Wittgenstein (1993) di Derek Jarman Sceneggiatura di Ken Butler, Terry Eagleton, Derek Jarman Con Clancy Chassay (Wittgenstein ragazzo), Jill Balcon (la madre Leopoldine), Jan Latham-Koenig (il fratello Paul), Sally Dexter (la sorella Hermine), Nabil Shaban (il Marziano verde), Karl Johnson (Ludwig Wittgenstein), Michael Gough (Bertrand Russell), Tilda Swinton (Lady Ottoline Morrell), John Quentin (Maynard Keynes), Kevin Collins (Johnny), Lynn Seymour (Lydia Lopokova) Fotografia: James Welland Costumi: Sandy Powell Musica: Jan Latham-Koenig, Johannes Brahms "Intermezzo Opera 19" "Concerto per pianoforte e orchestra Opera 83", César Franck "Sonata per violino e pianoforte", Leóš Janáček, Wolfgang Amadeus Mozart "Rondò K511", Modest Mussorgsky "Quadri da una esposizione", Francis Poulenc "Sonata per flauto e piano, 1957", Eric Satie "Ogives" "Gnossiennes", Robert Schumann "Carnaval" (75 minuti) Rating IMDb: 6.7
Solimano
Gli argomenti di cui si occupò Ludwig Wittgenstein (1889-1951) furono soprattutto la fondazione della logica e la filosofia del linguaggio. Però la sua vita è percorsa in ogni periodo da un afflato etico-mistico, una polarità opposta, che nel Tractatus non è affermata né negata. Compare come indicibilità, ma compare.
Così Bertrand Russell in una sua lettera: "Una certa aria di misticismo l'avevo già sentita nel suo libro, ma sono rimasto sconcertato nello scoprire che è diventato un mistico, nel senso pieno del termine. Legge autori come Kierkegaard e Angelus Silesius e sta valutando seriamente l'idea di farsi monaco".
La vita personale di Wittgenstein è intessuta di scelte che sfiorano la follia. E' stata fatta l'ipotesi che fosse affetto dalla sindrome di Asperger, che è una versione lieve della sindrome autistica. Tutto ciò è ben presente nel film di Derek Jarman (si tratta di temi che prediligeva), ma non a scapito degli aspetti logici, linguistici, filosofici. Ne viene una affascinante miscela, per cui sembra che i due aspetti si sostengano a vicenda. Incredibile per uno che aveva scritto che "la metafisica sorge quando il linguaggio va in vacanza". L'attenzione vera di Wittgenstein non era rivolta ai metafisici, ma ai mistici. La differenza è grande.
Come nel primo post, commento brevemente le immagini ed inserisco delle citazioni da scritti di Wittgenstein, soprattutto dal Tractatus.
Il ragazzo Wittgenstein (Clancy Chassay), oltre ad avere l'aria da primo della classe, assume atteggiamenti di giocosità sfottente e grottesca.
Il concetto del «bello» ha fatto qualche danno.
Il limite del linguaggio si mostra nell'impossibilità di descrivere il fatto che corrisponde a una proposizione (che è la sua traduzione) senza appunto ripetere la proposizione.
In arte è difficile dire qualcosa che sia altrettanto buono del non dire niente.
Il marziano verde (Nabil Shaban) che è un guru proprio perché extraterrestre, dialoga col ragazzo Wittgenstein e il cartello sulla sinistra indica che ci si avvia alla prima guerra mondiale. Il marziano parla col ragazzo, in guerra ci va Ludwig Wittgenstein adulto ( Karl Johnson). Difatti Wittgenstein era stato a Cambridge dal 1911 al 1914, poi aveva cercato l'isolamento in un fiordo norvegese, infine si era arruolato volontario nella prima guerra mondiale. Combattè sul fronte russo ed italiano, meritò delle onoreficenze e fu fatto prigioniero nel 1918 a Trento, tornando a Vienna solo nel 1919.
In filosofia si deve calare nell'antico caos e sentircisi a proprio agio.
Io penso di fatto con la penna, perché la mia testa spesso non sa nulla di ciò che scrive la mia mano.
L'ambizione è la morte del pensiero.
