martedì 11 settembre 2007

Audace colpo dei soliti ignoti

Audace colpo dei soliti ignoti, di Nanni Loy (1960) Sceneggiatura di Agenore Incrocci, Furio Scarpelli, Nanni Loy Con Vittorio Gassman, Renato Salvatori, Claudia Cardinale, Vicky Ludovisi, Riccardo Garrone, Tiberio Murgia, Carlo Pisacane, Gianni Bonagura, Lella Fabrizi, Gastone Moschin, Nino Manfredi, Toni Ucci Musica: Piero Umiliani con Chet Baker Fotografia: Roberto Gerardi (105 minuti) Rating IMDb: 7.3
Solimano
Il cinefilo rischia di diventare uno snob. Nel senso che, se gli si parla di Altman, lui Nashville se lo scorda e magari tira fuori la serie televisiva di Bonanza. Sostiene che il capolavoro di Fellini è Il bidone seguito da Prova d'orchestra e che Bergman ha fatto qualcosa di buono, ma non è mai arrivato ai livelli di un regista di Goteborg a tutti sconosciuto tranne che a lui.
Così, fin dai primi dieci minuti di "Audace colpo dei soliti ignoti", mi sono chiesto se stessi diventando un cinefilo anch'io, visto che mi stava piacendo più de "I soliti ignoti" di cui era un remake fatto poco più di un anno dopo. E' noto a tutti che i remake sono generalmente una fregatura messa su per cavalcare l'onda del successo del primo film.
Ma intanto il film continuava, ed io non cambiavo idea, e non l'ho cambiata fino alla fine: questo film è forse meglio del film a tutti noto che l'aveva preceduto. Però ho voluto pensarci, e diversi motivi mi vengono in mente.
Un motivo è Nanni Loy. Questo non era il suo primo film, ma quasi, e costituì la base su cui costruì una buona carriera, che poteve essere ottima, perché Nanni Loy aveva un modo tutto suo, un modo umano (aggettivo talmente banale da essere usato poco) di fare televisione e cinema. Chi non ha mai visto le trasmissioni TV stile candid camera, cioè Viaggio in seconda classe e Specchio segreto, è bene che recuperi, ammesso e non concesso che ci siano i DVD. Altro che candid camera all'americana, che tutto si risolve in un breve sketch con un fondo un po' sadico: Nanni Loy intortava meravigliosamente le persone, come con la zuppetta nel cappuccino del vicino di bancone al bar o l'imbranato che aveva paura di salire sulla scala mobile. Non come Scherzi a parte, che sa di combinato a priori. Loy prendeva in giro le persone amorosamente, costruiva delle storie, su quelli che cadevano nelle sue dolci reti. Così è in questo film, in cui anche le battute più grevi, tipo: "M'hanno rimasto solo... 'sti quattro cornuti!" le fa pronunciare di notte in mezzo a una strada silenziosa da Gassman che ha appena preso una multa da due vigili motociclisti perché non attraversava sulle striscie pedonali. Loy conosce la finezza, la levità, l'eleganza.

Un altro motivo è Nino Manfredi, che non faceva parte del gruppo degli ignoti storici, e prese il posto di Mastroianni. Il film ci guadagna nel cambio, e c'è un motivo dietro: anche Manfredi era quasi al suo primo film, sebbene avesse quasi quarant'anni, quindi non sfruttava ancora il repertorio di mosse e mossette che capitalizzò nel tempo. Qui fa il meccanico d'auto con il felice soprannome di Piede Amaro, amaro perché è stato lasciato dalla moglie, però la suocera abita con lui, e la moglie si è messa con Gastone Moschin che fa il libraio e sta sostituendolo nelle simpatie del figlioletto a cui Manfredi è molto affezionato. Entra a far parte della banda perché vorrebbe ottenere lo scioglimento del matrimonio da parte della "Sacra Ruota" lapsus appropriatissimo, visto il mestiere che fa.
Poi c'è Milano, sì, Milano! Era ora che un film si svolgesse anche a Milano: ho riconosciuto la stazione centrale, i dintorni del Duomo, via Ferrante Aporti con l'ancora esistente tunnel sotto la ferrovia. C'è Milano, ma ci sono anche i milanesi, o spacciati per tali. Riccardo Garrone fa una bella parte, quella del delinquente nordista quindi pianificato, che non lascia nulla al caso, salvo lasciarsi prendere durante un borseggio male eseguito. Ancora meglio Vicky Ludovisi. E' durata pochissimo, meno di dieci anni, qui fa Floriana, la spogliarellista che vorrebbe fuggire nel Messico (anzi nel Mexico, come dice lei) con l'amante ragioniere (fatto bene da Gianni Bonagura) una volta fatto il colpo, ma intanto non disdegna Peppe er pantera, che sarebbe Gassman. E' vivace, anche lei fa la milanese efficiente, non bellissima però tutta la banda si sbalordisce quando entra lei, casualmente sempre mezzo scoperta. E' priva di "erre", l'ha persa in un bombardamento a quattro anni di età per la paura, la recupera dopo un ceffone di Gassman e si mette alla finestra contentissima a gridare al mondo "ramarro" e tutte le parole con la "erre" che le vengono in mente. Una Liza Minelli in sedicesimo, bionda però (tinta, si capisce), che viene dal Lorenteggio o da Quarto Oggiaro.
C'è la musica di Piero Umiliani, c'è soprattutto la tromba di Chet Baker, un idolo per me. Lo sentii in una cave del Quartiere Latino a vent'anni, la prima mezz'ora suonò da cani, poi nell'intervallo non so cosa fece - o lo so, purtroppo - e andò avanti con la tromba per un'ora di paradiso, cantando anche, come lui solo sapeva fare, così male da diventare bellissimo, "My funny Valentine".
E c'è la strana catarsi o nemesi finale. Malgrado tutto, per strane combinazioni del destino, il colpo riesce, ottanta milioni, mica brustulini, ma la banda, per un motivo o per l'altro, non ce la fa ad arricchirsi, abituati come sono a tirare a campare giorno per giorno. Trovano delle scuse per non accettare di essere diventati ricchi. E la valigia piena di soldi rimane sotto una panchina, con Manfredi, pardon Piede Amaro, che ha telefonato al commissariato camuffando la voce per dire dove sta il malloppo. Ecco, questo finale è perfettamente corrispondente a come erano nei primi film Loy e Manfredi, molto bravi nel rappresentare degli sfortunati però a volte felici, persino poetici nel loro genere. Ogni tanto, negli anni successivi, ci riuscirono ancora.
E quindi lo dico non da cinefilo snob: se devo rivedere i soliti ignoti scelgo questo, non il primo... ma forse perché il primo lo so a memoria...

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