mercoledì 30 maggio 2007

Il diavolo veste Prada

The Devil Wears Prada di David Frankel (2006) Sceneggiatura di Aline Brosh McKenna, Lauren Weisberger Con Meryl Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt, Stanley Tucci, Simon Baker, Adrian Grenier, Tracie Thoms Musica: Theodore Shapiro Fotografia: Florian Ballhaus (109 minuti) Rating IMDb: 6.8
Manuela
Dopo una notevole serie di film di guerra e western, ho chiesto una tregua e mi sono fatta suggerire da mia figlia un film rilassante e, soprattutto, da donna. Così, finalmente, ho potuto rilassarmi davanti a “Il diavolo veste Prada”. Questo film dimostra, innanzi tutto, che gli americani non hanno perso il tocco con le commedie; infatti è una godibilissima “commedia americana”, facile da seguire, divertente, perfettamente ambientata, e recitata magistralmente. E non è stupida, perché questo tipo di commedie non lo è mai; al contrario, buttano lì, senza parere, e con ironica leggerezza, spunti per riflessioni che potrebbero protrarsi molto a lungo, situazioni e problemi che attengono alle numerose contraddizioni del mondo di oggi.
Avevo letto che era un film sulla moda, ma non è proprio così. E’ bensì ambientato nel mondo della moda, ma a me sembra che il tema di fondo sia quello del lavoro: di che posto debba avere nella nostra vita, fino a che punto sia giusto sacrificarvi la vita privata, fino a punto si possa giungere senza vendersi l’anima al diavolo (appunto). Se vi sembrano temi di poco conto! Senza parlare del tema del merito, che forse è quello centrale. Perché questo diavolo (una Meryl Streep straordinaria) fa sputar l’anima alle sue assistenti, le mette in situazioni intollerabili, pretende una dedizione assoluta; fino ad indurre la giovane Andy (Anne Hathaway, di fresca e intelligente bellezza) a ribellarsi a questa vita e ai compromessi con la propria etica che inevitabilmente comporta. Ma in fondo Andy , che recupererà la sua vita privata e i suoi ideali professionali, ha in sé la grinta e la volizione che le permetteranno di sfondare, e sa bene che il diavolo non è poi così cattivo, e un pochino le assomiglia. E c’è, naturalmente, l’antico sempre attuale tema, riassunto in una sola illuminante frase del film: “Se Miranda fosse un uomo tutti direste solo che sa far bene il suo lavoro”: essere una donna in carriera non è poi tanto facile, nemmeno in America.
Devo confessare che questo mondo aggressivo, competitivo e stressante, ma in cui ci si fa strada col merito e non con le raccomandazioni, mi solletica: ma deve essere solo l’effetto di una troppo lunga permanenza nella pubblica amministrazione italiana in cui merito, obiettivi e risultati sono termini del tutto sconosciuti.
E la moda? (I dotti amici maschi possono anche smettere di leggere adesso). E’ alta moda americana, e si vede. Il solo momento in cui si vedono bei vestiti – santo cielo, veramente belli!!! – è la sequenza della sfilata di Valentino. In compenso, Valentino, in persona, recita malissimo anche interpretando se stesso.

9 commenti:

  1. Manuela, anche la mia, di figlia, mi ha consigliato questo film, che ancora non ho visto: lei però me l'ha raccontato praticamente tutto, e in particolare la scena in cui Andy, stanca di farsi tiranneggiare, butta via il cellulare da cui arriva la voce stridula di Miranda e parte incontro alla sua nuova vita, rinunciando così ad uno stipendio fornito di parecchi zeri. "Mamma" ha commentato con un lampo di malizia negli occhi la mia quasi-maggiorenne "io una ca**ata così mica l'avrei fatta: io a quel cellulare avrei risposto, E DI CORSA!!!!!"

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  2. Manuela, condivido in pieno tutto quello che hai scritto su questo film.
    E' piacevolissimo e tutt' altro che stupido. Meryl Streep è perfetta ed anche la Hathaway interpreta magistralmente il suo ruolo, oltre ad essere una vera gioia per gli occhi.

    Roby, guardalo questo film, se ti capita.
    Trascorrerai due ore veramente piacevoli.

    Saluti e pop corn per tutti.
    habanera

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  3. Care Habanera e Manuela, tra una "sgranocchiatina" di popcorn e l'altra (!!!) sto aiutando la figlia-di-cui-sopra a ripassare inglese per l'ultima interrogazione dell'anno, e... sorpresa!!! Leggo sul suo libro che ANNE HATHAWAY era il nome della moglie di SHAKESPEARE!!! Bella scelta per uno pseudonimo da giovane attrice!!!

    See you later!

    Roby

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  4. Non ho visto il film ma mi sono messo in attesa, prima o poi arrivo anch'io. Ho sempre un po' di paura con queste commedie americane, non sai mai se sono davvero buone o se è roba fatta in qualche modo.
    Però faccio un'altra confessione: Meryl Streep mi piace da sempre,e non solo come attrice.

