sabato 26 maggio 2007

Baci e abbracci

Baci e abbracci di Paolo Virzì (1999) Sceneggiatura di Francesco Bruni, Paolo Virzì Con Francesco Paolantoni, Massimo Gambacciani, Pietro Gremigni, Samuele Marzi, Paola Tiziana Cruciani, Daniela Morozzi, Isabella Cecchi Fotografia: Alessandro Pesci (104 minuti) Rating IMDb: 6.0
Solimano
Nel super dove vado a fare spesa, ogni tanto compaiono confezioni di bistecche di struzzo, carne rossastra un po’ scura. Non ne prendo mai, né ho visto altri prenderle, ma se il super continua a provarci avrà i suoi motivi che non conosco. Quando vedo queste bistecche mi viene in mente l’Azienda Struzzi Associati, ben presente nel film Baci e abbracci di Paolo Virzì. L’azienda ha un suo organigramma, presidente di qui, direttore di là, ma si tratta di tre ex operai (Renato, Luciano, Tatiana) che cercano di farcela inventandosi imprenditori: in un casale semidiroccato allevano degli struzzi e cercano di venderne la carne in giro, con difficoltà nelle vendite, cambiali in scadenza, litigi fra di loro, intimazioni delle banche, speranze spesso deluse ma sempre riaffioranti. Hanno anche una dipendente/segretaria/amministrativa/factotum che è una specie di Venere terragna, Annalisa (Isabella Cecchi) che da sola giustifica il biglietto o il DVD: oca volonterosa, sovrabbondante eppure aggraziata, leggera ma di sentimento, una ruspante che si arrangia con l’inglese. Si avvicina il Natale, e i tre dirigenti ne hanno pensata una: incontrarsi per un finanziamento con un assessore regionale che se la fa con la sorella hostess di Renato, e combinano di andarlo a prendere alla stazione. Sanno solo che l’assessore si chiama Mario, ma non l’hanno mai visto. Così intoppano nel Mario sbagliato, noi ce ne accorgiamo, loro no. Il Mario sbagliato (Francesco Paolantoni) è un ristoratore che era andato alla stazione per suicidarsi, perché la moglie l’aveva mollato portandogli via il figlio e in aggiunta il suo ristorante non aveva più clienti. Natale è giorno di gioie grandi, ma ci sono anche dolori disperati. L’equivoco è quello che Gogol inventò ne L’Ispettore Generale: tutti a cercare di ingraziarsi Mario, a cui non par vero di essere trattato bene dopo mesi e mesi sgradevoli. Perfino Annalisa viene convinta ad una certa disponibilità a cui aderisce volentieri, di Mario le piace l’educazione. L’equivoco si chiarirà, Mario rischierà di essere preso a botte, ma preparando un magnifico pranzo di Natale sarà riabilitato. Al pranzo saranno presenti anche gli Snaporaz, un complesso musicale di ragazzi che si lavano poco e che credono di drogarsi con i porcini secchi. La notte di Natale nasceranno piccoli struzzi nelle incubatrici della Azienda Struzzi Associati, Mario ed Annalisa staranno bene insieme, e può darsi che il futuro non sia fatto di struzzi ma di un ristorante nel casale riattato. Non è un film ingenuo, ma a più letture: Virzì ha ragione a chiamare i suoi film tragedie allegre, ed è attento al disagio di persone che ormai fuori d’età cercano di inventarsi mestieri improbabili. Sceglie di fare film in una zona ben precisa, la sua, fra Livorno, Piombino e Cecina usando attori non professionisti che si difendono più colla lingua che coi gesti e le facce. Tutte scelte giuste, che ha perseguito da un film all’altro cadendo di rado nel patetico, preferendo invece il farsesco, sempre lì lì per essere rovesciato in tragico come un guanto. Sappiamo tutti che Mario verrà smascherato, tifiamo per lui - io più per Annalisa - ma in Virzì non c’è sempre il tutto s’aggiusta finale, perché le cose che non si aggiustano ci sono, a precariato dilagante. Col Natale non bisogna avercela su, ma senza obbligarsi a sentirsi più buoni se le cose vanno male. Il film parve troppo fine e gentile per farlo uscire per le feste, uscì - con buoni risultati - a fine gennaio, un episodio istruttivo, nel suo genere: certi pensano che per gli spettatori l’essere più buoni a Natale voglia dire essere più coglioni, visto quello che si trovano nel piatto tutti gli anni. Non è detto che abbiano ragione. La Toscana che rappresenta Virzì non è da cartolina, può essere più brutta che bella anche nel paesaggio, ma rischia il dolore vivo, non la tristezza cupa.
P.S. Naturalmente, niente immagini decorose di questo film, la solita storia. Allora metto un Giardino d’Amore realizzato da Francesco del Cossa nel palazzo estense di Schifanoia nei pressi di Ferrara, ci sono anche baci e abbracci. In basso, spuntano i cigni che conducono la dea Venere, qua e là nel prato ci sono dei conigli, alcuni belli grossi: sono simbolo di lussuria, ma anche di fecondità.

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