Teresa Venerdì di Vittorio De Sica (1941) Da un racconto di Rezsö Török, Sceneggiatura di Aldo De Benedetti, Vittorio De Sica, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Franco Riganti, Cesare Zavattini Con Vittorio De Sica (Il dottore Pietro Vignali), Adriana Benetti (Teresa Venerdì), Irasema Dilián (Lilli Passalacqua), Guglielmo Barnabò (Agostino Passalacqua), Olga Vittoria Gentilli (Rosa Passalacqua), Anna Magnani (Loletta Prima), Elvira Betrone (La direttrice dell'orfanotrofio), Giuditta Rissone (L'istitutrice Anna), Virgilio Riento (Antonio), Annibale Betrone ( Umberto Vignali), Nico Pepe (Il dottore Pasquale Grosso), Federico Collino (Vittorio, il regista di varietà ) Musica: Renzo Rossellini Fotografia: Vincenzo Seratrice (92 minuti) Rating IMDb: 7.0
Solimano
Tutti ricordano il piccolo Enzo Stajola di Ladri di biciclette (1948), ma l'attenzione di Vittorio De Sica al mondo dei bambini era cominciata prima: Sciuscià è del 1946 e I bambini ci guardano del 1944. Ancora prima, c'è Teresa Venerdì (1941), in cui la centralità spetta al personaggio di Teresa (Adriana Benetti) e ai pasticci amorosi e finanziari che combina il dottor Pietro Vignali (Vittorio De Sica). Buona parte del film si svolge nell'orfanotrofio femminile di Santa Chiara, in cui Pietro (specializzato in malattie dei bambini) ha l'incarico di ispettore sanitario. Nella immagine di apertura del post si vede un gruppo di orfanelle che mostrano fuor di ogni dubbio la contentezza per l'arrivo del nuovo ispettore. Quello precedente, il settantaquattrenne dottor Paoloni, ha appena dato le dimissioni perché si è sposato.
Nell'orfanotrofio non ci sono solo bimbe, ma adolescenti e ragazze già cresciute: Teresa, ad esempio, ha diciott'anni. La prima volta che Pietro entra nell'orfanotrofio viene quasi travolto, per le scale, da una frotta di ragazze che sta scendendo di corsa. Ci vuole tutta la sua statura (all'inizio del film più fisica che morale) per reggere una sfida del genere. Poi, nella camerata, ogni ragazza sta in piedi vicino alla sua branda e tutte guardano con interesse Pietro, che vedono per la prima volta. La curiosità non c'è solo nelle ragazze, ma anche nella direttrice e nelle istitutrici, che hanno aspetto e modi improntati a dignitosa serietà. Però quando arriva Pietro, chissà perché gli stanno tutte attorno. E' come se Pietro girasse scortato.
Le cose cambiano quando Pietro entra nell'infermeria. Qui conosce Teresa, la cui massima aspirazione è di divenire in pianta stabile l'infermiera dell'orfanotrofio. Come ho già detto in un altro post, Teresa imbocca con la medicina Pietro, così l'orfanella ride e Teresa riesce a dare la medicina anche all'orfanella, cosa altrimenti assai difficile.
Non è che nell'infermeria ci siano casi particolarmente gravi: una bambina ha l'orticaria ed è inappetente, ma è tutto un trucco, nasconde fra le coperte e le lenzuola della frutta che è riuscita a tenere per sé. Successivamente prendiamo atto, come si vede nella terza immagine, che questo scambio di frutta (mi sembra di capire che si tratti soprattutto di mele) è assai diffuso. Non è una cosa grave, succede di peggio, e lo vedremo nelle due immagini successive.
Bambine e ragazze assistono insieme a "spettacoli d'impudicizia", come li chiama la direttrice, che non vorrebbe che ci fossero. Sembra che si divertano molto. Gli spettacoli li dà Teresa, che si procura gli abiti di scena scavando in un baule lasciato dai teatranti che l'hanno allevata. Così Teresa fa la parte di Giulietta e la sua amica buona fa la parte di Romeo, facendo il vocione da uomo. Teresa sarà denunciata dall'amica cattiva e rischierà di andare a fare la serva del macellaio fornitore dell'orfanotrofio.