Wittgenstein apparteneva ad una famiglia ricchissima. Rinunciò a tutti i suoi beni a favore dei familiari. Oltre ad isolarsi in Norvegia andò anche in Irlanda. Cercò di praticare l'insegnamento come maestro di scuola. Volle abbandonare lo studio accademico per dedicarsi a lavori manuali. Questi viaggi e queste attività lo delusero regolarmente. Inserisco sotto una immagine del film una fotografia tarda di Ludwig Wittgenstein (è del 1947). Ho trovato impressionante la somiglianza fra l'attore e il filosofo.
La tragedia consiste in questo: che l'albero non si piega ma si spezza.
Le nostre più grosse stupidaggini possono essere molto sagge.
Le parole sono azioni.
La coppia Bertrand Russell (Michael Gough) e Lady Ottoline Morrell (Tilda Swinton) dà origine alle immagini forse più fascinose del film (anche molto divertenti). Nel film c'è il momento della rottura fra Russell e Wittgenstein, rottura in cui avevano probabilmente ragione entrambi: Russell nel desiderare che Wittgenstein proseguisse coerentemente il suo lavoro nella filosofia logica, Wittgenstein nel seguire le pulsioni senza di cui non è detto che la sua logica sarebbe stata così forte. La contraddizione era solo apparente.
Nella corsa della filosofia vince chi sa correre più lentamente. Oppure: chi raggiunge il traguardo per ultimo.
Nessuna confessione religiosa ha tanto peccato per abuso di espressioni metafisiche quanto la matematica.
Non temere mai di dir cose insensate! Ma ascoltale bene, quando le dici.
Il ragazzo Wittgenstein dietro a una rete di filo spinato. Nella stessa scuola in cui studiò Wittgenstein studiava anche Adolf Hitler, che era due classi indietro, benchè coetaneo.
Riposare sui propri allori è altrettanto pericoloso che riposare su una slavina. Ti appisoli, e muori nel sonno.
Scrivo quasi sempre soliloqui. Cose che mi dico a quattr'occhi.
Se nella vita siamo circondati dalla morte, così anche nella salute dell'intelletto siamo circondati dalla follia.
Wittgenstein ha scelto di fare l'insegnante, ma è impaziente, tratta male ed insulta gli allievi perché non imparano. Ha l'impulso di pichiarli e si trattiene a stento. La bambina piange.
Sono io soltanto incapace di fondare una scuola, oppure nessun filosofo può farlo?
Io non posso fondare una scuola perché, in realtà, non voglio essere imitato. In ogni caso non da coloro che pubblicano articoli in riviste di filosofia.
Un nuovo vocabolo è come un seme fresco gettato nel terreno della discussione.
"Ancora A Cambridge", dice il cartello. Ed a Cambridge c'è un altro personaggio: Maynard Keynes (John Quentin), che diverrà famoso come economista. Accanto a Maynard c'è Johnny (Kevin Collins), il personaggio che serve ad introdurre nel film la tematica omosessuale. Derek Jarman era un gay militante, con un atteggiamento quasi da missionario, e questo tema compare in tutti i suoi film più importanti.
Una confessione dev'essere una parte della nuova vita.
Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.
Il mondo è tutto ciò che accade.
Nella vita reale, Maynard Keynes aveva avuto esperienze omosessuali in gioventù, poi convisse con Lydia Lopokova (Lynn Seymour), che compare nel film.
Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.
Noi ci facciamo immagini dei fatti.
L'immagine è un modello della realtà.
Si incrina il rapporto con Bertrand Russell e anche quello con l'amante di Russel, Lady Ottoline Morrell, che ha un suo modo ironico di rispondere alle osservazioni di Wittgenstein che la vorrebbero mettere in difficoltà.
L'immagine è un fatto.
Un'immagine vera a priori non v'è.
L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
Wittgenstein al cinema con Johnny, che è diventato il suo amante. Ludwig Wittgenstein amava molto il cinema, spedialmente i film western di Tom Mix. Fra le attici, preferiva Carmen Miranda e Betty Hutton. Nella seconda immagine, il ragazzo Wittgenstein si è messo le penne da pellerossa.
«Uno stato di cose è pensabile» vuol dire: Noi ce ne possiamo fare un'immagine.
La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.
