Les Orgueilleux di Yves Allégret (1953) Sceneggiatura di Yves Allégret, Jean Aurenche, Pier Bost, Jean Clouzot, Jean-Paul Sartre Con Michèle Morgan, Gérard Philipe, Carlos Lopez Moctezuma, Michèle Cordoue, André Toffel, Arturo Soto Rangel Musica: Gonzalo Curiel, Paul Misraki Fotografia: Alex Phillips (103 minuti) Rating IMDb: 7.0
Ottavio
Si può giustificare la visione di un film per una sola scena? La risposta è si. Mi vengono subito in mente due esempi. In Delitto perfetto di Hitchcock quando Ray Milland, vistosi scoperto come mandante del tentato omicidio della moglie Grace Kelly, offre un bicchiere di whisky al poliziotto che lo arresterà (Robert Cummings?). Oppure nel Cavaliere della valle solitaria (già inserito da Lodes in questo blog) quando Alan Ladd sfida a duello Jack Palance e lo provoca dicendo: “Ho sentito parlare di te: dicono che sei un vigliacco e che uccidi la gente sparando alle spalle”. Memorabili! E chissà quante altre!
Lo spunto per questa introduzione mi è stato fornito dal post (del 3 maggio) di Solimano sul film Les liaisons dangereuses dove la bella foto di Gérard Philipe ha innescato un “processo mentale di ricerca di analogie”, come direbbe uno psicologo. Ho quindi ripercorso i film visti, interpretati da questo grande attore, e mi sono soffermato su Gli orgogliosi. Gérard ha avuto una carriera breve (dal 1944 al 1959, anno della sua morte) ed ha avuto il suo fulgore dal ’50 al ’56, periodo in cui era impegnato in tre/quattro film all’anno, alcuni di grande successo (Fanfan la Tulipe, Les grandes manoeuvres), altri meno.
Come nel caso de Gli orgogliosi, del 1953, che, malgrado una partecipazione al Festival di Venezia (mi pare!) non ebbe particolare rilievo né di critica né di botteghino. Anch’io ho il dubbio di averlo visto in un passaggio televisivo, forse in occasione di una retrospettiva di Gérard Philipe, appunto.
In questo film Gérard è Georges, un giovane medico francese che, dopo la morte della moglie, distrutto dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvarla, si trasferisce in un piccolo villaggio nel Golfo del Messico. Qui si lascia andare alla disperazione piú nera, affogando il proprio dolore nell'alcol. Un giorno arriva al villaggio un’altra “francesa”, Nellie (Michèle Morgan), con il marito gravemente ammalato. Nella sua ricerca affannosa di un medico, ella incontra Georges, che però non può far nulla per il marito, che muore poco dopo per meningite cerebro-spinale.
Nellie a questo punto si dispone a fermarsi nel paese il tempo necessario per rimpatriare la salma del marito, ma poiché si scopre che la meningite è l’effetto di un’epidemia che si sta diffondendo nella regione, è obbligata a seppellire il marito sul posto ed a non muoversi fino alla fine della quarantena. Così continua a frequentare Georges, il quale è sempre alla ricerca di un bicchiere o di una bottiglia di Tequila. La sorte comune li avvicina e l’amore provocherà a poco a poco la redenzione. Che arriva definitivamente quando il medico del paese chiede l’aiuto di Georges per organizzare un ospedale di fortuna per fronteggiare l’epidemia. Di fronte alla prospettiva di salvare delle vite e supportato dall’amore di Nellie, Georges ritrova un senso nella sua vita.
Il film si svolge in un un’atmosfera buñueliana: i drammi umani scorrono vissuti e osservati con fatalismo da protagonisti e comparse. Non per niente il Messico, dove è stato ambientato il film, è lo scenario di tanti film di Buñuel (che peraltro ha avuto, se ricordo bene, una particina nel film). Che senz’altro ha influenzato Allegret. Anche se dal finale la morale che si ricava è che anche dalle grandi sciagure possono sortire effetti positivi.
Tra gli interpreti, Michèle Morgan, spesso accusata di freddezza nella recitazione, è qui commovente nel suo ruolo di giovane donna improvvisamente sola. Gérard Philipe è straordinario, a mio parere, nel dare al suo personaggio, così diverso dai ruoli di “primo amoroso” o di fanfarone, un’ambigua complessità evitando di cadere nella caricatura.
Trovo (su Internet naturalmente) un curioso aneddoto su questo film: Martin Scorsese ne è stato un ammiratore ed è stato colpito (e turbato nella sua adolescenza) dall’erotismo delle scene in cui Michèle Morgan, in sottoveste nella sua caldissima stanza d’albergo, si passa dei cubetti di ghiaccio sul viso e sul busto e si rinfresca le gambe con un ventilatore.
Allora è questa, direte, la scena che da sola giustifica la visione del film. Non esattamente.
La scena da antologia è quella in cui Georges-Gérard si lancia in una ridicola e forsennata danza con una bambina in una taverna, davanti ad una folla divertita, al solo scopo di ottenere una bottiglia di tequila. Vi assicuro che merita.
Ottavio, come già ebbi modo di dire a Giuliano il 30 aprile, se non dovessi tener conto della rigida etichetta propria dell'alta società cui appartengo (!) BACEREI anche te: mi hai finalmente ricordato qual era il film (che avevo visto in TV secoli fa) nel quale Gérard Philipe fa l'alcolizzato!!! E pensare che mi scervello da quasi un mese, arrivando persino a dubitare di aver preso fischi per fiaschi...
RispondiEliminaA parte questo, a proposito delle scene famose che "valgono tutto un film" sono d'accordo. Non so bene perchè, ma due delle mie preferite sono scene finali ed hanno a che fare con le scale di casa: la prima è quella di "Notorious", con Cary Grant che accompagna la Bergman fuori dalla villa in cui il marito (Claude Rains, se non erro) la tiene prigioniera; nella seconda, invece, Olivia de Havilland sale con studiata lentezza lo scalone della sua casa di "Ereditiera", sorda ai richiami di Montgomery Cliff che dall'esterno la implora:"Caterina! Apri la porta!"...
Grazie e ciao!
[:->>>]
Roby
le scene del film possono confonderti è farti credere che un film sia bellissimo solo perchè hai visto quella scena magari nel trailer...quanti film sono andata a vedere abbagliata da una scena che mi aveva particolarmente colpita per poi accorgermi che invece il film non valeva una cicca...magari ti hanno fatto vedere una scena comica e tu credi che il film sia interamente divertente... e invece quella era l'unica scena comica di un film pietosamente inutile
RispondiEliminaOttavio, in quegli anni si scoprì il Messico come ambientazione ideale per storie di degradazione e di riscatto. La cosa non finì lì, proseguì per decenni, con invasione anche dei film western, dei film politici e dei film di gangster (tipo l'abbastanza recente Traffic.
RispondiEliminaE' come se specie gli statunitensi avessero bisogno del Messico, come bagno di vita primordiale ma più vera, compreso l'aspetto della crudeltà, che in questi film è sempre presente.
Roby, ognuno di noi ha le sue scene madri a cui attaccare il resto del film. Non sono le battute che si scambiano gli attori, è proprio la scena, scale e mobili compresi. Due esempi: la corsa attraverso il Louvre in Jules e Jim e il piedino di Stefania Sandrelli nel finale di Divorzio all'italiana.
saludos
Solimano