Due immagini di una scena brevissima in netto stacco con la lunga scena precedente, in cui c'era l'esibizione della soubrette Loletta Prima (Anna Magnani) col corpo di ballo in teatro. Loletta Prima è l'amante di Pietro, a metà della sua canzone gli telefona e il cameriere Antonio (equivocando) le dice che Pietro è andato dalla fidanzata. Così Loletta va su tutte le furie ed interrompe canzone e balletto, per la disperazione del regista Vittorio (Federico Collino). Compare subito il cortile dell'orfonatrofio in cui le bimbe fanno un canoro girotondo con al centro un bimbo più piccolo, contentissimo di essere al centro. Suona la campanella di fine ricreazione, le bimbe se ne vanno... e il bimbo scoppia a piangere.
Teresa è amata dalle bambine. Qui la guardano preoccupate, vedendola attraverso una finestra del piano di sopra. Teresa è in mezzo a guai grossi: gli "spettacoli d'impudicizia", punto primo, ponto secondo una lettera d'amore in cui manda "un miglione di baci" a Pietro (la lettera non l'ha scritta Teresa, ma l'amica cattiva - e sgrammaticata - per incastrarla. Punto terzo, la perenne spada di Damocle di andare a fare la serva del macellaio. Punto quarto (segretissimo): Teresa è veramente innamorata di Pietro, nessuno lo sa, salvo noi spettatori che l'abbiamo capito subito.
Prima abbiamo visto le orfanelle nella camerata, ognuna in piedi vicino alla sua branda. Qui le vediamo nel refettorio ancora in piedi prima di mangiare. Per sedersi, occorre che qualcuna delle istitutrici glielo permetta: orfanelle un po' militarizzate.
Infine, vediamo il tassì con a bordo Pietro, le istitutrici ed alcune bambine. Vanno a riprendere Teresa che è andata di sua disperata volontà a fare la serva dal macellaio. Sul tassì, Pietro è al centro dell'attenzione di tutte: donne, ragazze, bambine. La direttrice farà addirittura in modo che una ragazza cambi di posto per non stare seduta vicino a Pietro. Le bimbe lo guardano con serietà curiosa, che però è distratto in suoi segreti pensieri: non pensa più all'amante Loletta Prima, nemmeno alla fisanzata nonché ereditiera Lilli Passalacqua (Irasema Dilián). Che pensi a Teresa?
Anche negli anni successivi Vittorio De Sica si occupò mirabilente di bambini nei sui film. Ricordo L'oro di Napoli (1954). Due episodi: quello del funeralino, in cui compaiono i bambini dell'orfantrofio condotti al fuberale da una suora e gli scugnizzi a caccia di confetti, e l'episodio dei giocatori con il conte Prospero B (Vittorio De Sica) che ha il vizio del gioco, è stato interdetto dalla moglie e perde regolarmente le partite che gioca in portineria con Gennarino (Pierino Bilancioni), il figlio del portiere.
Questo è un blog sul cinema, ma non è un blog di critica cinematografica. E' il cinema visto da spettatori che nei film che amano sono entrati a piè pari perché quei film, in quei giorni particolari in cui li hanno visti per la prima volta, hanno detto loro qualcosa che volevano sentirsi dire, magari senza saperlo. Non sono più film, sono amici, per questo non si stancano di rivederli, proprio come si fa con gli amici veri - e con le amiche, ça va sans dire.
sabato 28 novembre 2009
mercoledì 25 novembre 2009
Le immagini di Pinocchio (2)
Solimano
Proseguo con le immagini di Pinocchio che ho trovato alla Biblioteca di Lissone nel libro "Pinocchio e la sua immagine", che è del 1981 (Editore Giunti Marzocco), e che fu edito nell'occasione della mostra omonima che si tenne per il primo centerario della scrittura di "Pinocchio" di Collodi (Carlo Lorenzini).
L'edizione che ho trovato nella Bibloteca di Lissone è quella del novembre 2006.
