lunedì 17 settembre 2007

I caratteri nel cinema: I vitelloni


Giuliano
Sui “Vitelloni” di Fellini si è parlato tanto, esistono – per nostra fortuna – molti libri su Fellini, quasi tutti buoni. Ho notato però che non si parla mai del personaggio interpretato da Leopoldo Trieste, e voglio provare a dirne qualcosa. Si tratta dell’intellettuale del gruppo, quello che vorrebbe fare il poeta e il commediografo; in provincia, si sa, non è facile. A un certo punto riesce ad ottenere un appuntamento con il Famoso e Anziano Poeta, un Maestro che si mostra molto gentile e molto interessato; il giovane si accorge che gli amici ridacchiano e fanno strani gesti, ma è talmente preso dall’emozione di poter parlare del suo lavoro con una persona importante che non ci fa caso.
Gli amici lo sanno, tutti lo sanno: il Famoso e Anziano Poeta è omosessuale, del poema e delle commedie non gli importa un fico secco, gli interessa invece molto il giovanotto che gliele porge. Una delusione incredibile, di quelle dalle quali è difficile riprendersi. Non sappiamo che cosa abbia fatto in seguito il nostro personaggino, ritratto con estrema crudeltà da Fellini. Sappiamo qualcosa degli altri “vitelloni”: di Sordi che fa il gestaccio ai “lavoratori della Bassa” (ma poi la macchina si ferma e dovrà scappar via di corsa, perché i lavoratori della Bassa non sono lì a farsi prendere in giro), delle cinghiate che il padre rifila al leggero dongiovanni Fabrizi, e del viaggio a Roma del più giovane del gruppo, l’unico che oserà tentare l’avventura lasciando il paese.
Questo post è anche una dedica a Leopoldo Trieste, protagonista del primo film di Fellini (è lo sposino in viaggio di nozze di “Lo sceicco bianco”), che è scomparso pochi anni fa e che non merita di essere dimenticato. Oltre che attore era scrittore in proprio , ed è più che probabile che la sua parte se la sia scritta da solo. Come abbiamo visto di recente, non è affatto una storia d’altri tempi; e non è riservata ai soli omosessuali. Chissà quanti ragazzi e ragazze hanno pianto e stanno piangendo (di rabbia e di delusione) per una storia simile, in questo momento...

3 commenti:

  1. Giuliano, l'episodio del vitellone intellettuale che scambia lucciole per lanterne me lo ricordo molto bene, perché Leopoldo Trieste è bravissimo nel fare quella parte, che poi fece altre volte, ma anche perché Fellini infierisce con crudeltà. E qui va detta una cosa: Fellini era piuttosto lasco verso un vizio italiano, l'ignorantaggine. L'ignoranza era una funzione di stato dei nostri padri e dei nostri nonni, che in genere ci tenevano che figli e nipoti ne sapessero più di loro, l'ignorantaggine è una scelta, fatta per motivi diversi e diffusissima. Apparentemente si mettono di mezzo gli sfigati libreschi, come il Leopoldo Trieste ne I vitelloni, ma il vero obiettivo è prendersela con la cultura tout court. E' gente che ha fatto una propria scelta di non curiosità: tutto ciò che non conoscono è da sprezzare, proprio perché loro non lo conoscono. Come si permettono di esistere, delle cose che loro non conoscono?
    L'ignorantaggine è ignoranza, però che se la tira, fierissima di essere ignorante. Quando li trovo, li sfotto volentieri, perchè dentro lo sanno qual'è la realtà: non vogliono entrare in campi in cui dovrebbero ascoltare molto, e questo gli secca. A parziale giustificazione, esiste una stratificazione dei colti di professione che cercano di escludere più che di includere (in Italia la cultura è anche una carriera, con tutti gli scodinzolamenti del caso).
    Molti registi delle Commedie all'italiana hanno avuto compiacenze verso l'ignorantaggine. Purtroppo ce le ha anche Fellini: nei Vitelloni, in Amarcord, nella Dolce Vita, in Otto e mezzo, e non è certo il suo lato migliore.
    Persino Scola c'è caduto, in questa trappola: il personaggio di Satta Flores in C'eravamo tanto amati è antipaticissimo.
    Con questo non dico che non si debba prendersela con certi vizi al tempo stesso di pedanteria e di sfiga, dico però che il discernimento è importante, e Fellini, specie nella prima metà della sua carriera, non distingueva, sparava nel mucchio, e tutti a dire: bravo! bravo!
    Non fu un bello spettacolo. Fellini poi si rese conto, gli ultimi film furono più pensati, difatti i bravo! bravo! si ridussero.
    Il tutto, molto dopo che qull'ignorantone di John Ford aveva inserito Shakespeare in My Darling Clementine.

    saludos
    Solimano

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  2. Sabato scorso, all’ora di pranzo, ho trovato in tv “Il ratto delle Sabine”, con Totò e Carlo Campanini. Ecco, il personaggio di Leopoldo Trieste nei Vitelloni è un po’ parente di questo di Campanini: il letterato di provincia che trova ascolto in un capocomico, ma solo perché il capocomico ha una fame atavica da soddisfare. I due interpreti sono ovviamente perfetti: Campanini candido e ingenuo, Totò che ne approfitta alla grande. Il disgraziato drammone epico-storico di Campanini viene fatto a pezzi dal capocomico e dagli attori, e anche se alla fine ha successo e il film è quasi soltanto un veicolo per le uscite di Totò, c’è una bella ricostruzione di come funzionavano le cose in teatro e al cinema, e di come funzionano ancora oggi. Mai come oggi tanti romanzi, anche famosi, vengono stravolti: a teatro non si sa mai se si vedrà l’Amleto o una libera reinvenzione del regista, e al cinema ricordo un karateka nel Settecento francese, per esempio, e un africano nero insieme a Robin Hood... Andrebbe tutto bene se i film poi fossero riusciti, ma così non è quasi mai. Forse si è un po’ esagerato, e non ci sono nemmeno più Totò e Campanini a farci sorridere.

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  3. Giuliano, io Campanini con Totò non me lo ricordo, mentre lo ricordo bene co Walter Chiari. Era formidabile, faceva ridere anche lui, non era solo una spalla.
    Poi era personalmente simpaticissimo.

    saludos
    Solimano

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