Giuliano
- Cornelio, facciamola finita con questa commedia!
- Quale delle tante, signore?
Questa battuta, detta al Marchese de la Chesnay dal suo maggiordomo durante una delle sequenze più divertenti e movimentate della storia del cinema, me la porto dietro da sempre, o almeno da quando ho visto per la prima volta da “La regola del gioco” di Jean Renoir.
E’ un film che inizia con un aviatore che compie un’epica trasvolata, e vorrebbe dedicarla alla donna che ama: all’aeroporto ci sono tutti, c’è il suo amico Octave e c’è anche la radio in diretta (la tv non esisteva ancora), ma lei non c’è. Il valoroso aviatore sfoga tutto il suo disappunto e la sua amarezza, inutilmente consolato dall’amico. Ma la donna amata dall’aviatore è sposata: è la moglie del Marchese. Non è per questo che non è venuta all’aeroporto, figuriamoci: è che l’aviatore l’ha presa un po’ troppo a cuore, questa storia. Più tardi, infatti, tutti quanti si troveranno insieme nella grande tenuta del Marchese, invitati a una battuta di caccia e alla festa che seguirà, con una moltitudine di invitati.
Quale è “la regola del gioco”? Renoir non ce lo dice apertamente, ma alla fine si arriva a capirlo: la regola del gioco è di non prendere niente troppo sul serio: nemmeno l’amore, figuriamoci. Vi si attengono tutti i personaggi, anche quelli più buffi e più piccoli: l’unico che non vi si attiene è proprio Jurieu, l’aviatore, che farà una brutta fine. Ma la vita andrà avanti lo stesso, il Marchese si adopererà affinché tutto sembri un increscioso incidente e nessuno ne debba subire le conseguenze; e così è stato, in fin dei conti è proprio questa la verità.
Non è un film facile da vedere, anche se è molto divertente. E’ un film che va visto diverse volte per poterne cogliere tutti i particolari, ed ogni volta lo si rivede con piacere crescente. Non è facile prima di tutto per la grande quantità di personaggi, dal Marchese all’aviatore al guardacaccia al bracconiere; hanno tutti la stessa importanza, e partecipano alla commedia in una “folle journée” chiaramente ispirata a Mozart, al Don Giovanni e alle Nozze di Figaro. Non è facile per la crudezza della lunga sequenza della caccia: siamo nel 1939, e Renoir sta facendo terribilmente sul serio quando ci mostra l’agonia di lepri e fagiani. E’ una durezza inattesa, un colpo allo stomaco nel mezzo di un film che fino allora era una commedia sentimentale; ma Renoir, a differenza di tanti altri, non è estraneo al momento storico in cui vive, ed evidentemente era bene informato di cosa succedeva nel mondo. E’ di questo che ci sta parlando. Altri due personaggi vacillano, sulla regola non detta: la Marchesa stessa, e Octave, al quale ad un certo punto sembra schiudersi un attimo di felicità, uno spiraglio che subito si richiude. Octave è Jean Renoir stesso, con la sua buffa faccia da omino di neve: un personaggio meraviglioso, sempre ai margini ma sempre presente, protagonista ma con discrezione. E poi c’è la sequenza della festa, che io incornicerei e mi porterei sempre dietro: ma come si fa ad incorniciare una sequenza di un film? C’è Octave vestito da orso, come se fosse un film dei fratelli Marx, e c’è la Danse macabre di Saint Saens, danzata da buffi scheletri ed eseguita da un pianoforte che suona da solo, come se davvero fosse un suono che viene dall’aldilà; ed invece è solo un pianoforte a rulli, che la pianista guarda con sospetto e anche con ammirazione.
- Quale delle tante, signore?
Questa battuta, detta al Marchese de la Chesnay dal suo maggiordomo durante una delle sequenze più divertenti e movimentate della storia del cinema, me la porto dietro da sempre, o almeno da quando ho visto per la prima volta da “La regola del gioco” di Jean Renoir.
