Thirty Two Short Films About Glenn Gould, di François Girard (1993) Sceneggiatura di François Girard, Don McKinney Con Colm Feore, Derek Keuvorst, Katia Ladan, Devon Anderson, Joshua Greenblatt, Sean Ryan, Sharon Bernbaum Musica: Johann Sebastian Bach, Richard Wagner, Ludwig van Beethoven, Richard Strauss, Jean Sibelius, Sergei Prokofiev, Alexander Scriabin, Paul Hindemith, Arnold Schoenberg, Petula Clark
Fotografia: Alain Dostie (98 minuti) Rating IMDb: 7.5
Giuliano
Glenn Gould è stato uno dei più grandi pianisti del Novecento, e su di lui esistono ore e ore di filmati e registrazioni: ma questo non è un documentario, è un vero film, ed è anche molto bello. Mi ero chiesto, quando era uscito, che senso potesse avere un film su Glenn Gould (Gould, per chi non lo sapesse, è molto più che un pianista: è una vera leggenda), dubbi che si sono dissolti alla prima visione. Non è un film facile, ma mi sento di consigliarlo anche ai semplici appassionati di cinema.
I film sono davvero 32, alcuni brevissimi altri un po’ più lunghi, con due animazioni (una è opera di Norman McLaren), interviste montate o messe in scena con attori, e alcuni veri e propri film in miniatura, con un attore (si chiama Colm Feore) che interpreta Gould ma non somiglia affatto a Gould, e anche questa è una cosa voluta: lo ricorda, questo sì, ma penso sia solo per una questione di recitazione.
Anche a prescindere da Glenn Gould, rimane la curiosità di sapere di più sul regista François Girard, canadese come il pianista, che ha girato un piccolo capolavoro. Difficile dimenticare quel cielo azzurro (Magritte?) che si vede dalla finestra, mentre l’intervistatore fa domande sull’aldilà; o i bianchi panorami canadesi, i notturni e le stanze d’albergo, e la messa in scena degli episodi. Per esempio: nel film n.16 Gould si ferma in un autogrill, punto di ritrovo dei camionisti: è un cliente abituale, la cameriera lo riconosce e lo serve al suo solito tavolino. Gould si siede, e ascolta le conversazioni come se fossero musica. Nel film n.6 siamo ad Amburgo, con molta nebbia. Da una camera d’albergo, Gould detta un telegramma al suo agente, per telefono: “sono annebbiato come il tempo”. Poi chiama una cameriera dell’albergo; la fa sedere e le fa ascoltare il suo disco con la Sonata n.15 di Beethoven. La ragazza ascolta con molta attenzione, si alza, guarda la copertina del disco, dice: “Danke schoen.”
Nel film n.9 siamo a Los Angeles, nel camerino del teatro. Gould è con le mani nel lavandino, immerse nell’acqua calda. Arriva una ragazza per chiamarlo: mancano cinque minuti all’inizio del concerto. L’ascensore non arriva, meglio andare a piedi: “Meno male che c’è lei, io non sarei mai arrivato sul palco. Mi sento come Pollicino nella foresta.”. Poco prima di alzare il sipario, incontra un anziano tecnico, che gli chiede l’autografo: “E’ per mia moglie, che ha tutti i suoi dischi.” Gould è gentilissimo, fa molte domande all’uomo, che gli spiega di essere ormai vicinissimo alla pensione; e gli dice: “Lei è fortunato, questo è il mio ultimo autografo.” L’uomo legge la dedica: « Auguri per la sua nuova vita. 10 aprile 1964, ultimo concerto di Glenn Gould.» Nel film n.13 siamo in uno studio di registrazione: i tecnici del suono fanno riascoltare a Gould quello che ha appena inciso. Di là dal vetro, i tre tecnici prendono un cappuccino e discutono di cose varie; Gould si riascolta quasi danzando. La musica è di Bach: “il Concerto Italiano”, dice uno dei tre; ma si sbaglia, è la giga dalla Suite inglese n.2.
Gould divenne famoso, giovanissimo, a metà degli anni ’50, per una sua memorabile registrazione delle “Variazioni Goldberg” di Johann Sebastian Bach; e Bach fu il suo nume tutelare. Si ritirò dai concerti a 32 anni, perché non era soddisfatto dell’acustica delle sale da concerto. Ma continuò a incidere dischi, e per smentire le voci che circolavano su di lui si fece filmare negli studi televisivi mentre suonava: lì non c’erano problemi. Nel film n. 12 c’è un’intervista con un altro musicista leggendario (ma molto meno problematico, anzi solare) il violinista Yehudi Menuhin: dice che Gould aveva molte ragioni, quando si lamentava della mancanza di perfezione delle sale da concerto, ma che “è caduto in una trappola e non sapeva più come uscirne”, perché le imperfezioni fanno parte della vita, sono la vita stessa. Gould aveva molto del compositore, più che dell’esecutore; forse per questo cercava la perfezione. Menuhin racconta anche di Gould che aveva paura di tutto, portava i guanti anche d’estate e non amava il contatto con il prossimo, ma passava giornate intere nella natura ostile del suo Canada, ed era felice quando andava in un villaggio di pescatori per stare in mezzo a loro.