Il pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è pensabile è anche possibile.
Wittgenstein è partito per la Russia, e si trova di fronte ad una ispettrice sovietica. Ma c'è un doppio equivoco: l'ispettrice gli offre di insegnare filosofia a Kazan, Ludwig vuol fare un lavoro manuale come operaio. Il secondo equivoco è che Wittgenstein ammira Trotsky, e quando ne fa il nome, il discorso si chiude.
Il pensiero è la proposizione munita di senso.
La totalità delle proposizioni è il linguaggio.
Tutta la filosofia è «critica del linguaggio».
Wittgenstein con Keynes, che gli è rimasto amico.
La filosofia non è una delle scienze naturali.
I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Vive eterno colui che vive nel presente.
Chudo il post con due famose frasi di Ludwig Wittgenstein e con due immagini: la morte di Wittgenstein e il ragazzo Wittgenstein che cerca di volare. Fra un po' di tempo, scriverò un altro post su questo film ammirevole. Il tema sarà: Derek Jarman pittore. Oltre ad esser un grande regista, Jarman, nei suoi film, specie in questo, è un grande pittore.
La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti. Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no. Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; solo cosí potrebbe considerare questi limiti anche dall'altro lato. Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare.
Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-cosí. Infatti ogni avvenire ed essere-cosí è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev'essere fuori del mondo.
Questo è un blog sul cinema, ma non è un blog di critica cinematografica. E' il cinema visto da spettatori che nei film che amano sono entrati a piè pari perché quei film, in quei giorni particolari in cui li hanno visti per la prima volta, hanno detto loro qualcosa che volevano sentirsi dire, magari senza saperlo. Non sono più film, sono amici, per questo non si stancano di rivederli, proprio come si fa con gli amici veri - e con le amiche, ça va sans dire.
martedì 30 giugno 2009
domenica 28 giugno 2009
I modi di vedere: Wittgenstein (1)
Wittgenstein (1993) di Derek Jarman Sceneggiatura di Ken Butler, Terry Eagleton, Derek Jarman Con Clancy Chassay (Wittgenstein ragazzo), Jill Balcon (la madre Leopoldine), Jan Latham-Koenig (il fratello Paul), Sally Dexter (la sorella Hermine), Nabil Shaban (il Marziano verde), Karl Johnson (Ludwig Wittgenstein), Michael Gough (Bertrand Russell), Tilda Swinton (Lady Ottoline Morrell), John Quentin (Maynard Keynes), Kevin Collins (Johnny), Lynn Seymour (Lydia Lopokova) Fotografia: James Welland Costumi: Sandy Powell Musica: Jan Latham-Koenig, Johannes Brahms "Intermezzo Opera 19" "Concerto per pianoforte e orchestra Opera 83", César Franck "Sonata per violino e pianoforte", Leóš Janáček, Wolfgang Amadeus Mozart "Rondò K511", Modest Mussorgsky "Quadri da una esposizione", Francis Poulenc "Sonata per flauto e piano, 1957", Eric Satie "Ogives" "Gnossiennes", Robert Schumann "Carnaval" (75 minuti) Rating IMDb: 6.7
Solimano
Nel 1993 Derek Jarman è malato di AIDS da sette anni. Uscirà una intervista il 23 agosto su «Newsweek», con il titolo "Aids without Tears". Morirà il 19 febbraio 1994, quasi cieco. Eppure, il 17 settembre 1993 esce "Wittgenstein" un film a basso budget (300.000 sterline) che gli commissiona Channel Four per una serie dedicata ai grandi filosofi. Il film dura solo 75 minuti e viene girato in 12 giorni. Una impresa folle, affrontare in questo modo la vita di Ludwig Wittgenstein (1889-1951), uno dei più grandi filosofi del Novecento. Una impresa folle e riuscita. Tutto il film è girato in studio con macchina fissa e con lo sfondo di uno schermo nero. Così disse benissimo Alessandra Levantesi su La Stampa:
"Meglio tornare alla travolgente funzionalità delle immagini, vera chiave del discorso di Jarman. Figure vitalissime ritagliate in bei costumi colorati su un immutabile panorama nero, che rappresenta l’intero mondo in cui il protagonista visse, interni ed esterni: da Vienna a Cambridge attraverso i fiordi della Norvegia, il fronte italiano, l’Irlanda e via enumerando. Qui la necessità di girare in studio e in pochi giorni ha dettato la scrittura, il poverismo obbligato si è fatto stile".