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  5. Mi piacciono queste ragazze grintose e pronte ad addentare la vita! Andy si permette di non rispondere al telefono, perché ormai sa quello che vuole ed è decisa ad ottenerlo, proprio grazie all'esperienza con Miranda. Forse incontrare un diavolo di questo tipo sarebbe una fortuna per un bel po' di ragazze!
    A proposito, Anne Hathaway non è uno pseudonimo, pare che sia il suo vero nome: è stata la madre attrice a farne un omaggio a Shakespere.
    Caro Giuliano, sapevo a priori che i miei colti e maschi amici non avrebbero avuto niente da dire su questo film, che ha molti difetti: non ha nemmeno un protagonista uomo (l'unico maschio ha il solo scopo di far risaltare le donne), i dialoghi scorrono senza pause di 20 minuti, lo sceneggiatore sa quando deve mettere la parola fine, è americano, parla di moda, ma, soprattutto, è sconvenientemente recente.

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  6. Cara Manuela, io i film li guarderei tutti, se potessi. Il fatto è molto più semplice e molto più politico: io non amo molto le commedie d'ambiente alto-medio borghese. E' anche per questo che non amo molto i film con Jack Lemmon, per esempio (e poi Solimano mi guarda male, e ha ragione lui ma non so cosa farci).
    Non è il mio mondo: l'ambiente in cui sono cresciuto è molto diverso. Un film "al femminile" che invece mi ha colpito molto è stata la storia di Artemisia Gentileschi, con Valentina Cervi: erala storia di una donna raccontata da una donna e si vedeva. Era un bel film, ma davvero in quel caso mi sono sentito "dall'altra parte".

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  7. Se ci può stare il maschilismo di Amici miei, in cui le donne sono delle rompiscatole o degli oggetti sessuali, ci può stare il femminismo di altri film come questo, in gli uomini sono idem con patate.
    La stronzaggine, nel lavoro e nella vita più in generale, è ambosessi, né condivido l'atteggiamento scodinzolone praticato da diversi maschi dotati di abbondante coda di paglia: le donne, che hanno il naso fino, gli scodinzoloni magari li lodano, ma non li stimano.
    Esiste invece un problema grande come una casa, che si chiama pari opportunità. Su questo fronte, in cui c'è tanto da fare, occorre battersi insieme, donne e uomini, uomini e donne.

    saludos
    Solimano

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  8. Manuela, mi hai fatto ricordare un vecchio film (ma non il suo TITOLO, ahimè!), pure americano, dove le protagoniste sono tutte donne, anche se si parla continuamente di uomini, come mariti, padri, amici o amanti. Gli attori maschi sono presenti solo come voci fuori campo, al telefono, o di spalle... Accipicchiolina, COME SI CHIAMAVA???? Mi pare ci fosse Joan Crawford... o forse Joan Fontaine??? ODIO quando la memoria mi fa cilecca!!!!
    [:-<]
    Roby

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  9. Manuela ha pensato di vendicarsi proponendomi un film al femminile. Nei western non ci sono protagoniste femminili, quindi beccati questo! J
    Ma il suo disegno “diabolico” è fallito: mi sono divertito e il film è bello. E’ una commedia, ma quando gli americani ci si mettono sono proprio bravi. Il film butta sul piatto questioni per niente secondarie. Innanzi tutto il lavoro: il peso che questo ha nella vita delle persone. Per gli americani il lavoro è una cosa seria. Lo si capisce in questa narrazione. Certo qui il tema può apparire esasperato, ma la questione è posta nei suoi termini reali e concreti. Ognuno è libero di scegliere il “peso” da attribuire al lavoro, ma è proprio da questa scelta che deriva una concezione della vita. E la protagonista, dietro un apparente ingenuità, ha le idee ben chiare: sa che il lavoro è la strada per realizzare se stessa, per progettare la propria vita. Si butta a capo fitto perché sa che quella esperienza le sarà utile, ma incontra un diavolo. Un diavolo che non guarda in faccia a nessuno, un diavolo che per realizzare il suo disegno procede come uno schiacciassi che trita tutto quello che incontra. Ma è proprio cosi? No. Non è così, in realtà il diavolo rappresenta il lavoro fatto con professionalità, rappresenta la capacità di fare senza ricorrere a sotterfugi, alle amicizie, a compari o ai “furbetti”. Il Diavolo preferisce Andy ad Emily perché Andy è più brava e un Capo non può scegliere in base ai sentimenti, sceglie invece in base al valore professionale. Il Diavolo dunque parla d’altro: altro che mondo della moda. A noi italiani che viviamo in mezzo al familismo, alle furberie, ad amici, ci mostra un modo possibile di uscire dal nostro declino. Ci dice basta con tutto ciò, affidatevi alla trasparenza e al valore del merito e del lavoro: la trasparenza che riconosce la professionalità diventa anche una categoria politica. Un Capo ha il dovere di scegliere il meglio tra le professionalità di cui dispone, l’elettore ha il diritto di scegliere il meglio tra chi si candida al governo della cosa pubblica. L’elettore lo può fare solo se il sistema si basa sulla trasparenza e sulla responsabilità: di chi è scelto per governare ma anche di chi lo sceglie. Troppo azzardati questi collegamenti? Mi piacerebbe sentire altri.
    Allora, come detto all’inizio, credo che questo film al femminile (chissà poi perché al femminile?) sia una “commedia” non solo patinata, ma un modo per disegnare il tema dell’opportunità che in una società come quella americana è centrale da sempre. Certo se fosse stato ambientato in un contesto maschile il Diavolo avrebbe avuto altre fattezze e con ogni probabilità sarebbero entrate in gioco le aggressività maschili, ma il tema del lavoro, della professionalità, del valore sarebbero stati comunque centrali. Ma la storia al maschile non avrebbe avuto la bellezza di Andy, di Emily e di... Miranda.

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