Rear window di Alfred Hitchcock (1954) Sceneggiatura di Cornell Woolrich, John Michael Haves Con James Stewart, Grace Kelly, Thelma Ritter, Raymond Burr, Judith Evelyn, Ross Bagdasarian, Georgine Darcy Musica: Franz Waxman Fotografia: Robert Burks (112 minuti) Rating IMDb: 8.7
Roby
La prima volta che vidi questo (si può dire?) capolavoro di Hitchcock, da ragazzina, pensavo di non averlo “capito” bene, perché, più che la storia “gialla” propriamente detta, mi avevano colpito tutte le piccole grandi storie di contorno, viste attraverso gli occhi del James Stewart “guardone” (è così che lo chiama la sua governante, ricordate?). Ognuna di esse è delineata con tanta maestria che, alla fine, ciascuna costituisce un film-nel-film, e tutte insieme fanno una serie di “corti” da antologia, che con due pennellate costruiscono vicende, personaggi, drammi o commedie. Ad esempio, la signorina Cuore-solitario è grottesca ed insieme straziante, nella sua disperata ricerca di qualcuno da “amare”: e quando, alla fine, si accoppia con il compositore che ha finalmente “partorito” il suo brano musicale, ci si rallegra per lei ma –allo stesso tempo- si ha il dubbio che forse il lieto fine abbia in qualche modo sminuito la grandezza della sua figura tragica. Agrodolce il ritratto degli sposini novelli, che in pochi tratti condensa il significato di tutta una vita di coppia, dalla passione più accesa alla noia imperante.
E poi, intrigante la Grace Kelly versione “chic”, in completino di Parigi, che per la “cenetta” a casa dell’amato assolda un servizio di catering perfetto, col cameriere che silenziosamente sforna pasticcio, soufflè e budino, il tutto –ovviamente- innaffiato di champagne; ma ancor più irresistibile la Grace Kelly modello “sport”, con la valigetta microscopica –ve la ricordate, vero?- e tuttavia capace di contenere l’intero necessaire per un viaggio improvviso. Quanto l’ho sognata, una valigetta così: quanto l’ho cercata, dentro di me, la “capacità” di quella valigetta, che riusciva a riassumere in sé l’essenziale, senza fronzoli né sovrastrutture… Ma, per tornare al film di cui sopra, la parte meno importante è forse proprio il mistero della scomparsa della signora Thorwald, in fondo una gran rompiscatole, che tutto sommato doveva stare antipatica anche ad Hitchcock stesso. Secondo me, a lui (ed anche a noi) dispiace molto di più della morte del cagnolino, tenera e buffa creatura, che la padrona inconsolabile piange coram populo, in una sorta di parodia del compianto di Antonio su Cesare assassinato, prima di tornare a coricarsi col marito sul materasso sistemato in terrazza. Troppo caldo per restare ognuno chiuso in casa propria, dietro le imposte serrate: e meno male! Perché, altrimenti, che ne sarebbe stato di questo film?
Roby, con questo film io a suo tempo ho commesso un errore. L'ho visto molto anni dopo la sua uscita e mi sembrò troppo pieno di chiacchiere, coè che non strigesse l'attenzione sul come andrà a finire. Apprezzai tante belle qualità, ma la mia opinione fu che andasse asciugato di una buona mezz'ora. Non avevo capito quello che voleva veramente dire Hitchcok, meglio, quello che gli interessava. La struttura thriller gli dava il pane, ma a lui interessava il companatico, come hai bene visto e sentito tu. Companatico fatto di situazioni singolari - ma neanche tanto - che si trovano a vivere e a sopportare le persone, ma ho capito che c'era un altro companatico: Grace Kelly. Quando compare lei, il dignitoso James Stewart indietreggia - con la carrozzella - e Hitchcock la segue con cura che non posso non chiamare amorosa, compresa valigetta, catering e champagne. Oltre tutto, Grace Kelly, prima di ridursi a principessa da operetta, piaceva molto, e piaceva ambosessi, non solo agli uomini, le donne ci si sarebbero volentieri identificate, perché non dava nessun fastidio di gelosia femminile. In quegli anni un'altra attrice era in una situazione del genere: Audrey Hepburn, anch'essa ammirata/amata da uomini e donne. Per dire che peso possono avere queste considerazioni, diversi anni fa la Barilla fece una campagna promozionale scegliendo Mina come testimonial, non mi viene la parola italiana. Dovettero cambiarla in corso d'opera e ci misero Massimo Ranieri: la pasta sono le donne che la scelgono.
RispondiEliminaHirchcok sapeva queste cose e ci giocava con sorridente cinismo, utilizzò anche Doris Day, di cui qualcuno diceva che era molto moglie e molto vergine. "La finestra sul cortile" sarebbe uno dei primi film da proiettare in ottima copia restaurata in sale comode, così si ricomincerebbero a vedere film del genere non sull'ormai usuale scatolotto domestico.
saludos
Solimano
P.S. Fra l'altro, se non ricordo male, il finale è tale per cui a James Stewart toccheranno altri mesi di carrozzella, si vede proprio che Hitchcok ce l'aveva su con lui!
E' vero, nel finale James Stewart viene "punito" dal peccato di guardone con la frattura dell'altra gamba. Ma se la dorme tranquillo e beato, perchè accanto a lui, sinuosamente distesa su un comodo sofà, c'è -in pantaloni a sigaretta e ballerine- la maliziosa Grace, apparentemente impegnata nella lettura di un libro sui misteri dell'Himalaia, che però cela...una copia della rivista di moda "Harper's Bazaar"! Vale a dire: quando c'è da buttarsi nell'avventura, sono pronta, ma... non toglietemi l'infantile piacere di "giocare" con abiti e accessori, come quando, da bambina, cambiavo i vestitini alle bambole!!!
RispondiEliminaCiao da
Roby
PS: Concordo sulla proiezione in sala comoda e su schermo GRANDE: così sembrerebbe davvero di esserci, affacciati a quella finestra, a sbirciare in quel cortile...
Io i film di Hitchcock li ho visti tutti in tv, per ragioni puramente anagrafiche. Rivedendoli da adulto, e non più da bambino, mi ha colpito quanto Hitchcock amasse giocare con i suoi film e i suoi personaggi. Il più delle volte sono storie improbabili con situazioni improbabili, come confessa Hitchcock stesso nella lunga intervista a Truffaut: ma lui è così bravo che sembra tutto vero e plausibile. Basti pensare alle bottiglie di sabbia all’uranio di “Notorious”: anche da bambino mi era sembrata una cosa altamente improbabile, ma la tensione è così alta che vengono davvero i brividi di paura, anche dopo averlo visto venti volte. A me dispiace solo che negli ultimi anni si sia un po’ lasciato andare: i comici che hanno paura di non far più ridere dicono le parolacce, e i registi che temono di perdere successo si buttano sul sangue e sugli effettacci. Così ha fatto anche Hitchcock, con “Psycho” prima (che è ancora un bel film) e poi con “Marnie”, “Gli uccelli”... Fosse vissuto ancora qualche anno, avrebbe messo anche scene di sesso molto esplicite?
RispondiElimina