E’ un film che inizia con un aviatore che compie un’epica trasvolata, e vorrebbe dedicarla alla donna che ama: all’aeroporto ci sono tutti, c’è il suo amico Octave e c’è anche la radio in diretta (la tv non esisteva ancora), ma lei non c’è. Il valoroso aviatore sfoga tutto il suo disappunto e la sua amarezza, inutilmente consolato dall’amico. Ma la donna amata dall’aviatore è sposata: è la moglie del Marchese. Non è per questo che non è venuta all’aeroporto, figuriamoci: è che l’aviatore l’ha presa un po’ troppo a cuore, questa storia. Più tardi, infatti, tutti quanti si troveranno insieme nella grande tenuta del Marchese, invitati a una battuta di caccia e alla festa che seguirà, con una moltitudine di invitati.
Quale è “la regola del gioco”? Renoir non ce lo dice apertamente, ma alla fine si arriva a capirlo: la regola del gioco è di non prendere niente troppo sul serio: nemmeno l’amore, figuriamoci. Vi si attengono tutti i personaggi, anche quelli più buffi e più piccoli: l’unico che non vi si attiene è proprio Jurieu, l’aviatore, che farà una brutta fine. Ma la vita andrà avanti lo stesso, il Marchese si adopererà affinché tutto sembri un increscioso incidente e nessuno ne debba subire le conseguenze; e così è stato, in fin dei conti è proprio questa la verità.
Non è un film facile da vedere, anche se è molto divertente. E’ un film che va visto diverse volte per poterne cogliere tutti i particolari, ed ogni volta lo si rivede con piacere crescente. Non è facile prima di tutto per la grande quantità di personaggi, dal Marchese all’aviatore al guardacaccia al bracconiere; hanno tutti la stessa importanza, e partecipano alla commedia in una “folle journée” chiaramente ispirata a Mozart, al Don Giovanni e alle Nozze di Figaro. Non è facile per la crudezza della lunga sequenza della caccia: siamo nel 1939, e Renoir sta facendo terribilmente sul serio quando ci mostra l’agonia di lepri e fagiani. E’ una durezza inattesa, un colpo allo stomaco nel mezzo di un film che fino allora era una commedia sentimentale; ma Renoir, a differenza di tanti altri, non è estraneo al momento storico in cui vive, ed evidentemente era bene informato di cosa succedeva nel mondo. E’ di questo che ci sta parlando. Altri due personaggi vacillano, sulla regola non detta: la Marchesa stessa, e Octave, al quale ad un certo punto sembra schiudersi un attimo di felicità, uno spiraglio che subito si richiude. Octave è Jean Renoir stesso, con la sua buffa faccia da omino di neve: un personaggio meraviglioso, sempre ai margini ma sempre presente, protagonista ma con discrezione. E poi c’è la sequenza della festa, che io incornicerei e mi porterei sempre dietro: ma come si fa ad incorniciare una sequenza di un film? C’è Octave vestito da orso, come se fosse un film dei fratelli Marx, e c’è la Danse macabre di Saint Saens, danzata da buffi scheletri ed eseguita da un pianoforte che suona da solo, come se davvero fosse un suono che viene dall’aldilà; ed invece è solo un pianoforte a rulli, che la pianista guarda con sospetto e anche con ammirazione.
Giuliano, questo film non l'ho mai visto, ma ne comprerò il DVD, perché non voglio togliermi il piacere di vederlo. Dico piacere, non dovere, perché con Renoir ho la coscienza sporca: l'ho sottovalutato per anni non conoscendolo. Poi, pian piano, ho cominciato a capire che "La grande illusione" non è solo un film antimilitarista, ma è esistenziale, e dice cose verissime dal punto di vista storico, col passaggio di consegne dalla aristocrazia alla borghesia e col sorgere a testa alta del proletariato. E ho capito "Un partie de campagne", che non è solo un omaggio a Maupassant o a suo padre pittore. Persino "La carrozza d'oro" non è un film stanco, come molti dicono. Come vedi, ce ne ho della strada da percorrere con Renoir, e so che "La regola del gioco" è forse il suo film più importante, ci si aggiunge che è tutt'altro che seccante, è impregnato di divertimento: ho seguito recentemente una vecchia intervista a Renoir, lui - in certo modo - era personalmente proprio come l'Octave, il personaggio del film: generoso, infantile e geniale.
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