lunedì 2 luglio 2007

Americani

Glengarry Glen Ross di James Foley (1992) Commedia e Sceneggiatura di David Mamet Con Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin, Alan Arkin, Ed Harris, Kevin Spacey Musica: James Newton Howard, Irvin Berlin, Duke Ellington Fotografia: Juan Ruiz Anchia (100 minuti) Rating IMDb: 7.8
Ottavio
Una diecina di anni fa ho frequentato uno degli ultimi corsi di formazione aziendale, uno di quei corsi che servono all’azienda per mandare qualche implicito messaggio ai propri dipendenti e che ai dipendenti servono per tirare il fiato interrompendo il ritmo stressante del lavoro quotidiano.
Il corso era basato sul dialogo tra i partecipanti, su qualsiasi argomento, con gli istruttori (due) pronti a stimolare la discussione: ricordo dei lunghissimi pomeriggi passati a discutere di civiltà occidentale e altre amenità del genere. Le sessioni di dialogo erano alternate con la proiezione di film, che secondo gli istruttori dovevano suscitare successivi dibattiti, come nei cineforum. Ho visto in quell’occasione film interessanti, come “Sogni” di Kurosawa, ma quello che più mi è rimasto impresso è stato “Americani”, di James Foley.
“Americani” è un film terribile che illustra che il limite (inteso come funzione matematica) del capitalismo è la giungla, intesa come ambiente regolato esclusivamente da istinti animaleschi di sopravvivenza.
In una agenzia immobiliare di Chicago, dove operano dei simpatici venditori (e vorrei vedere, con un cast con Jack Lemmon, Al Pacino, Kevin Spacey etc), arriva un giorno un direttore “innovativo”. Uno cui è stato insegnato che nella vita non ci sono né principi né regole, che i soldi sono il motore e la ragione delle cose. Questo galantuomo lancia ai poveri venditori un incentivo avvelenato: una gara assassina in cui chi vince, realizzando il maggior numero di vendite, si porta a casa una Cadillac, chi perde viene licenziato. Inizia così tra i malcapitati una lotta feroce per il successo (o la sopravvivenza), disposti a qualunque mezzo pur di vendere. Nel film si vede veramente di tutto, e il disagio aumenta man mano che le immagini scorrono.
Ci sono delle scene veramente toccanti: quando Jack Lemmon, uno dei venditori, che ha la figlia ammalata in ospedale, impegnato com’è nei tentativi di vendita può comunicare con lei solo per mezzo delle cabine telefoniche che incontra nei suoi itinerari.
Non dirò chi vince e chi perde: se non l’avete ancora visto merita che colmiate la lacuna.
Scorrendo le critiche dell’epoca (1992) al film mi ha colpito il commento di Enzo Siciliano, secondo cui “una lettura di Max Weber aiuterebbe a capire che nelle società di stampo protestante, quella americana in particolare, i buoni risultati nel guadagno (magari nella truffa) finiscono per essere la riprova del benevolo sguardo di Dio”. Bah, mi lascia perplesso! Sono più d’accordo con Walter Veltroni che dice che “per qualcuno questo film si potrebbe definire un film comunista. E’ infatti un film contro una certa etica del capitalismo, è la denuncia della ferocia , dell’assurda spietatezza dell’individuazione del denaro come fine e non più come mezzo”.
Più prosaicamente per noi spettatori di quella proiezione il film fu fonte di una certa preoccupazione:
perché ci hanno fatto vedere questo film? Vogliono farci capire come lavoreremo in futuro? Sapevamo che quello che avviene in America in termini e modalità di organizzazione del lavoro si replica in Europa dopo qualche anno.
E più in generale, è quello il tipo di società a cui tendiamo? Ahinoi!
Beh, dieci anni dopo mi sembra di poter concludere che quella preoccupazione non era del tutto infondata.

5 commenti:

  1. Un film molto, molto buono. Ingiustamente misconosciuto,almeno, così mi pare.
    Estremamente attuale, purtroppo

    RispondiElimina
  2. Mamet è uno dei pochi scrittori che davvero mi abbiano colpito in questi anni. E' un po' difficile da seguire, ma va a toccare sempre temi delicati e nervi scoperti, e lo fa con grande intelligenza.
    Complimenti per la scelta.

    RispondiElimina
  3. Ottavio, credo che all'origine del film ci sia Mamet, ottimo come scrittore, sceneggiatore e regista. Sviluppa temi aspri con lucidità, realizza anche storie che hanno del thrilling con furberia, ma con ancor più intelligenza. Ho due suoi film in mente, soprattutto. L'opera teatrale all'origine di questo film è stata rappresentata in Iralia facendo scalpore: a una durezza simile non si era abituati.
    Gli anticorpi americani - come qui - ogni tanto intervengono con chiarezza che noi neppure ci sogniamo su temi come questo, in cui noi scadremmo nel sentimentalismo o peggio ancora nel grottesco-farsesco.
    Purtroppo, c'è chi crede che gli USA siano un monolite, un impero del male rovesciato. Non è fortunatamente così, e queato film lo conferma, ma è una grande tradizione americana tirare fuori, ogni tanto, film di questo genere, che un italiano non si sogrerebbe mai di fare.

    saludos
    Solimano
    P.S. Trovo personalmente positivo che ci siano state società che mostravano ai dipendenti film come questo, come La parola ai giurati, come Chi ha paura di Virginia Woolf. La vedete, una società italiana, fare così? Io no.

    RispondiElimina
  4. Solimano, posso testimoniare davanti a Perry Mason in persona che in una azienda di servizi che opera su scala nazionale, nei seminari di formazione Quadri si facevano discutere film come "La parola ai giurati", "Il pranzo di Babette", "Lunga vita alla signora" (Olmi) e libri come "La chiave a stella" di Primo Levi e i libri di Volponi.
    Ieri. Oggi non so.
    E cmq son d'accordo se non sulla lettera, sul senso di quello che dici a proposito di anticorpi made in USA o made in Italy.

    RispondiElimina
  5. Gabriella, ieri sì, e mi fa piacere quello che tu dici, ma oggi penso proprio di no, purtroppo. E non lo dico per fare del come eravamo, è che quindici anni fa, nelle riunioni dei direttori del personale, cominciò a circolare - e ridevano tutti - questa battuta: "Perché prevenire quando si può reprimere?"
    Le conseguenze, a livello ad esempio di senso di appartenenza aaziendale, sono sotto gli occhi di tutti. Poi si parla - è anche giusto - del costo del lavoro in India, ma se si parla di un problema, bisogna raccontarla tutta, la storia. La faccenda poi dell'antiamericanismo italico è sgomentevole: c'è un antiamericanismo di destra, ce n'è uno di dinistra, ce n'è infine uno di centro, il più dannoso, quello mischiato di negriero e di mammone, di Vaticano e di raccomandazioni, di nepotismo e di cordate. Queste sono cose di costume, non c'è riforma o legge che tenga, se non la presenza di serie società internazionali in Italia. Ma se ne stanno andando tutte, e quelle che non se ne vanno, fanno in modo da cacciarle.

    saludos
    Solimano

    RispondiElimina