Un dettaglio che mi ha sempre colpito, e che Girard ha riportato (una piccola finezza) è che i pianoforti di Gould sono sempre pieni di ditate, molto usati. Se ci fate caso, i pianoforti da concerto sono sempre tirati a nuovo; ma per Gould – che pure era un perfezionista – non è così. Nel film sono citati anche molti degli aneddoti che fecero di Gould un personaggio memorabile: i mezzi guanti e il cappotto anche d’estate, le telefonate di 18 ore, la sua ricerca della solitudine. Eppure, le persone che gli stavano vicine gli volevano bene: l’amica del cuore Margaret Pacsu (una donna molto bella), la cugina Jessie, l’accordatore, il segretario, la cameriera, l’autista, tutti sorridono e ammettono che sì, il caro Glenn gli manca molto. Tutti quelli che hanno saputo ascoltare Glenn l’hanno amato; gli altri hanno diffidato di lui. E, se volete i pettegolezzi, potete rivolgervi altrove.
Nel film, il vero Glenn Gould non si vede mai: c’è solo una sua foto piccolissima alla fine dei titoli di coda. E’ anche per questo, oltre che per la difficoltà di procurarsi immagini del film, che le foto che vedete qui sono tutte del vero Glenn Gould.
RispondiEliminaBisognerebbe quindi distinguere tra il film di Girard e il vero Glenn Gould, ma non è facile e i due discorsi finiscono inevitabilmente per fondersi, anche perché il film è rispettosissimo del vero Gould, e così fedele da mostrare perfino (film n.24) tutte le pastiglie che prendeva: non solo ansiolitici ma un po’ di tutto, da vero ipocondriaco. “Non l’ho mai capito fino in fondo. Sembrava sempre così presente, eppure tutte quelle bottigliette in casa sua...” commenta l’amica Margaret Pacsu.
Ma sarebbe un discorso complicato. Di Gould troverete molto, su internet e nei negozi di dischi; e ci sono anche due libri molto belli che raccolgono i suoi scritti, i testi dei suoi programmi radiofonici, e tante osservazioni acute: “L’ala del turbine intelligente” (Adelphi) e “No, non sono un eccentrico” (EDT). Si tratta di due titoli redazionali, che non rendono conto della finezza e dell’intelligenza di Gould: due libri da leggere.
(Ma se invece volete “soltanto” ascoltare Bach, Gould non è l’unico: un mio amico pianista diceva che Rosalyn Tureck e Sviatoslav Richter sono meglio di Gould, che Vladimir Ashkenazy è grandissimo, e che anche Angela Hewitt è notevole). (Bach è da fenomeni, ma per nostra fortuna di fenomeni ce ne sono stati un buon numero, e ce ne sono ancora).
Giuliano, Rosalyn Tureck l'ho ascoltata dal vivo, e non ci potrebbe essere nulla di più diverso del Glenn Gould di tutte e due le incisioni. Quando un brano lo conosci veramente bene, avverti subito le differenze di un esecutore dall'altro, e la coerenza dei singoli esecutori.
RispondiEliminaIl film l'ho visto, e mi è piaciuto talmente tanto che l'ho prestato al mio dentista (che è un musicomane che spazia in tutte le direzioni) Solo che non me l'ha restituito e non reclamo perché:
1. Non voglio indisporre colui che mi scaruga in bocca col trapano.
2. Il dentista è talmente disordinato, vista la pletora di interessi che ha, che certamente non si ricorda dove l'ha messo. Si sentirebbe in colpa e gli tremerebbero le mani. Perché farlo soffrire, e far soffrire i pazienti?
saludos
Solimano
Solimano, è meglio che i dentisti siano sempre molto tranquilli. Fai benissimo a non richiedere indietro il tuo film. Se può consolarti puoi rivederlo, quasi interamente, su You Tube dove ho trovato molti pezzi interessanti. In particolare mi è piaciuto il numero 6, quello nella stanza d'albergo di Amburgo, e il “Danke schoen!” finale vorrei dedicarlo a Giuliano> che anche questa volta se lo è meritato tutto.
RispondiEliminaH.
Danke schoen anche a te, cara Habanera.
RispondiEliminaHabanera, oggi mi sono ascoltato per due volte le sette variazione iniziali delle Goldberg che hai messo nel juke box del Nonblog. Spero che trovi anche le successive.
RispondiEliminagrazie e saludos
Solimano