Il saggio introduttivo, intitolato "La corsa del Briccone" è di Antonio Faeti. L'impianto generale, col saggio "Uno, nessuno, centomila" e con le ampie schede sui singoli illustratori si deve a Valentino Baldacci e Andrea Rauch, che nel 1981 erano rispettivamente segretario generale e direttore artistico del Centenario di Pinocchio.
Sotto le immagini, inserisco citazioni dei testi di Valentino Baldacci e Andrea Rauch.
...Mario Pompei, si è detto, disegnò per questa edizione la copertina. Pinocchio legato alla catena al posto dell'infido Melampo.
...Mannini sembra comunque non amare le scene di grande respiro, cariche di personaggi e di situazioni. La sua preferenza è rivolta sempre al piccolo scorcio, quando non addirittura al particolare.
E' una Toscana, quella di Bernardini, non più granducale, ma pur sempre tranquilla e sonnolenta, ferma negli immutabili rapporti mezzadrili.
...
E' soprattutto una Toscana atemporale, dove alcuni elementi reali ma altamente dotati di capacità simbolica vengono insistentemente evocati per sottolineare un'atmosfera, un luogo della memoria immobile e silenzioso...
Il Pinocchio che Manca disegna è un pupazzo cordiale e sereno. Ben poco viene lasciato al drammma. Si privilegia, nell'illustrare, le scene dove meno evidenti, o più sfumate sono le tensioni, vedano esse il Burattino trionfante sui suoi compagni della Compagnia 'drammatico vegetale', stupito mentre parla con il Pappagallo nel Campo dei miracoli, sorpreso mentre il suo naso si allunga, afferrato dal Carabiniere.
Una lancia a favore di quel Pinocchio è stata spezzata da Franco Cavallone: "Non c'è dubbio che Disney abbia compiuto sul classico testo di Collodi una sorta di tradimento. Eppure il suo adattamento è, più di altri commenti e riscritture, un principio di operazione critica sul testo di Collodi, un tentativo a suo modo rigoroso di ribaltarne le premesse".
...per la prima volta, presenta un Pinocchio che non è ilare o burlone o scavezzacollo, ma torvo, accigliato, tristo. Conseguentemente torvi, accigliati, tristi sono i personaggi che intorno al burattino ruotano.
Galizzi sembra suonare tutto l'universo collodiano su una nota più fosca, ai margini estremi della gradevolezza.
Il Pinocchio di Beppe Porcheddu, edito da Paravia nel 1942, appartiene a quella ricca serie di 'Pinocchi di guerra' che seguì la scadenza dei diritti di esclusiva dell'editore Bemporad-Marzocco nel 1940.
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Siamo evidentemente in una Europa nord-orientale, anzi, in una zona decisamente baltica; luogo di elezione per esseri soprannaturali, di orchi soprattutto, che Porcheddu evidentemente predilige...
domenica 22 novembre 2009
Le immagini di Pinocchio (1)
Solimano
La prima edizione del libro "Pinocchio e la sua immagine" è del 1981 (Editore Giunti Marzocco). L'occasione fu la mostra omonima che si tenne per il primo centerario della scrittura di "Pinocchio" di Collodi (Carlo Lorenzini).
L'edizione che ho trovato nella Bibloteca di Lissone è quella del novembre 2006.
Il saggio introduttivo, intitolato "La corsa del Briccone" è di Antonio Faeti. L'impianto generale, col saggio "Uno, nessuno, centomila" e con le ampie schede sui singoli illustratori si deve a Valentino Baldacci e Andrea Rauch, che nel 1981 erano rispettivamente segretario generale e direttore artistico del Centenario di Pinocchio.
A questo magnifico libro dedicherò alcuni post, inserendo, in ordine cronologico, qualche immagine (o particolare di immagine) degli illustratori più significativi. Sotto le immagini, ci sono citazioni dei testi di Valentino Baldacci e Andrea Rauch.