Commenterò brevemente le singole immagini, inserendo citazioni dalle opere di Wittgenstein, in particolare dal suo suo Tractatus logico-philosophicus. Perché uno dei segreti di Jarman è che raccontando Wittgenstein racconta se stesso, senza modificare la biografia del filosofo. E' una impresa che segue la stessa logica che seguì Gian Lorenzo Bernini quando fece il baldacchino della Chiesa di San Pietro. Sembrava che fosse impossibile costruire un baldacchino che non avesse l'aria meschina, vista l'immensità delle dimensioni della chiesa. Il Bernini cambiò gioco, e fece un baldacchino di bronzo. Così fa Jarman che riesce ad essere fedele alla biografia ed alla filosofia di Wittgenstein restando completamente se stesso. Lo aiutarono proprio le difficoltà in cui si trovava.
Wittgenstein ragazzo (Clancy Chassay). Si alternano due attori, nella parte di Wittgenstein, ma non c'è un rigoroso filo cronologico né ci sono dei flash-back. Semplicemente, a seconda delle situazioni, Jarman decide se è bene che ci sia il ragazzo o l'adulto. Qui il ragazzo Wittgenstein sta studiando, nella Vienna di fine Ottocento. Appartiene ad una ricchissima famiglia in cui si mischiano le appartenenze religiose: ebraica, cattolica, protestante.
Chi non è certo di nessun dato di fatto, non può neanche esser sicuro del senso delle sue parole.
Chi volesse dubitare di tutto, non arriverebbe neanche a dubitare. Lo stesso giuoco del dubitare presuppone già la certezza.
Dimmi come cerchi e ti dirò cosa cerchi.
Ancora il ragazzo Wittgenstein in costume antico. Nella seconda immagine è con la madre Leopoldine (Jill Balcon).
È così difficile trovare l'inizio. O meglio: è difficile cominciare dall'inizio. E non tentare di andare ancor più indietro.
La vita di conoscenza è la vita che è felice nonostante la miseria del mondo.
Tutto ciò che la filosofia può fare è distruggere idoli. E questo significa non crearne di nuovi.
Parte della famiglia ascolta Paul Wittgenstein (Jan Latham-Koenig) che suona il pianoforte. Paul perderà l'uso della mano destra nella prima guerra mondiale e Ravel comporrà per lui il Concerto per la mano sinistra.
Dopo aver guardato un temporale, alla domanda "quante gocce di pioggia hai visto?" la risposta più adatta è "molte": non che il numero preciso non esista, ma non lo si può conoscere.
Giusto e interessante non è dire: questo è nato da quello, ma questo potrebbe essere nato così.
Il ragazzo Wiitgenstein non vuole ascoltare le tante parole che gli urlano intorno. Nella seconda immagine, uno dei parolai. Mi sono venuti in mente certi quadri di Gesù fra i dottori.
Nella filosofia odierna troviamo tutte le teorie infantili, ma senza quell'aspetto accattivante proprio di ciò che è infantile.
Inventare nuovi usi per le parole, usi talvolta assurdi, per aiutare ad allentare la stretta delle forme abituali del linguaggio.
Sentiamo dire, sempre e continuamente, che il matematico lavora con l'istinto (o magari che non procede meccanicamente, al modo di un giocatore di scacchi) ma non riusciamo a percepire che cosa questo abbia a che fare con la natura della matematica.
Il ragazzo Wittgenstein è un genio che ha un po' di spocchia da primo della classe. Qui sta usando la canna (oggi utilizziamo il cosiddetto pointer) come fosse un fucile.
Un trattato di filosofia potrebbe benissimo essere composto da battute umoristiche.
Vi sconsiglio vivamente di diventare filosofi accademici. Tra loro la tentazione del pensiero fasullo è diffusissima.
Senza un po' di coraggio non si può scrivere nemmeno un'osservazione sensata su se stessi.
