domenica 8 aprile 2007

Sotto gli ulivi

Zire darakhatan zeyton di Abbas Kiarostami (1994) Con Mohamad Ali Keshavatz, Farhad Kheradmand, Zarifeh Shiva Fotografia di Hossein Djafarian, Farhad Shaba (103 minuti) Rating IMDb: 7.4
Nicola
Nel luglio del '94 mi trovavo a una scuola estiva a Pittsburgh, a cui partecipava anche Haedeh, una giovane matematica iraniana che studiava a Purdue. Se diventammo subito amici e lo rimanemmo per molti anni, finchè lei non trovò lavoro a Portorico col marito, un astronomo cinese, fu anche per merito di un film di Abbas Kiarostami che avevo visto in un cineforum di St. Louis un paio di anni prima.
Quel film era La vita continua, in cui il regista (interpretato da un attore) e suo figlio tornano al villaggio dove era stato girato Dov'è la casa del mio amico? (un'altra pellicola di Kiarostami), nella regione devastata dal terribile terremoto del 1990, per sapere cosa ne è stato dei piccoli protagonisti. Il film era allo stesso tempo sobrio e delicato; o forse è più preciso dire che era umano e asciutto; evidentemente ispirato al neorealismo italiano, ma con una diversa e più rigorosa idea della dignità umana. Era anche un racconto sul mondo visto dagli occhi dei bambini, mediato dal serrato dialogo tra padre e figlio. Ero uscito dalla sala con l'idea d'aver visto un film davvero importante e con un sacco di domande sull'Iran che non avevo nessuno a cui rivolgere. Fino a quando non incontrai Haedeh e, in seguito, un ingegnere elettronico sua amica, ancor più di lei onnivora di cose occidentali quanto radicata nella sua cultura.
Mi parve così a un certo punto di capire meglio quello e altri film, dopo aver appreso che le arti più apprezzate in Iran, a tutti i livelli d'istruzione, sono la poesia e la musica in stile persiano.
Sbaglia chi, come me all'inizio, pensa che i film di Kiarostami siano una sorta di cinéma-vérité vicino all'improvvisazione momentanea. Le scene sono preparate con cura e ripetute infinite volte. L'improvvisazione c'è, ma è improvvisazione "a motivo", come nella musica classica persiana. Il rapporto tra verità e finzione viene analizzato e presentato con rigore giansenista. Una delle scene di La vita continua, poche brevi battute tra un marito possessivo e la moglie sottomessa, sono la materia del successivo Sotto gli ulivi.
Questo terzo film è quindi un film-fuori dal film-fuori dal film, che rovescia nella realtà la trama della precedente narrazione. I due giovani attori sono in realtà una ragazza istruita e un povero analfabeta, uniti solo dalla scena che interpretano e dal terremoto. Il ragazzo povero ama la ragazza, che però -fuori dalle battute che devono recitare insieme- lo disdegna persino d'uno sguardo. Tutto il film ruota attorno a questo amore non corrisposto, di cui sono partecipi il regista e la troupe. Il ragazzo sa d'essere ben poco partito, ma non demorde. Le dice di voler imparare da lei, tanto più colta. Promette d'essere rispettoso e affidabile. Insiste sulla necessità d'andare oltre le barriere di classe. E lei non gli rivolge parola.
Alla fine, incontratisi in un uliveto, lui le fa un'ultima dichiarazione d'amore.
Nel suo essere fatto di nulla, quasi solo di dialoghi, questo film potrebbe evocare Rohmer. Da questi lo distinguono l'uso di lunghissimi piano-sequenza che danno al tempo anche delle dimensioni diverse dall contatto umano (l'osservazione dall'esterno, la meditazione interiore), e la scelta consapevole di rappresentare un mondo fatto anche di umili.
Nel corso degli ultimi quindici anni, Kiarostami è stato l'unico regista - oltre a Olmi - ad avermi stupito.

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