...alla dimensione favolistica Mazzanti resta legato anche nell'illustrare Pinocchio: a partire dalla prima celebre tavola del frontespizio, che ci mostra un Pinocchio spavaldo, con le mani sui fianchi e lo sguardo che mira lontano, pronto ad affrontare il 'vasto mondo', ma anche personaggio magico, capace di intendere e di parlare il linguaggio degli animali che infatti lo attorniano emblematicamente. Sono esclusi da questa tavola-indice i personaggi umani, ad eccezione della Fata che è appunto, una Fata.
... è un Pinocchio allucinato. con lo sguardo rivolto al proprio interno, che sembra seguire una traccia a lui solo visibile, e che gli altri vivono come un alieno... arrestandolo con la pubblica forza armata.
... rispetto al bianco e nero di Mazzanti e di Chiostri, quella di Mussino è la prima edizione tutta a colori, con un uso pieno ed enfatico del colore, senza sfumature ma con contrasti netti, decisi, immediatamente espressivi. Ma il colore di Mussino, così abbagliante a prima vista, e anche 'plebeo', come è stato detto, nasconde alcune attenzioni, alcuni accorgimenti, che è opportuno sottolineare. Intanto, non è un colore uniforme. Anzi, Mussino sceglie per ogni capitolo un tono diverso, quello che secondo lui è il più adatto a esprimere il senso del racconto e le caratteristiche dei personaggi.
...anche se il signor Bonaventura attraversa il mondo quasi senza pesi, con la sola forza del suo candore timido e stupito, e le vicende quotidiane sembrano scivolare via dal suo corpo esilissimo, senza che niente riesca ad attaccarvisi e a lasciare traccia, il Pinocchio di Sto sembra percorrere la sua vicenda sotto il segno dello stupore che gli si legge in viso fin dalla prima immagine.
Un ultimo aspetto conferma la destinazione popolare, magari inconsapevole, del lavoro di Sarri: le due tavole più significative, quella del Pescatore Verde e quellla del Pesce-cane, si ispirano apertamente a quel gusto dell'esotico, dello strano, del mostruoso che da sempre ha trovato profonda eco nella letteratura popolare.
L'intonazione di fondo del libro è liberty, ma discreto, senza le esagerazioni formali di tanta illustrazione art nouveau; si appunta soprattutto sui particolari del tessuto illustrativo, sulle guarnizioni del vestito e del cappello della Fatina, ad esempio, oppure sui ricami dei lenzuoli del letto dove Pinocchio è in attesa di guarigione, oppure sulle spire del Serpente e sul guscio della Lumaca.
giovedì 19 novembre 2009
A cavallo della tigre (2)
A cavallo della tigre di Luigi Comencini (1961) Sceneggiatura di Luigi Comencini, Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli Con Nino Manfredi (Giacinto Rossi), Mario Adorf (Mario Tagliabue), Valeria Moriconi (Ileana Rossi), Gian Maria Volonté (Papaleo), Raymond Bussières (Il Sorcio), Luciana Buzzanca (Olga), Ferruccio De Ceresa (Coppola) Fotografia: Aldo Scavarda Musica: Piero Umiliani e la canzone "Il mare" di Pugliese-Vian (102 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Ero arrivato alla scena drammatica in cui Papaleo (Gian Maria Volontè) ha finalmente ritrovato la fedigrafa fidanzata Olga (Luciana Buzzanca) e fra un po' racconterò gli sviluppi di questa intricata situazione. Intanto Tagliabue (Mario Adorf) e Giacinto (Nino Manfredi) hanno rintracciato a Roma (in Via Traversone 21) il Sorcio (Raymond Bussières) che cercava di nascondere il malloppo di una precedente azione criminosa. Naturalmente Tagliabue, come fa sempre in tali evenienze, gli dà un ben meritato liscio e busso. Tagliabue non è un perdonista: durante il film mena di brutto Giacinto almeno tre o quattro volte. Piccole colpe, quelle di Giacinto, Tagliabue cerca soltanto di insegnargli a vivere, ma non è facile, con Giacinto.