Compare un marziano verde (Nabil Shaban), che dialoga piacevolmente col ragazzo Wittgenstein. Può significare l'impossibilità di comprendere cosa succede stando dentro e la necessità di vedere le cose da fuori, ad esempio da un altro pianeta.
Ci sono uomini che sono troppo fragili per andare in frantumi. A questi appartengo anch'io.
La sola cosa di me che forse un giorno si spezzerà, e di questo ho talvolta paura, è il mio intelletto.
Ecco Wittgenstein adulto (Karl Johnson) che per un certo periodo voleva dedicarsi all'aviazione. Ha un'aria un po' da asceta e un po' da ortolano.
Una scoperta non è né grande né piccola; dipende da ciò che essa significa per noi.
Il matematico non scopre: inventa.
Non si può dire, dunque, che la matematica ci insegna a contare? Ma se ci insegna a contare perché non ci insegna anche a confrontare tra loro i colori?
Bertrand Russel (Michael Gough), al Trinity College di Cambridge (1911-1914) è il maestro di Wittgenstein di cui scopre immediatamente la genialità. Nella seconda immagine i due stanno discutendo se nella stanza ci sia un rinoceronte. Russel dice di no, Wittgenstein dice di sì. Alla fine se ne vanno da due parti diverse... e da sotto il tavolo sbuca il ragazzo Wittgenstein col corno da rinoceronte.
Anche i pensieri talvolta cadono immaturi dall'albero.
Anche per il pensiero c'è un tempo per arare e un tempo per mietere.
Chi è soltanto in anticipo sul proprio tempo, dal suo tempo sarà raggiunto.
In chiusura di post, due immagini di Lady Ottoline Morrell (Tilda Swinton) che sta leggendo una lettera . E' l' amante di Bertrand Russel. Ed è, sempre splendidamente, l'attrice feticcio di Derek Jarman.
Come si può per tutta la vita viaggiare nello stesso piccolo paese e credere che non ci sia nulla al di fuori di esso!
Con i miei numerosi segni d'interpunzione in realtà io vorrei rallentare il ritmo della lettura. Perché vorrei essere letto lentamente.
Gli animali vengono verso di noi, se li chiamiamo per nome. Esattamente come gli uomini.
P.S. Un'ora fa, il blog ha superato le 800.000 Pagine Viste, a partire dal 15 maggio 2007. Poco più di due anni fa. Potremmo arrivare anche al milione, chissà... Un grazie sentito a chi mi ha aiutato. (s)
Solimano
Nel 1993 Derek Jarman è malato di AIDS da sette anni. Uscirà una intervista il 23 agosto su «Newsweek», con il titolo "Aids without Tears". Morirà il 19 febbraio 1994, quasi cieco. Eppure, il 17 settembre 1993 esce "Wittgenstein" un film a basso budget (300.000 sterline) che gli commissiona Channel Four per una serie dedicata ai grandi filosofi. Il film dura solo 75 minuti e viene girato in 12 giorni. Una impresa folle, affrontare in questo modo la vita di Ludwig Wittgenstein (1889-1951), uno dei più grandi filosofi del Novecento. Una impresa folle e riuscita. Tutto il film è girato in studio con macchina fissa e con lo sfondo di uno schermo nero. Così disse benissimo Alessandra Levantesi su La Stampa:
"Meglio tornare alla travolgente funzionalità delle immagini, vera chiave del discorso di Jarman. Figure vitalissime ritagliate in bei costumi colorati su un immutabile panorama nero, che rappresenta l’intero mondo in cui il protagonista visse, interni ed esterni: da Vienna a Cambridge attraverso i fiordi della Norvegia, il fronte italiano, l’Irlanda e via enumerando. Qui la necessità di girare in studio e in pochi giorni ha dettato la scrittura, il poverismo obbligato si è fatto stile".
Commenterò brevemente le singole immagini, inserendo citazioni dalle opere di Wittgenstein, in particolare dal suo suo Tractatus logico-philosophicus. Perché uno dei segreti di Jarman è che raccontando Wittgenstein racconta se stesso, senza modificare la biografia del filosofo. E' una impresa che segue la stessa logica che seguì Gian Lorenzo Bernini quando fece il baldacchino della Chiesa di San Pietro. Sembrava che fosse impossibile costruire un baldacchino che non avesse l'aria meschina, vista l'immensità delle dimensioni della chiesa. Il Bernini cambiò gioco, e fece un baldacchino di bronzo. Così fa Jarman che riesce ad essere fedele alla biografia ed alla filosofia di Wittgenstein restando completamente se stesso. Lo aiutarono proprio le difficoltà in cui si trovava.
