libri che scopro e che voglio leggere, c'è la lista dei film che scopro o riscopro e quindi desidero vedere. Grazie! ;-)
RispondiEliminaBeh, Herzog non è che piaccia proprio a tutti... Tutto quello che ho scritto è vero, Herzog stupisce sempre per la gradenzza della sua visione. Ma è anche un tipo di cinema molto diverso da quello che siamo abituati a vedere.
RispondiElimina(grazie Annarita, troppe parole belle, si fa quel che si può...)
Annarita, nel primo mese del blog, che non è passato da molto, facemmo una bella discussione su una obiezione che ci avevano rivolto alcuni: quella di parlare di film vecchi.
RispondiEliminaUscirono tanti argomenti, ma quello che mi convince di più è un argomento per assurdo: si può dire che è vecchio Mastro don Gesualdo? O Il partigiano Johnny? O La coscienza di Zeno? No, mentre si può tacciare di vecchio qualcuno dei Premi Strega degli ultimi anni. Questo è di evidenza solare. Lo stesso ragionamento, lo stesso identico, vale per i film, solo che quando ho aperto il blog la voce "cinema" l'ho trovata come sottocategoria di "intrattenimento". Niente di male, il cinema è anche intrattenimento, ma non solo. E almeno una generazione, a causa della TV, non ha visto i grandi film, ne ignora addirittura l'esistenza. Ma con i DVD e con i film in rete fatalmente la situazione migliorerà, e sarà bello per chi magari vedrà per la prima volta Les Enfants du Paradis o My Darling Clementine, Ma Nuit chez Maud o La ragazza con la valigia.
grazie e saludos
Solimano