martedì 29 maggio 2007

Umberto Eco al cinema (1)

L’effetto Kulesov e l'orso che ride
(La Bustina di Minerva su L'espresso, 19 febbraio 1989)
Alberto Moravia, nella sua rubrica di cinema {"L'Espresso" n.4) ha scritto che "L'orso" di Jean Jacques Annaud «oscilla tra il film d’autore e il prodotto di successo», mentre tutti ne avevano parlato solo come di un film che cerca di far leva sui buoni sentimenti, e sulla nostra ingenua propensione a vedere gli animali come esseri umani, capaci di fare ciao ciao con la manina.
La settimana scorsa, sempre sull' "Espresso", Giorgio Celli argomentava che forse gli orsi si comportano anche così, ma che non è la realtà etologica che conta, bensì l'intento ecologico.
In ogni caso nessuno può mettere in dubbio che il film giochi su uno straordinario effetto di realtà. Vi ho ceduto anch'io: mi sono goduto il film di Annaud intenerendomi nei momenti giusti. E tuttavia seguivo la vicenda preso da un sospetto crescente: che il film non mi parlasse affatto di orsi. Avrebbe potuto ottenere lo stesso effetto se avesse raccontato una storia di lucertole.
Infatti "L'orso" non ha per protagonista un orso, bensì il cinema in persona. E' un esercizio, una scommessa, una dimostrazione teorica - ma anche una dichiarazione d'amore - sulle possibilità del cinema e sul fatto che il cinema non è arte imitativa e realistica. Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative a spese di quella fattuale, che gli provvede solo il materiale grezzo. Il film di Annaud è un inno all'effetto Kulesov.
Lev Vladimirovic Kulesov è stato un grande cineasta e teorico del film di cui Pudovkin diceva: «Noi facciamo film, lui ha fatto il cinema». E aveva non solo teorizzato, ma realizzato in pellicole e in esperimenti di laboratorio tutte le magie del montaggio. Kulesov riprendeva il "grande" Muzuchin mentre guardava fisso davanti a sé, non importa con quale espressione. Poi in fase di montaggio mostrava in controcampo un piatto di minestra. Lo spettatore era convinto che l'attore esprimesse intensamente una ardente brama di cibo. Poi Kulesov cambiava il montaggio, e mostrava al posto della minestra un cadavere. Muzuchin esprimeva, per chi guardava, orrore, tristezza e sgomento. La faccia era sempre la stessa, ma il montaggio l’aveva caricata di sentimenti, ovvero aveva indotto lo spettatore a proiettare nella pellicola i sentimenti che si attendeva di veder espressi.
Un'altra volta Kulesov aveva mostrato una donna che si truccava davanti a uno specchio, sollevava da terra una sigaretta, si infilava le scarpe: ma la donna non esisteva, il regista aveva usato volta a volta la faccia, gli occhi, le mani, i piedi e la schiena, rispettivamente, di cinque donne diverse. Scriveva: «Si può mostrare che con il montaggio l'attore può anche non conoscere assolutamente le cause che lo costringono a esprimere dolore, gioia eccetera, e che nel cinematografo ogni espressione di sentimento da parte dell'attore non dipende dalle cause materiali di questi sentimenti».
Il pubblico di Annaud segue la tenera storia di un orsacchiotto senza rendersi conto che gli orsacchiotti usati sono più di uno e di colore diverso (ma si pensa che la differenza sia dovuta alla luce). Rivedendo i vari fotogrammi del film, ci si renderebbe conto che questi orsacchiotti hanno sempre la stessa espressione, o comunque una gamma assai limitata di espressioni ferme, per nulla simili a quelle umane. Ma il sonoro da un lato (che commenta le espressioni e i gesti con gemiti e mugolii teneramente antropofonici) e il gioco del montaggio inducono lo spettatore a pensare che quegli orsi patiscano quelle emozioni che noi patiremmo nelle stesse circostanze.
Il film di Annaud ci dimostra che con il montaggio si può dire tutto, specialmente quello che non c'è. Incontrando Annaud gli ho detto brutalmente che a lui degli orsi non importava nulla e che voleva fare un film sul cinema come bella menzogna, ovvero come arte. Mi ha risposto che era felice che qualcuno finalmente glielo dicesse. Gli ho chiesto perché non lo diceva lui. Mi ha risposto che ha tentato, ma la gente non gli crede. Gli chiedono notizie dell'orsetto.
Annaud ha dunque vinto la sua scommessa, e forse troppo? Per rispondere bisognerebbe decidere quale era la scommessa. Se era quella che dico io, ha forse ridotto troppo quei segnali impercettibili attraverso i quali avverte lo spettatore che egli sta facendo un gioco sulla fune, tra l'arte sull'arte e la poesia ingenua e sentimentale.

4 commenti:

  1. Non conoscevo Kulesov, per cui ringrazio Giuliano di avermelo "presentato". E non ho visto "L'orso" di Annaud, forse perchè inconsapevolmente intuivo quello che stava sotto la storia, e che Eco esprime con molta chiarezza. Però, che schifo, se lo stesso film si fosse intitolato "La lucertola"! Dubito molto che gli spettatori si sarebbero potuti identificare in un rettile a sangue freddo che striscia su assolati muretti: mentre i plantigradi -come ci insegnano anche le scienze naturali- hanno qualcosa di nettamente antropomorfo, specie quando si sollevano sulle zampe posteriori... Ricordate quel film di Walt Disney, "L'incredibile avventura", dove i protagonisti sono due cani ed un gatto che attraversano mezza America per ricongiungersi agli amati padroncini? Per analogia, mi viene da pensare a loro: e a quanto siano stati abili, anche in questo caso, il regista, il montatore e il tecnico del suono!

    Bacioni

    Roby

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  2. L'orso di Annaud ebbe un certo successo quando uscì. Anch'io me lo ero dimenticato, però ho ritrovato gli articoli di Eco e li ho trovati notevoli.
    Ho un po' nostalgia delle cose che scriveva Eco una volta...
    PS: Eco e Annaud si conoscono perché prima dell'orso Jean Jacques Annaud realizzò il film tratto da "Il nome della rosa", quello con Sean Connery che fa il frate investigatore.

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  3. Giuliano, ti dirò che andai a vedere "Il nome della rosa" SOLO perchè ad interpretarlo c'era il MITICO SEAN, sicura fin dall'inizio che del libro di Eco sarebbe rimasto ben poco. Ricordo infatti soltanto come stava BENE Connery col saio di ruvida tela (ma sotto cos'avrà portato? I boxer???), come bruciavano coreograficamente i codici della biblioteca e come suonava falsa la battuta del frate-investigatore al novizio dubbioso: "ELEMENTARE, Adso!"...ma era ECO o CONAN DOYLE???

    Bacioni-bis

    Roby

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  4. Però. E' consolante vedere che esiste ancora il buon gusto. Di Sean Connery non sono geloso, è la quintessenza della mascolinità come dovrebbe essere percepita dalle donne intelligenti, sottolineo donne e sottolineo intelligenti.
    Riguardo Il nome della rosa di Annaud, in effetti a parte Sean non c'era molto, ma Annaud è uno strano, cambia spesso genere, ho visto almeno due film suoi molto intriganti, per ragioni diverse: La guerra del fuoco e L'amante, tratto dal romanzo della Duras, con Jane March che fa la bambinaccia.
    Bella, l'idea di Giuliano di portare qui qualche Bustina di Minerva.

    saludos
    Solimano

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