Wittgenstein ragazzo (Clancy Chassay). Si alternano due attori, nella parte di Wittgenstein, ma non c'è un rigoroso filo cronologico né ci sono dei flash-back. Semplicemente, a seconda delle situazioni, Jarman decide se è bene che ci sia il ragazzo o l'adulto. Qui il ragazzo Wittgenstein sta studiando, nella Vienna di fine Ottocento. Appartiene ad una ricchissima famiglia in cui si mischiano le appartenenze religiose: ebraica, cattolica, protestante.
Chi non è certo di nessun dato di fatto, non può neanche esser sicuro del senso delle sue parole.
Chi volesse dubitare di tutto, non arriverebbe neanche a dubitare. Lo stesso giuoco del dubitare presuppone già la certezza.
Dimmi come cerchi e ti dirò cosa cerchi.
Ancora il ragazzo Wittgenstein in costume antico. Nella seconda immagine è con la madre Leopoldine (Jill Balcon).
È così difficile trovare l'inizio. O meglio: è difficile cominciare dall'inizio. E non tentare di andare ancor più indietro.
La vita di conoscenza è la vita che è felice nonostante la miseria del mondo.
Tutto ciò che la filosofia può fare è distruggere idoli. E questo significa non crearne di nuovi.
Parte della famiglia ascolta Paul Wittgenstein (Jan Latham-Koenig) che suona il pianoforte. Paul perderà l'uso della mano destra nella prima guerra mondiale e Ravel comporrà per lui il Concerto per la mano sinistra.
Dopo aver guardato un temporale, alla domanda "quante gocce di pioggia hai visto?" la risposta più adatta è "molte": non che il numero preciso non esista, ma non lo si può conoscere.
Giusto e interessante non è dire: questo è nato da quello, ma questo potrebbe essere nato così.
Il ragazzo Wiitgenstein non vuole ascoltare le tante parole che gli urlano intorno. Nella seconda immagine, uno dei parolai. Mi sono venuti in mente certi quadri di Gesù fra i dottori.
Nella filosofia odierna troviamo tutte le teorie infantili, ma senza quell'aspetto accattivante proprio di ciò che è infantile.
Inventare nuovi usi per le parole, usi talvolta assurdi, per aiutare ad allentare la stretta delle forme abituali del linguaggio.
Sentiamo dire, sempre e continuamente, che il matematico lavora con l'istinto (o magari che non procede meccanicamente, al modo di un giocatore di scacchi) ma non riusciamo a percepire che cosa questo abbia a che fare con la natura della matematica.
Il ragazzo Wittgenstein è un genio che ha un po' di spocchia da primo della classe. Qui sta usando la canna (oggi utilizziamo il cosiddetto pointer) come fosse un fucile.
Un trattato di filosofia potrebbe benissimo essere composto da battute umoristiche.
Vi sconsiglio vivamente di diventare filosofi accademici. Tra loro la tentazione del pensiero fasullo è diffusissima.
Senza un po' di coraggio non si può scrivere nemmeno un'osservazione sensata su se stessi.
Compare un marziano verde (Nabil Shaban), che dialoga piacevolmente col ragazzo Wittgenstein. Può significare l'impossibilità di comprendere cosa succede stando dentro e la necessità di vedere le cose da fuori, ad esempio da un altro pianeta.
Ci sono uomini che sono troppo fragili per andare in frantumi. A questi appartengo anch'io.
La sola cosa di me che forse un giorno si spezzerà, e di questo ho talvolta paura, è il mio intelletto.
Ecco Wittgenstein adulto (Karl Johnson) che per un certo periodo voleva dedicarsi all'aviazione. Ha un'aria un po' da asceta e un po' da ortolano.
Una scoperta non è né grande né piccola; dipende da ciò che essa significa per noi.
Il matematico non scopre: inventa.
