In the cut, di Jane Campion (2003) Racconto di Susanna Moore, Sceneggiatura di Jane Campion, Susanna Moore, Stavros Kazantsidis Con Jennifer Jason Leigh, Meg Ryan, Michael Nuccio, Allison Nega, Dominick Aries, Susan Gardner, Sharrieff Pugh, Kevin Bacon Musica: Hilmar Orn Hilmarsson Fotografia: Dion Beebe (119 minuti) Rating IMDb: 5.2
Giuliano
Una delle mie più grandi delusioni. Questo è un film di Jane Campion, mi ero detto: e Jane Campion è quella di “Ritratto di signora”, di “Lezioni di piano”, di “Un angelo alla mia tavola”. E poi c’è Meg Ryan, che vale da sola il prezzo del biglietto.
Invece mi sono trovato davanti un film davvero brutto, pasticciato, inutilmente sanguinario, un giallo di pessima qualità, volgare a partire dal titolo (che è un’espressione gergale sull’anatomia femminile). Davvero una delusione enorme, e non sono solito parlare in questi termini dei film che non mi sono piaciuti, ma lo faccio perché mi permette di accennare ad un discorso a cui tengo molto: da quando il cinema si fa solo per motivi commerciali, c’è stato uno spreco di talenti enorme. La bruttezza del film non è imputabile alla Campion, e nemmeno a Meg Ryan: è che per restare nel giro, oggi, bisogna fare di queste marchette (mi si passi il termine). C’è che ci riesce, e chi no.
Nei bei tempi passati, i Carlo Ponti e i De Laurentiis hanno sempre fatto i film di cassetta, ma con i soldi guadagnati lasciavano poi liberi i De Sica e i Fellini di fare quello che gli pareva. De Sica padre faceva (con gran classe) le sue marchette, ma anche “Miracolo a Milano” e “Ladri di biciclette”, e perfino “Umberto D”. (a pensarci bene, è incredibile che sia stato realizzato un film come Umberto D.). Non rimpiango niente, non sono così anziano: so che ci sono film nuovi e forze nuove, ma è l’industria del cinema (della fiction, perché il discorso vale anche per la tv) che non va. Fare i soldi è buona e ottima cosa, ma non dovrebbe essere il primo e l’unico valore, altrimenti si rischia di buttare via tutto. Se non si lasciano liberi i “grandi matti” (Bergman, Fellini, Tarkovskij, ma anche la Campion) di fare quello che vogliono, non si avranno mai prodotti di qualità, ma solo ciofeche ben confezionate, come questo “In the cut”.
Giuliano
Una delle mie più grandi delusioni. Questo è un film di Jane Campion, mi ero detto: e Jane Campion è quella di “Ritratto di signora”, di “Lezioni di piano”, di “Un angelo alla mia tavola”. E poi c’è Meg Ryan, che vale da sola il prezzo del biglietto.
Invece mi sono trovato davanti un film davvero brutto, pasticciato, inutilmente sanguinario, un giallo di pessima qualità, volgare a partire dal titolo (che è un’espressione gergale sull’anatomia femminile). Davvero una delusione enorme, e non sono solito parlare in questi termini dei film che non mi sono piaciuti, ma lo faccio perché mi permette di accennare ad un discorso a cui tengo molto: da quando il cinema si fa solo per motivi commerciali, c’è stato uno spreco di talenti enorme. La bruttezza del film non è imputabile alla Campion, e nemmeno a Meg Ryan: è che per restare nel giro, oggi, bisogna fare di queste marchette (mi si passi il termine). C’è che ci riesce, e chi no.
