Brancaleone alle crociate, di Mario Monicelli (1970) Sceneggiatura di Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli Con Vittorio Gassman, Adolfo Celi, Stefania Sandrelli, Beba Loncar, Gigi Proietti, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Gianrico Tedeschi, Pietro De Vico, Norman David Shapiro Musica: Carlo Rustichelli Fotografia: Aldo Tonti (116 minuti) Rating IMDb: 7.8
Solimano
Non credo di sbagliarmi nel pensare che quando Mario Cecchi Gori, Age, Scarpelli, Monicelli e Gassman si ritrovarono più di quattro anni dopo l'Armata Brancaleone fossero ben consapevoli del rischio che correvano: quello di annoiarsi per mesi e mesi. Il necessario cinismo della iperproduzione di alta qualità che li contraddistingueva rendeva chiarissimo a tutti loro come sarebbe andata: incassi molto buoni e critiche lusinghiere, con qualche antipatico ma lieve confronto col film precedente. Si trattava solo di approntare la nuova compagnia, considerato che Catherine Spaak e Gian Maria Volontè non ne avrebbero fatto parte, e di utilizzare le mille possibilità consentite dal linguaggio inventato, mischiando bene cultura, maccheronico e goliardico, ed agitando bene il tutto durante la ventina di sketches che avrebbero costituito la trama del film. Uffa, che noia!
Pur di non annoiarsi, ognuno ci mise del suo, compreso il produttore, perché metà del film si fece in Algeria, in una zona contigua al deserto del Sahara. L'altra metà, una qualsiasi delle mille location fra Lazio, Toscana ed Umbria andava bene.
Entrarono a libro paga dei nomi nuovi, rispetto all'Armata Brancaleone: Gianrico Tedeschi, che fa Pantaleo, una specie di eremita colto e speleologo, circondato da enormi tomi che cerca di distribuire in giro, Lino Toffolo, nella parte di Panigotto da Vinegia, che fa da interprete (i veneziani erano quelli che sapevano tutte le lingue del Mediterraneo), una parte piccola, ma in cui pronuncia le immortali parole "un sol grido un solo idioma: scapoma!", poi quell'avido di Gigi Proietti, che si prese tre parti: il peccatore dal peccato inconfessabile che si autopunisce anche assumendo il soprannome di Pattume, Colombino lo stilita, che deve decidere se ha ragione papa Gregorio o l'antipapa Clemente, e la Morte, eh sì! ma ci tornerò. E poi entrò nel cast Paolo Villaggio, che col cinema era gli inizi (il primo Fantozzi l'avrebbe fatto cinque anni dopo) e che fece la parte sua, quella del mercenario sempre disposto a schierarsi con chi è in vantaggio, per di più alemanno, difatti si chiama Thorz. La parte di Berta d'Avignone, giovane principessa molto sostenuta ma dal passato movimentato, fu assegnata a Beba Loncar, slava con l'aria fine da non crederci.
La streghetta Tiburzia da Pellocce (che si chiama anche Viperilla o Felicilla) fu assai felicemente di Stefania Sandrelli. Credo che fosse Gassman ad insistere perché Re Boemondo lo facesse Adolfo Celi, suo amico carissimo, che riesce a parlare in ottonari per più di un quarto d'ora senza che gli scappi da ridere. Anche Age e Scarpelli si dettero da fare per non annoiarsi: il linguaggio di Brancaleone alle crociate è molto evoluto rispetto al primo film, difatti il goliardico per le risate facili sparisce del tutto, si inventa il gioco degli ottanari a rima baciata, a cui oltre a Boemondo prende parte Brancaleone. E' un linguaggio più profondo e più vasto, ecco come si autodefinisce Brancaleone:
"Sono impuro. Eh eh! Bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto di lengua e di spada, facile al gozzoviglio... fuggo la verità e inseguo il vizio", nel primo film non avrebbe parlato così.
Però quelli che dettero la svolta decisiva furono Monicelli e Gassman. Che si poteva fare perché i personaggi non sembrassero solo dei mirabili burattini, ma delle persone in carne ed ossa, come dare profondità umana ad un film del genere? Semplice, introdussero un personaggio ben noto e che, in vari modi, compare spesso nel film: la Morte. La morte incombe all'inizio, con la strage degli scismatici seppelliti con la testa sotto ed i piedi che sbucano dalla terra, poi compare di persona (con la falce regolamentare) a Brancaleone, dicendogli che fra sette lune lo verrà a prendere, poi incombe nel possibile rogo in cui Viperilla (o Felicilla?) dovrebbe bruciare, e con la testimone a carico che depone con la testa sul ceppo e la minaccia della scure sul collo, poi nel lebbroso col campanello alla caviglia, completamente coperto, che spaventa tutti, salvo accorgersi nella seconda metà del film che era Berta d'Avignone. Soprattutto la Morte è presente nella scena degli impiccati all'albero che ci parlano: "Et ora pendoliamo fianco a fianco come morte foglie, e lo vento benevolo a tratti un po' ci ravvicina", qui non c'è niente di scherzoso, e giustamente, per questa scena grandiosa, qualcuno ha ricordato i versi di François Villon, che era meravigliosamente ancora un uomo del Medioevo:
Freres humains qui aprés nous vivez,
n’ayez les cuers contre nous endurcis,
car, se pitié de nous povres avez,
Dieu en aura plus tost de vous mercis.