Non si può dire, dunque, che la matematica ci insegna a contare? Ma se ci insegna a contare perché non ci insegna anche a confrontare tra loro i colori?
Bertrand Russel (Michael Gough), al Trinity College di Cambridge (1911-1914) è il maestro di Wittgenstein di cui scopre immediatamente la genialità. Nella seconda immagine i due stanno discutendo se nella stanza ci sia un rinoceronte. Russel dice di no, Wittgenstein dice di sì. Alla fine se ne vanno da due parti diverse... e da sotto il tavolo sbuca il ragazzo Wittgenstein col corno da rinoceronte.
Anche i pensieri talvolta cadono immaturi dall'albero.
Anche per il pensiero c'è un tempo per arare e un tempo per mietere.
Chi è soltanto in anticipo sul proprio tempo, dal suo tempo sarà raggiunto.
In chiusura di post, due immagini di Lady Ottoline Morrell (Tilda Swinton) che sta leggendo una lettera . E' l' amante di Bertrand Russel. Ed è, sempre splendidamente, l'attrice feticcio di Derek Jarman.
Come si può per tutta la vita viaggiare nello stesso piccolo paese e credere che non ci sia nulla al di fuori di esso!
Con i miei numerosi segni d'interpunzione in realtà io vorrei rallentare il ritmo della lettura. Perché vorrei essere letto lentamente.
Gli animali vengono verso di noi, se li chiamiamo per nome. Esattamente come gli uomini.
P.S. Un'ora fa, il blog ha superato le 800.000 Pagine Viste, a partire dal 15 maggio 2007. Poco più di due anni fa. Potremmo arrivare anche al milione, chissà... Un grazie sentito a chi mi ha aiutato. (s)
giovedì 25 giugno 2009
La moda nel cinema: Giulietta e Romeo (2)
Giulietta e Romeo (1954) di Renato Castellani Da "Romeo and Juliet" di William Shakespeare, Adattamento di Renato Castellani Con Laurence Harvey (Romeo), Susan Shentall (Giulietta), Flora Robson La Nutrice), Norman Wooland (Paride), Mervyn Johns (Frate Lorenzo), John Gielgud (Il Coro), Bill Travers (Benvolio) Sebastian Cabot (Capuleti), Lydia Sherwood (Madonna Capuleti), Ubaldo Zollo (Mercuzio), Enzo Fiermonte (Tebaldo), Elio Vittorini (Principe di Verona), Giulio Garbinetto (Montecchi), Nietta Zocchi (Madonna Montecchi), Thomas Nicholls (Frate Giovanni), Mario Meniconi (Baldassarre), Pietro Capanna (Sansone), Luciano Bodi (Abramo), Dagmar Josipovitch (Rosalina) Musica: Roman Vlad Fotografia: Robert Krasker Costumi: Leonor Fini (138 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Il secondo post sul film Giulietta e Romeo (1954) di Renato Castellani, ancora per la vista logica la moda nel cinema, è dedicato a Giulietta, interpretata da Susan Shentall. La scelta dell'interprete fu abbastanza criticata. Mario Gromo fu piacevolmente riduttivo: "Susan Shentall, bionda e paffutella, è un po' sorprendente come veronesina, tanto più sorprendente nella naturalistica cadenza italiana che Castellani ha voluto dare a ogni scena; ma ha accenti genuini, e Laurence Harvey è un elegante Romeo". Guido Aristarco prese le distanze: "E non si capisce, se Castellani vuol dare una storia italiana - e non "italianata" - se cioè egli abbandona la tradizione shakespeariana, per qual ragione sia ricorso a due attori non professionisti e inglesi come Susan Shentall e Laurence Harvey (o meglio si capisce, ma in un altro ambito) ". Mentre Giuseppe Marotta, come gli succedeva non di rado, menò di brutto: "Susan Shentall è una Giulietta sbiadita, allogena, di un biondo non veronese; Laurence Harvey non pecca ma neppure è beatificabile; nei' panni del Principe ho riconosciuto Elio Vittorini, è marmoreo, la solennità rigida e frigida che probabilmente Castellani agognava. Basta. Adesso, care pagine di Shakespeare, venite sulla mia poltrona e sanguiniamo insieme". Ci sarebbe da dire che il Romeo and Juliet è un'opera del giovane Shakespeare, le parole finali di Marotta mi sembrerebbero più appropriate al Macbeth o al King Lear.
