Giuliano
Da bambino, “Capitan Fracassa“ era una delle mie storie preferite: ed a ragione, perché è davvero una bella storia. Sulla falsariga dei “Tre moschettieri”, Théophile Gautier costruisce la storia del giovane barone di Sigognac, ultimo rampollo di una casata nobilissima caduta in rovina. E la rovina non è un modo di dire: il castello cade in pezzi, Sigognac non ha più un soldo, veste abiti lisi che appartenevano a suo padre, cavalca un povero cavallo magro e malandato, vive nell’unica stanza abitabile del castello con la sola compagnia del fedele e anziano servitore di suo padre (nonché maestro d’armi), di un gatto spelacchiato e di un povero cane da caccia, vecchio e fedele anche lui. Ma, in una notte di tregenda, ecco che arriva a chiedere ospitalità un Carro di Tespi, una compagnia di attori girovaghi...
Ho riletto il libro di Gautier l’anno scorso, stavolta nella versione integrale (Newton Compton editore, versione di Massimo Bontempelli), e l’ho trovato ancora bellissimo. Sigognac viene accolto dagli attori, e inizia con loro quel viaggio verso Parigi che non avrebbe mai potuto permettersi; ed è anche l’inizio della sua fortuna. Torneranno buone le lezioni di scherma del fedele servitore, e si andrà attraverso molte avventure non verso un lieto fine, ma verso una vera e propria sequenza di lieti fine, come una serie di scatole cinesi, così che nessuno ne rimanga scontento – cosa della quale, del resto, non avevamo mai dubitato nemmeno per un attimo.
A questo punto, terminata la lettura, mi sono chiesto come mai, dei film che sono stati tratti da questa storia così bella, nessuno sia pienamente riuscito. La risposta, a chi legga il libro, è chiara: “Capitan Fracassa” è un libro sul teatro. Gautier ha un amore smisurato per il teatro, e lo riporta nel libro: la storia di cappa e spada è solo uno scheletro, e senza il teatro mostra tutte le sue spigolosità. A parlar chiaro è la distribuzione degli eventi narrati: il duello tra Sigognac e Vallombrosa, cuore del libro e della vicenda, è sbrigato in una paginetta scarsa; l’assalto finale al castello di Vallombrosa è pieno di cose e di fatti, è divertente ma è anche molto convenzionale.
In compenso, gli spettacoli teatrali della compagnia sono descritti doviziosamente, in lunghi e dettagliati capitoli che comprendono anche l’elenco degli spettacoli in repertorio. Grande rilievo ha la storia d’amore della Servetta, che fugge con un nobile signore ma poi ritorna nella compagnia: lei non poteva stare senza recitare, e al suo nobile amante pareva meno bella senza il costume di scena. Li ritroveremo, tutti e due ancora innamoratissimi, una in palcoscenico e l’altro ad applaudire.
E un lungo capitolo è dedicato all’arrivo a Parigi di Sigognac: con la guida del capocomico, il giovane percorre in lungo e in largo la capitale, e la descrizione di Gautier è così viva che sembra davvero di essere lì con loro, tornati indietro di quattro o cinque secoli.
E c’è la lunga scena centrale della tempesta di neve, durante la quale muore Matamoros, il soldato fanfarone: Sigognac prenderà il suo posto come attore, integrandosi nella compagnia e facendosi chiamare Capitan Fracassa. Ma agli attori era vietata la sepoltura cristiana: la sequenza del povero funerale di Matamoro è vera e toccante, e molto illuminante sul vero pensiero dell’autore.
Togliendo tutto questo, compresa la lunghissima descrizione iniziale dello stato delle rovine del castello di Sigognac, rimane ben poco dello spirito del romanzo: ed è questo “ben poco” che ritroviamo nei film tratti dal bel libro di Gautier, compreso quello che ne ha ricavato Ettore Scola e che aveva Massimo Troisi tra gli attori della compagnia.
Ma il più famoso dei “Capitan Fracassa” è senz’altro quello del 1960, con Jean Marais protagonista, Anna Maria Ferrero, Philippe Noiret, e Louis de Funes nella parte di Scapino. Non una brutta compagnia; purtroppo il regista si limita a seguire la vicenda, Marais è già troppo anziano per la parte, e de Funes è un po’ troppo limitato dal dover stare nel suo personaggio. Ancora una volta, un’occasione persa...
Da bambino, “Capitan Fracassa“ era una delle mie storie preferite: ed a ragione, perché è davvero una bella storia. Sulla falsariga dei “Tre moschettieri”, Théophile Gautier costruisce la storia del giovane barone di Sigognac, ultimo rampollo di una casata nobilissima caduta in rovina. E la rovina non è un modo di dire: il castello cade in pezzi, Sigognac non ha più un soldo, veste abiti lisi che appartenevano a suo padre, cavalca un povero cavallo magro e malandato, vive nell’unica stanza abitabile del castello con la sola compagnia del fedele e anziano servitore di suo padre (nonché maestro d’armi), di un gatto spelacchiato e di un povero cane da caccia, vecchio e fedele anche lui. Ma, in una notte di tregenda, ecco che arriva a chiedere ospitalità un Carro di Tespi, una compagnia di attori girovaghi...