La fedifraga Olga è atterrita, e Papaleo (che deve completare il delitto d'onore) l'assale impugnando un coltello... no, si tratta di un cucchiaio carcerario trasformato in coltello, quindi Olga rimane leggermente ferita vicino alla spalla. Sorpresa! Malgrado che la ferita sanguini copiosamente, Olga capisce le ragioni di Papaleo, il fidanzato tradito: lei doveva nascondersi e lui doveva rintracciarla, ad ognuno il suo mestiere.
Infatti fra i sue c'è uno scambio in fondo affettuoso: Papaleo, non essendo riuscito ad ucciderla col cucchiaio carcerario, le versa l'alcool sulla ferita. Olga, rendendosi conto che Papaleo è affamato, gli porta un piatto coperto che contiene polpette preparate da lei per i bambini della colonia. Papaleo sembra gradire, le dice che le polpette hanno un sapore simile a quelle che mangiava in carcere. Non so se sia un complimento o no, ma la situazione fra di loro si tranquillizza: non essendo riuscito il delitto d'onore, Papaleo ed Olga decidono di andarsene insieme: riempiono una valigia e si portano dietro la madre di Olga. Andranno anche loro dal Sorcio.
Quando Papaleo entra in casa del Sorcio, ha l'aria del distinto professionista che è stato prima del delitto d'onore. Gli apre la porta la donna del Sorcio. Dopo una serie di qui pro quo vediamo di nuovo insieme i quattro evasi. Tutto bene, apparentemente.
Ma del Sorcio non ci si può fidare. Già aveva cercato di sottrarsi. Ora, poiché le forze dell'ordine hanno scoperto dove abita, è disposto a tradire, conducendo i poliziotti in casa sua dove ci sono ancora i compagni di evasione. Da cui un tentativo di fuga. Riescono a nascondersi Tagliabue e Giacinto. Papaleo è impicciato dalla moglie, dalla futura suocera, dalla valigia. Mentre sale sulla copertura del cinema , gli si apre la copertura sotto i piedi e Papaleo cade all'interno del cinema: c'est fini.
Tagliabue e Giacinto si nascondono all'interno di una vecchia nave praticamente in disarmo. Giacinto viene a sapere che sua moglie Ileana (Valeria Moriconi), sfrattata da dove abitavano prima, vive in una casa di fortuna non lontana da lì. Mentre Tagliabue, di nuovo in preda all'ascesso dentario, rimane sulla nave, Giacinto va a trovare la famiglia. Scopre che la moglie adesso vive con un certo Coppola (Ferruccio De Ceresa), un poveraccio malato di silicosi, che però è una fortuna che ci sia. D'accordo, è l'amante di Ileana, ma senza di lui non saprebbero neppure dove andare a sbattere la testa. E' affezionato sia ad Ileana che ai bambini, fa quello che può per loro. Dopo qualche schermaglia Ileana e Coppola vengono al dunque: è stata messa una taglia sui due evasi. Basterebbe che ci si mettesse d'accordo: Giacinto racconta a loro dove sta nascosto con Tagliabue e loro incassano la taglia. Giacinto per un po' nicchia, poi si rende conto che è l'unica soluzione: chi penserebbe altrimenti a sua moglie ed ai figli? La taglia su Giacinto è di un milione, ma Ileana e Coppola dicono che serve anche la taglia su Tagliabue, un altro bel milione, così un bambino va a scuola in un buon istituto. Giacinto non vorrebbe tradire l'amico Tagliabue, ma non c'è niente da fare: quei soldi servono. Così Giacinto torna alla vecchia nave in disarmo, estrae con le tenaglie il dente a Tagliague ed aspetta. Dopo un po' arrivano le forze dell'ordine, i giornalisti sono tutti attorno a Giacinto, che hanno individuato come il vero capo della banda degli evasi.
Giacinto si volta e vede la sua famiglia (compreso Coppola) che ha appena beneficato che lo guarda dal molo. Chissà quando li rivedrà e se li rivedrà.
Un film in cui si ride giustamente poco, ma una fusione quasi pefetta fra due generi: il picaresco e il tragico. Solo Luigi Comencini poteva riuscirci. Nel 1960, un anno prima, aveva girato Tutti a casa, un film a cui in fondo A cavallo della tigre è molto simile.