Nei bei tempi passati, i Carlo Ponti e i De Laurentiis hanno sempre fatto i film di cassetta, ma con i soldi guadagnati lasciavano poi liberi i De Sica e i Fellini di fare quello che gli pareva. De Sica padre faceva (con gran classe) le sue marchette, ma anche “Miracolo a Milano” e “Ladri di biciclette”, e perfino “Umberto D”. (a pensarci bene, è incredibile che sia stato realizzato un film come Umberto D.). Non rimpiango niente, non sono così anziano: so che ci sono film nuovi e forze nuove, ma è l’industria del cinema (della fiction, perché il discorso vale anche per la tv) che non va. Fare i soldi è buona e ottima cosa, ma non dovrebbe essere il primo e l’unico valore, altrimenti si rischia di buttare via tutto. Se non si lasciano liberi i “grandi matti” (Bergman, Fellini, Tarkovskij, ma anche la Campion) di fare quello che vogliono, non si avranno mai prodotti di qualità, ma solo ciofeche ben confezionate, come questo “In the cut”.
Giuliano, il film non l'ho visto per il momento, e faccio fatica a credere che tre donne come Jane Campion, Meg Ryan e Jennifer Jason Leigh abbiano - insieme - combinato una brutta cosa. In questo sono come San Tommaso e il film lo vedrò. E se dopo sarò della tua opinione, darò delle vigorose tirate d'orecchie a tutte e tre: Jane, Meg e Jennifer. Ma poi le perdonerò, troppo mi sono piaciute altre volte.
RispondiEliminasaludos
Solimano
L'ho visto e non mi è piaciuto. Purtroppo ormai quello che domina è ciò che è commerciale... Salvo alcune eccezioni naturalmente. Ciao Giulia
RispondiEliminaOvviamente la delusione è riferita al fatto di trovarsi davanti a un film firmato da Jane Campion.
RispondiEliminaPer il resto, in tv di film thriller con la biondina e lo psicopatico assassino ne passano a dozzine (non so nemmeno dove ne trovino così tanti, o se è sempre lo stesso film che replicano).
Se vi piace il genere, si può anche perderci un paio d'ore: ma io ero andato al cinema per Jane Campion...
Mi piace molto leggere anche i commenti delusi, siete una fonte inesauribile di informazioni e di sorprese. Grazie!
RispondiEliminaNon l'ho visto. La la tua recensione non mi induce certo a farlo. Semmai è uno spunto ad una considerazione su una situazione tipica: andare al cinema convinti di vedere un bel film ed a un certo punto (quando precisamente? a metà? a un terzo del 1° tempo?) rendersi conto che quel film è una boiata pazzesca.
RispondiEliminaE' come una epifania: la sceneggiatura che va a pezzi, i dialoghi improbabili, la storia irreale o inconsistente, la recitazione artefatta. Di colpo vi chiedete se convenga stare seduti fino alla fine per ammortizzare il prezzo del biglietto, oppure alzarsi e andarsene subito.
Di solito si decide di rimanere, anche perchè si spera che il film a un certo punto viri al meglio. Ma raramente ciò accade: come in un capolavoro tutte le parti del film stanno insieme meravigliosamente, in una ciofeca filmica tutto concorre al peggio, con orrenda coerenza strutturale.
Brian
Brian, è come al ristorante, che se ordiniamo un piatto che poi non ci piace finisce che comunque poi mangiamo tutto, magari smorfiando. Ma succede anche con le persone che vediamo da anni, perché nella vita si cambia, e con certuni la mettiamo sul "Dobbiamo vederci!" Ma quale dobbiamo: "Piacciamo vederci!", se no no.
RispondiEliminasaludos
Solimano
Adoro Jane Campion, questo film in particolare però non l'ho visto ma non mi sconvolgerebbe più di tanto se effettivamente avesse ragione Giuliano. In fondo,non è detto che i nostri autori preferiti debbano sfornare sempre capolavori. Però sono i nostri preferiti e noi li amiamo lo stesso (e qui son d'accordo con Solimano). Però sarebbe interessante capire se il film non è riuscito perchè questa volta qualcosa (ed eventualmente cosa) è andato storto o perchè effettivamente la Campion è stata "imbrigliata". Non avendo visto il film non posso avere idee in proposito
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