Vous nous voiez cy attachez cinq, six:
quant de la chair, que trop avons nourrie,
elle est pieça devorée et pourrie,
et nous, les os, devenons cendre et pouldrie.
De nostre mal personne ne s’en rie;
mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!
Dopo sette lune, la Morte ricomparirà di nuovo a Brancaleone, solo nel deserto, per portarselo via. Brancaleone, che non a caso si è autodefinito poco prima Cavaliere Errante (è cresciuto, in questo film), impegnerà l'ultimo dei suoi combattimenti, e quando sta per soccombere, si interporrà fra lui e la falce la streghetta innamorata di lui, definitivamente Felicilla, e la Morte se ne andrà, la sua vittima l'ha avuta. Brancaleone non rimarrà solo nel deserto, arriva una gazza vivacissima che l'accompagna e lo festeggia: è Felicilla in una delle sue mille trasformazioni!
Si ride certamente meno che ne l'Armata Brancaleone, ma quelli di cui parlavo all'inizio non si sono certo annoiati, e ci hanno fatto un gran bel regalo.
P.S. L'episodio della Morte-persona, ed in particolare della morte che non agisce subito, ma dà un po' di tempo, si ispira, forse inconsciamente - Monicelli lo nega - alla Morte del Settimo sigillo di Bergman.
Lo stilita Colombino mi richiama in mente il Simon del deserto di Bunuel.
Il lebbroso tutto coperto (che poi è Berta d'Avignone) mi ha fatto un po' acrobaticamente pensare a I sette samurai di Kurosawa: quando camminano verso il villaggio da difendere dai briganti, sei samurai camminano insieme, il settimo, Kikuchiyo, li segue a distanza tenendoli di vista, e la stessa cosa succede in Brancaleone alle crociate.
E l'albero degli impiccati di Monicelli l'ho rivisto in un film abbastanza recente: Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi.
Brancaleone: E voaltri, voaltri, rognosi! Come osaste voi restar vivi fra cotanti morti? Chi vi dette tanto infame coraggio?
RispondiEliminaUno dei sopravvissuti: E a te, chi te lo dette? Te, campi come nui altri.
Brancaleone: No, eh! stupido cieco! Non come voaltri... (pausa) Onta, onta su di me! Che l’onta mi sommerga e mi soffochi! Che mi sia tolta la colpa d’essere vivo fra cotanti morti! (si allontana, verso il deserto)
Brancaleone (solo, nel deserto): Vieni, Morte, bella Morte: piglia anco me! Orsù, che indugi? Io ti invoco, tu non mi spaventi! Che è mai la vita? Un breve romore, seguito da un fiato ammorbante... E però vienimi, vieni Morte! Strappami ad essa, ti affretta! Che fai, Morte? Tentenni? Presto, accorrimi, più non reggo! Io te l’impongo!
La Morte: Son qua.
(la morte parla con accento toscano)
- Chi è ? Chi tu sie ?
- Son la tua morte. Non mi chiamasti?
- Io?
- Sì. Fosti tu ad invo’armi.
- Ah... sì... son parole che sfuggono nell’empito dei sentimenti... Che si sape, mai furon prese a serietà.
- D’ora innante lo saranno. Preparati a morire.
- Lo come? In su l’istante?
- (ride) O che s’aspetta? Io ci sono, tu ci sei... Ti fo scegliere: un coccolone? Peste improvvisa? Vermiculite? Ovvero un fulminante disciogliersi del corpo?
- (ride, rinfrancato) Le misere proposte... Brancaleone deve avere una morte gloriosa, con l’arme in pugno et per causa iusta. Questo mi spetta: son cavaliere.
- Come tu vuoi. Hai tempo le sette lune, trascorse le quali io verrò a ti pigliare, dove unque et come unque.
- Sette lune! Mi basta l’arco di un sol jorno per trovare la mia degna morte.
- Quand’è così voglio aiutarti. Le cinque miglia da qui, il loco detto Ponterragno, stassi per compiere un delitto contra uno innocente. Tu tenta salvarlo, et havrai così gloriosa morte. Io là sarò tra minuti dieci. Procedi!
- Dieci minuti, col caval mio Aquilante? Facimo in fra un’oretta, et ivi sarai mia. Birba chi manca!
- Birba!
Siamo all’inizio del film, subito dopo lo sterminio del corteo che seguiva il predicatore alle crociate; e al loco detto Ponterragno troveremo Paolo Villaggio, l’alemanno a guardia del ponte.
“Grande la fede, stretto lo mare!” dice il predicatore (Shel Shapiro) all’inizio del film: ma non era il mare, era un lago. E’ per questo che l’altra sponda del mare è arrivata così presto...
Sì è stato davvero un bel regalo, Giulia
RispondiEliminaGrazie Giulia, il tuo apprezzamento mi fa piacere, spero che tu abbia risolto bene il tuo San Martino.
RispondiEliminaGiuliano, la parte di sceneggiatura che hai inserito è utilissima: mostra con chiarezza che il linguaggio è cambiato, rispetto al primo film, si è approfondito senza cessare di essere brillante.
saludos
Solimano
ottima la scelta della scena: è filosofia allo stato puro, ma rappresentata con azioni e parole memorabili..grandi 'intellettuali' age e scarpelli
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