Personalmente, la scelta figurativa di Renato Castellani a me sembra la migliore possibile: se penso ad una Giulietta mi viene in mente Susan Shentall prima di ogni altra. L'aspetto figurativo non è secondario, è il più importante per capire che cosa volle fare Renato Castellani. Cercherò di mostrarlo soprattutto nei due post successivi, che faranno parte della vista logica la pittura nel cinema. Se dovessi fare delle critiche al film, che fu tacciato di freddo calligrafismo, ne farei due di altro genere. La prima riguardo la quasi totale soppressione della parte di Mercuzio, perché sono fra le parole che amo di più in Shakespeare. La seconda critica è al doppiaggio italiano, che mi sembra inesorabilmente datato, anche se certamente Castellani utilizzò degli ottimi doppiatori. A volte il rapporto fra l'aspetto figurativo e l'aspetto vocale lo sento stridente, alle mie orecchie di oggi.
Anche in questo post cerco di ordinare le immagini secondo lo svolgersi cronologico del film.
Giulietta in camicia al mattino. Sta parlando con la madre, Madonna Capuleti e con la Nutrice. La madre le parla del suo possibile matrimonio con Paride.
Giulietta con l'abito rosso, sempre con Madonna Capuleti e la Nutrice. La cosa sta andando avanti: Paride ha parlato con Capuleto e stasera sarà al ballo in casa Capuleti. Le tre donne sono contente.
Giulietta, con l'abito del ballo, durante la festa in casa Capuleti, danza con Paride.
Giulietta conosce Romeo, che si toglie la maschera. Poi viene a sapere che Romeo è un Montecchi, la famiglia nemica dei Capuleti.
Giulietta in camicia azzurra, durante la scena del balcone. L'immagine è a profilo perduto.
Giulietta, ancora in abito rosso, parla con Madonna Capuleti in giardino. Frate Lorenzo sta preparando il matrimonio fra lei e Romeo e solo la Nutrice ne è al corrente.
L'aarivo di Giulietta alla chiesa di Frate Lorenzo, poi il matrimonio attraverso la grata. Abito azzurro, manto giallo, velo bianco sul capo.
Il pianto di Giulietta, quando apprende che Romeo ha ucciso Tebaldo. Poi l'addio a Romeo dopo la notte d'amore.
Capuleto vuole che Giulietta sposi subito Paride, Giulietta cerca di ribellarsi, ma né Madonna Capuleti né la Nutrice l'aiutano. Maniche gialle sotto l'abito grigio-bianco, scollo a V, cintura alta. E guardate la pettinatura di Giulietta...
Giulietta è nella cella di Frate Lorenzo che ha trovato una soluzione: Giulietta berrà una pozione da lui preparata e il suo stato di catalessi verrà scambiato per morte. Frate Lorenzo provvederà ad avvertire Romeo, ma le cose non andranno così.
Giulietta è stata portata nel sepolcro con l'abito da sposa che ha indossato prima di bere la pozione. Fra poco si desterà.
Nel film, dal punto di vista figurativo sono presenti tre secoli: Trecento, Quattrocento e Cinquecento. C'è una concordia discors di aspetti storici, pittorici, di luoghi, e ne parlerò in altri post. All'interno delle figurazioni del film ci sono i costumi di Leonor Fini, che si ispirano soprattutto al Quattrocento, non solo italiano ma anche fimmingo (ad esempio per l'abbigliamento della Nutrice e di Madonna Capuleti). Per fare un riferimento figurativo preliminare, il pensiero va alla Camera picta (Camera degli sposi) del Mantegna, agli affreschi di Schifanoia e in genere alla pittura ferrarese. Trovo ammirevole il senso di misura di Leonor Fini: non eccede mai. Ricchezza decorativa, semplicità e fantasia rigorosa procedono insieme. Una grande differenza con altri film cosiddetti in costume in cui l'esagerazione è abituale, direi quasi abitudinara.
In chiusura del post, un quadro di Leonor Fini ed una sua fotografia.