Ho riletto il libro di Gautier l’anno scorso, stavolta nella versione integrale (Newton Compton editore, versione di Massimo Bontempelli), e l’ho trovato ancora bellissimo. Sigognac viene accolto dagli attori, e inizia con loro quel viaggio verso Parigi che non avrebbe mai potuto permettersi; ed è anche l’inizio della sua fortuna. Torneranno buone le lezioni di scherma del fedele servitore, e si andrà attraverso molte avventure non verso un lieto fine, ma verso una vera e propria sequenza di lieti fine, come una serie di scatole cinesi, così che nessuno ne rimanga scontento – cosa della quale, del resto, non avevamo mai dubitato nemmeno per un attimo.
A questo punto, terminata la lettura, mi sono chiesto come mai, dei film che sono stati tratti da questa storia così bella, nessuno sia pienamente riuscito. La risposta, a chi legga il libro, è chiara: “Capitan Fracassa” è un libro sul teatro. Gautier ha un amore smisurato per il teatro, e lo riporta nel libro: la storia di cappa e spada è solo uno scheletro, e senza il teatro mostra tutte le sue spigolosità. A parlar chiaro è la distribuzione degli eventi narrati: il duello tra Sigognac e Vallombrosa, cuore del libro e della vicenda, è sbrigato in una paginetta scarsa; l’assalto finale al castello di Vallombrosa è pieno di cose e di fatti, è divertente ma è anche molto convenzionale.
In compenso, gli spettacoli teatrali della compagnia sono descritti doviziosamente, in lunghi e dettagliati capitoli che comprendono anche l’elenco degli spettacoli in repertorio. Grande rilievo ha la storia d’amore della Servetta, che fugge con un nobile signore ma poi ritorna nella compagnia: lei non poteva stare senza recitare, e al suo nobile amante pareva meno bella senza il costume di scena. Li ritroveremo, tutti e due ancora innamoratissimi, una in palcoscenico e l’altro ad applaudire.
E un lungo capitolo è dedicato all’arrivo a Parigi di Sigognac: con la guida del capocomico, il giovane percorre in lungo e in largo la capitale, e la descrizione di Gautier è così viva che sembra davvero di essere lì con loro, tornati indietro di quattro o cinque secoli.
E c’è la lunga scena centrale della tempesta di neve, durante la quale muore Matamoros, il soldato fanfarone: Sigognac prenderà il suo posto come attore, integrandosi nella compagnia e facendosi chiamare Capitan Fracassa. Ma agli attori era vietata la sepoltura cristiana: la sequenza del povero funerale di Matamoro è vera e toccante, e molto illuminante sul vero pensiero dell’autore.
Togliendo tutto questo, compresa la lunghissima descrizione iniziale dello stato delle rovine del castello di Sigognac, rimane ben poco dello spirito del romanzo: ed è questo “ben poco” che ritroviamo nei film tratti dal bel libro di Gautier, compreso quello che ne ha ricavato Ettore Scola e che aveva Massimo Troisi tra gli attori della compagnia.
Ma il più famoso dei “Capitan Fracassa” è senz’altro quello del 1960, con Jean Marais protagonista, Anna Maria Ferrero, Philippe Noiret, e Louis de Funes nella parte di Scapino. Non una brutta compagnia; purtroppo il regista si limita a seguire la vicenda, Marais è già troppo anziano per la parte, e de Funes è un po’ troppo limitato dal dover stare nel suo personaggio. Ancora una volta, un’occasione persa...
Giuliano il romanzo di Gautier io da ragazzo l'ho letto due volte, ce l'avevo nella prima gloriosa BUR (volume quadruplo, 240 lire!).
RispondiEliminaA me piacque anche la parte di cappa e spada, con gli spadaccini Malartic e Lampourde. Provai a leggerlo una terza volta, ma ormai ero cresciuto ed ero divenuto adatto a letture un po' meno prevedibili (forse anche perchè la parte relativa al teatro allora non mi interessava molto, non ne avevo nessuna esperienza).
Ho visto il film di Scola con Troisi, ed ha anche dei pregi, e forse ne scriverò qui, ma l'ho trovato un po' malinconico ed ... esangue, malgrado la presenza di Ornella Muti e di Emmanuelle Béart. Ma la malinconia dipende forse dalla presenza di Troisi, che io trovo bravo, ma quasi sempre malinconico al limite della tristezza.
saludos
Solimano
Sì, anche la parte dei due spadaccini è notevole, soprattutto per la ricostruzione d'ambiente.
RispondiEliminaGautier era un maestro in queste cose, sia nel giro di Parigi che nelle stanze di Malartic e Lampourde. A volte sembra di essere con Daumier o con Hogarth...
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